Gli effetti negativi della rimozione del Covid 19, di Davide Sisto
Negli ultimi mesi ho condiviso insieme a tanti connazionali una sensazione piuttosto ricorrente: mi sembra che la mia vita sia passata direttamente dal 2019 al 2023 o, viceversa, sia tornata indietro dal 2023 al 2019, perdendo per strada due o tre anni. Mi spiego meglio. Non appena la pandemia da Covid-19 è terminata o, comunque, ha concluso la sua fase più critica, la vita quotidiana ha ricominciato ad avere le stesse identiche caratteristiche che ha avuto fino alla fine del 2019, cancellando – almeno in superficie – gli effetti emotivi e psicologici del difficile periodo vissuto tra il 2020 e il 2022. Quando, nel marzo 2020, un numero sostanzioso di utenti dei social network affermava che il mondo non sarebbe più stato lo stesso a causa della pandemia, probabilmente ha sottovalutato la capacità umana – a volte utile, spesso discutibile – di rimuovere radicalmente i problemi, facendo finta che non ci siano stati o che siamo impermeabili alle loro conseguenze. E così, ci abbiamo messo pochissimo a dimenticare il lockdown, “L’italiano” di Toto Cutugno cantata sui balconi delle abitazioni, la reiterata scritta “andrà tutto bene”, i vaccini, il green pass, il distanziamento sociale e via dicendo. Appena abbiamo potuto, abbiamo cancellato quei due anni così complicati, riprendendo le vecchie abitudini come se nulla fosse successo. Per esempio, nel mondo della formazione universitaria le innovazioni tecnologiche, che hanno sopperito più o meno positivamente alla mancanza del contatto fisico, sono quasi del tutto sparite. Nel mondo editoriale, invece, è diffusa la convinzione che i libri sulla pandemia non abbiano mercato. Gli stessi corsi universitari tendono, generalmente, a non affrontare in alcun modo quello che abbiamo vissuto e le trasformazioni che ne sono seguite.
Ma fa realmente bene la rimozione totale del periodo pandemico dalle nostre vite? È veramente utile far finta di non ricordare il periodo compreso tra il 2020 e il 2022 con tutte le sue conseguenze psicologiche ed emotive? Il 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia, presentato nel dicembre 2022, ritrae il popolo italiano come profondamente malinconico, privo di speranza nel futuro, perduto all’interno di un contesto sociale, politico e culturale che non mostra un barlume di luce. La maggior parte dei dati sul benessere psicologico dei cittadini italiani mostra un incremento significativo dei sintomi della depressione e dell’ansia, soprattutto tra i più giovani, a cui si aggiunge un altrettanto importante aumento dei suicidi. Dati sulla salute mentale che trovano un riscontro abbastanza omogeneo tra i paesi dell’Unione europea, come mostra il report Health at a Glance: Europe, nato dalla collaborazione tra l’OCSE e la Commissione europea. Vero che occorre contestualizzare queste informazioni all’interno di un periodo storico che, oltre al Covid-19, sta affrontando sanguinosi e preoccupanti conflitti bellici, gli effetti del riscaldamento globale e un drammatico aumento dei costi. Tuttavia, mi pare che nei confronti della pandemia abbiamo adottato lo stesso atteggiamento che adottiamo sempre nei confronti della mortalità, nostra e degli altri: facciamo finta che non ci riguardi, che siamo automaticamente più forti dei nostri limiti, che le fragilità non ci competono. Nascondiamo, come al solito, la polvere sotto il tappeto, lasciando che i suoi effetti agiscano implicitamente indisturbati fino a presentare, di colpo, un conto salatissimo a cui non sappiamo far fronte.
E dire che la pandemia poteva essere un’occasione importante per migliorarci. La consapevolezza del rischio cagionato dal virus poteva rappresentare il punto di partenza per meditare collettivamente sulla nostra vulnerabilità e mortalità, il senso di isolamento generato dal lockdown, dalla quarantena e dal coprifuoco poteva essere la base per ricominciare a discutere insieme su nuove forme di vicinanza nello spazio pubblico. Soprattutto, la particolare situazione che hanno vissuto le persone più fragili, per età, per condizione di salute o per criticità sociali, poteva – anzi, doveva – aprire importanti spazi all’interno della società per riflettere insieme sulle strategie da adottare in vista di un’etica della cura differente e più umana.
Penso, in altre parole, che sia estremamente negativo il tentativo di cancellare di colpo le esperienze vissute tra il 2020 e il 2022. Dovremmo invece prendere su di noi il peso di quello che abbiamo attraversato, creando nuove modalità di condivisione e, soprattutto, utilizzando la paura provata nei confronti dell’ignoto per riflettere meglio sul senso della morte per la vita, sulla perdita improvvisa di chi abbiamo amato, sull’importanza di riti funebri per la nostra salute mentale.
Non pensate anche voi che quei due anni vadano ripresi, analizzati con attenzione, osservati con il giusto spirito critico, di modo da non credere di non averli vissuti? Non ritenete opportuno evitare la rimozione del Covid-19, proprio per salvaguardare il benessere collettivo? Perché, di fatto, li abbiamo eccome vissuti. Sono lì, nascosti in una parte di noi, pronti spettralmente a riemergere e a far sentire la loro opprimente presenza. Meglio affrontarli direttamente, guardarli negli occhi ed evitare che infestino il nostro quotidiano per un tempo più lungo del dovuto.
Attendiamo, come sempre, vostri commenti a riguardo.