La libertà va difesa a costo della salute? L’importanza della Death Education, di Davide Sisto
Negli ultimi giorni dello scorso agosto i quotidiani nazionali hanno riportato la notizia della morte per Covid-19 di un uomo di 48 anni, Luca Amaducci, condividendo il suo ultimo post pubblico su Facebook, risalente a inizio mese, nel quale descriveva in maniera minuziosa i drammatici effetti del virus sul suo corpo. Rimpiangeva, quindi, il fatto di non essersi ancora vaccinato e sperava ovviamente di poter guarire. Dopo la sua morte, come spesso succede con i post pubblici sui social media, le sue parole sono state più volte condivise da utenti sconosciuti. Alcuni lo hanno fatto per evidenziare quanto sia pericolosa la scelta di non vaccinarsi; altri, invece, per scovare ogni possibile incongruenza descrittiva tale da avvalorare l’ennesima tesi complottista. Se il 2020 è stato segnato dalle diatribe sulla legittimità del lockdown, il 2021 sarà prevalentemente ricordato infatti per l’estenuante scontro tra pro-vax e no-vax. “La libertà va difesa a costo della salute”: così si è espresso l’attore Enrico Montesano, da tempo fautore di ogni sorta di teoria complottista, durante una diretta telefonica nel corso di una manifestazione di protesta contro il green pass promossa da Variante Torinese.
L’idea che la libertà vada difesa a costo della salute è un’argomentazione ricorrente nel periodo pandemico. Si fa un collegamento tra le decisioni politiche prese a livello internazionale, in vista del contenimento del contagio, e la realtà di una società farmacologizzata, che nega l’inevitabile esistenza del dolore e della morte, preferendo limitare la libertà individuale attraverso estenuanti percorsi di immunizzazione sanitaria. Ne ho già parlato più volte sul blog in passato, ma ritengo necessario tornare una volta ancora sulla questione: è assolutamente privo di senso questo collegamento. Anzi, anteporre prosaicamente il proprio interesse personale alla salute collettiva è un effetto collaterale proprio della rimozione della morte e del dolore. Chiunque lavori nel campo della tanatologia, o abbia a che fare direttamente con il fine vita, conosce le caratteristiche di questa rimozione. Norbert Elias, per esempio, descriveva negli anni Ottanta la cosiddetta “solitudine del morente”, tema ancora protagonista del recente libro Non morire di Anne Boyer, il quale mostra come la diagnosi di un tumore al seno determini immediatamente l’imbarazzo nelle altre persone. Iona Heath, nel libro Modi di morire, parla dei pazienti in ospedale come “unità standardizzate di malattia”, a causa della difficoltà di andare oltre la malattia creando un legame umano con la storia di ogni singolo individuo. E come non notare, infine, la costante incapacità da parte dello spazio pubblico di comprendere che, sì, “si può dire morte”? Fateci caso: è sempre rarissima la dicitura “è morto” in relazione alla notizia di un decesso. Si continua a utilizzare i soliti “è scomparso”, “si è spento” (come il nostro cellulare o pc, sarà un caso?), “ci ha lasciato”. La bibliografia novecentesca sulla difficoltà del mondo occidentale a relazionarsi con il dolore e la morte è sterminata.
Ora, i riferimenti menzionati non sono la prova del fatto che la società, in presenza di una inedita pandemia, penalizza la libertà dell’individuo perché terrorizzata dalla possibilità di ammalarsi e di morire. Semmai, sono la testimonianza di un consolidato modo di vivere che, ignorando la vulnerabilità e la finitezza, si dimostra del tutto spaesato di fronte a una brusca presa di coscienza del limite della vita. Il lockdown prima e la vaccinazione di massa poi generano, cioè, un corto circuito all’interno di una quotidianità vissuta come se il dolore e la morte non ci fossero: rappresentano la prova oggettiva che c’è un problema che non si vuole vedere né affrontare. Dunque, ci si irrigidisce, ci si mette nella condizione di negare a priori, quindi di credere che il problema sia puerile o, se c’è, comunque “andrà tutto bene”. Ci si sente, in un certo qual modo, assediati dal pensiero della vulnerabilità e della finitezza, pertanto – per difendere sé stessi – si accetta l’idea che il periodo che stiamo vivendo sia un complotto, un tentativo di limitare la sacrosanta voglia di vivere in maniera spensierata. Così, ci si affida alla propria auto-narrata immortalità, ritenendo sé stessi e i propri cari al di sopra di ogni rischio. È interessante, tra l’altro, notare una contraddizione di non poco conto: da una parte, si accusa chi stabilisce le regole e chi le segue di aver talmente paura della morte da non voler più vivere. Dall’altra, tuttavia, si rifiuta il vaccino perché si teme che gli effetti collaterali possano condurre alla morte, mettendo – di conseguenza – da parte quel fatalismo che invece viene applicato con leggerezza nei confronti delle paure legate all’eventuale contagio.
Ma, avere coscienza della propria mortalità, essere dunque predisposti a un fatalismo che ci spinge a credere che ogni minuto di vita in più non vada dato per scontato, significa innanzitutto maturare un ragionato senso civico e mostrare attenzione per la vulnerabilità altrui. Se siamo in una fase storica delicata in cui dal nostro comportamento dipende la sopravvivenza delle persone più fragili, allora dobbiamo anteporre il pensiero della morte a ogni altra cosa proprio per tutelare il più possibile il benessere collettivo. Come già detto in un altro articolo, la consapevolezza della propria vulnerabilità e finitezza non si traduce mai in un’ardita ed egoistica mancanza di prudenza: ogni singolo può serenamente decidere di giocare nel corso della propria vita con la mortalità che definisce la sua esistenza, ma non può in alcun modo permettersi di giocare con quella altrui. Dunque, sulla base dei dati di cui disponiamo, bisogna vaccinarsi per il bene di tutti, bisogna comprendere il legame vigente tra il Covid-19 e la possibilità di morire e fare le scelte appropriate. Il superamento della rimozione della morte consiste proprio nell’essere in grado di pervenire a un equilibrio di pensiero tale da distinguere nitidamente il momento della prudenza da quello dell’audacia fatalistica. E, certamente, durante una pandemia sapere quanto è fragile la nostra esistenza significa proteggerla il più possibile, non essendo eremiti ma componenti attivi di una società.
La libertà va a difesa a costo della salute? In un periodo come quello che stiamo vivendo, è la salute – dunque la consapevolezza del carattere mortale della nostra vita – che va difesa a vantaggio dell’esercizio continuo della libertà. Essere imprudenti o complottisti significa, semplicemente, perdere la possibilità di vivere, dunque di esercitare la libertà. Una libertà che non ha mai presupposto, tra l’altro, la possibilità di fare tutto ciò che si vuole all’interno di uno spazio condiviso.
Cosa ne pensate? Attendiamo le vostre considerazioni.
Chi vi scrive si è regolarmente vaccinato (una sola dose in quanto ho avuto il covid) ed ha ovviamente il green pass. Partendo dal presupposto ineludibile che la libertà di ognuno di noi termina dove comincia quella dell’altro (chiunque esso sia) e rimarcando il paletto fondamentale che la libertà è un diritto sacro ed inviolabile di ogni individuo, mi permetto di attirare la Vostra attenzione su una distorsione che è alla base della psicologia dei vari contestatori “no vax” o “no green pass”. La distorsione è: io individuo che decido in perfetta autonomia di non vaccinarmi (e quindi sono consapevole di espormi al rischio di contrarre il virus, ammalarmi e – nella peggiore delle ipotesi – di lasciare questa vita) perché reputo che la mia libertà mi “autorizzi” a fare questa scelta, io individuo faccio questa scelta e quindi “esisto” nella comunità di cui faccio parte SOLO SE OBBLIGO GLI ALTRI A SUBIRNE LE POTENZIALI CONSEGUENZE (QUESTA MIA “SCELTA DI LIBERTA’) “. In poche parole, per me “individuo no-vax e no-green pass” è più importante mostrare/imporre la mia scelta individualista ed egocentrista agli altri piuttosto che viverla dentro di me, da solo con me stesso. Con un minimo di conoscenze di psicologia, è del tutto evidente questa scelta non è una manifestazione di libertà ma una delle più classiche manifestazioni del male psicologico dei nostri tempi: IL NARCISISMO. Un narcisismo pericoloso perché non si limita – ahimè – a danneggiare parenti, congiunti e vicini ma anche tanti sconosciuti che nulla hanno mai avuto né vorrebbero avere a che fare con gente così. Ho letto anche che chi non vuole fare il vaccino è più coraggioso di chi lo fa perché non si reputa “intruppato” o “irreggimentato” in un gregge di pecore. Come mai però nessuno di loro si chiude in casa per vivere la sua “coraggiosa” scelta di vita? Come mai ce li troviamo anche sul posto di lavoro (la mia compagna ne ha uno nella sua stanza, all’interno di un grande ministero statale)? Io non posso accettare che la scelta di un’altra persona venga a ledere il mio diritto a decidere io cosa fare con la mia vita e la mia salute. Io non posso considerare come libertà una scelta di possibile auto-distruzione personale unita ad una più volte dimostrata “infettabilità esterna” in nome di infondate e indimostrate teorie complottiste o quant’altro si legge in rete e si sente dire in giro. Per me il rifiuto di vaccinarsi è un atto di odio verso se stessi ma soprattutto verso il mondo che ci circonda. Chi vi scrive ha vissuto sulla propria pelle cosa voglia dire ascoltare il proprio corpo e i segnali che mandava nella prima settimana di infezione da Covid 19. Chi vi scrive ha nettamente sentito la caducità del proprio corpo e l’ha accettata con benevolenza. Ma tutto questo l’ho fatto al chiuso di una camera da letto DA SOLO, senza andarmene in giro per strada o al bar. Confesso che ho avuto paura, certo, ma solo del dolore fisico, non della possibile destinazione finale. Perché per me (come ho scritto qui anche altre volte) l’opzione del ballo con la Signora in Nero è sempre stata sul tavolo. Ma anziché scacciare la Signora, le ho chiesto nel mio cuore se fosse arrivato il giorno del gran ballo. Quando i sintomi sono scomparsi, ho sentito la sua risposta. Mi aveva detto di no, che non era ancora arrivato il gran giorno ma mi ha ricordato che lei c’è, che lei esiste e che non la si deve chiamare invano o per scherzo o cercare per un infondata psicosi pseudo politica. Per me la Morte merita sempre rispetto, è giusto chiamarla con il suo nome e rimarrà sempre una cosa troppo seria per scherzarci.
Condivido anche io il connubio no vax/narcisista. Ho l’impressione che, al di là dei timori – anche legittimi – nei confronti del vaccino, si nasconda o il desiderio di sentirsi alternativi o di non volersi in alcun modo interessarsi del bene altrui. In una situazione come quella che stiamo vivendo, forse è necessario superare il proprio individualismo, anteponendo la libertà di tutti a quella propria. Una libertà, quella propria, solo presunta.
Mi permetto di commentare il suo con una citazione:
«La salute va difesa a costo della libertà o la libertà va difesa a costo della salute?
Mariagrazia Aragone
Ex Scrittrice-L’autore ha 610 risposte e 60.601 visualizzazioni della risposta (2 anni)
“La salute è più importante della libertà”. Questa frase viene sottintesa nella questione sanitaria dell’ultimo anno e mezzo. Se è vero, perché i nostri nonni e più in generale i popoli, hanno spesso sacrificato la vita per la libertà?
Bellissima domanda. Premesso che ovviamente la salute è molto importante, praticamente è come dire che il corpo è più importante dello spirito. Ma un corpo, se non c’è lo spirito a vivificarlo, è semplicemente un cadavere, che, direi, è l’opposto della salute. Ora la salute, quella fisica, riguarda il corpo, mentre la libertà non è solo questione di prigioni o catene, ma è una qualità dello spirito.
Se poi la frase si riferisce alla salute mentale, bisogna dire che, mentre quest’anno e mezzo NON ha portato alle persone la salute fisica, dall’altro lato ha messo seriamente a rischio la loro salute mentale, trasformando la loro vita in un incubo.
Tutto questo è connesso ad attentati continui alla libertà personale.
Quindi in definitiva, cosa si è ottenuto? La salute fisica è ben lontana dall’essere raggiunta, quella mentale è fortemente a rischio, e per di più la cosiddetta pandemia è servita come mezzo per togliere una libertà dopo l’altra. Ottimo risultato, direi.
Quanto ai nostri nonni e in genere ai combattenti del passato, beh, forse avevano un tantino di valori in più che la generazione attuale.
In conclusione: siamo proprio messi male!»
https://it.quora.com/La-salute-va-difesa-a-costo-della-libert%C3%A0-o-la-libert%C3%A0-va-difesa-a-costo-della-salute
Concordo in gran parte. Da persona “fragile” ho vissuto un lunghissimo isolamento fino al vaccino e anche dopo due dosi cerco di muovermi il meno possibile per non costituire un veicolo di possibile contagio. Comprendo soprattutto la condizione delle persone che non possono vaccinarsi a causa delle terapie che seguono, vorrei che di loro si parlasse di più.
Però c’è da dire che la gestione della comunicazione sanitaria sulla pandemia è stata pessima e ha generato confusione e sfiducia. Se ricordiamo la frase “tachipirina e vigile attesa”, non possiamo meravigliarci che tanti, oggi, insorgano contro le decisioni del governo. Il presenzialismo televisivo di virologi e altri esperti ha moltiplicato le teorie senza migliorare la divulgazione. Il pregiudizio verso le medicine alternative (come l’omeopatia), ha creato una corrente sotterranea di pensiero (e di attività terapeutica, non poche volte efficace) in quella parte della popolazione che abitualmente frequenta le culture alternative. I toni adoperati nel parlare di “riaperture”, enfatizzando gli aspetti produttivi del ritorno in presenza, sono stati apertamente cinici. I provvedimenti per mettere in sicurezza le scuole sono piovuti su scuole che erano insicure prima del covid non per motivi sanitari, ma per motivi statici, cioè ingegneristici, scuole in cui i genitori hanno sempre mandato i figli sapendo che scale e soffitti potevano sbriciolarsi in caso di terremoto.
A questo dobbiamo aggiungere le speculazioni partitiche, che naturalmente hanno fatto presa sulle persone meno acculturate. Quanto all’università, io sono ancien régime e sono convinta che gli intellettuali dovrebbero dibattere negli organi collegiali, anche tirandosi le sedie addosso, ma senza assumere toni tribunizi al di fuori dell’accademia.
Dopo tutto questo teatro, condannare a spada tratta i no-vax come se fossero gli unici nemici della ragione e della patria, a me sembra troppo facile. I no-vax sono la dimostrazione che ragionare seriamente su argomenti difficili, in Italia, non si può, perché esiste la radicata abitudine di evitare la parresia e di assumere decisioni provvisorie, puramente tattiche, facendole passare per strategie di governo.
I no-vax sono lo specchio di un Paese che vive per l’immagine e non riesce ad ammetterlo. Il “gomplotto” di cui parlano, cioè il rimosso, la cosa occulta, è metafora di questo segreto di Pulcinella, che tutti conosciamo ma che nessuno si decide a confessare.
In un Paese siffatto, i capri espiatori verso cui orientare il malcontento generale sono quasi una necessità, a cui i no-vax e le loro assurde manifestazioni, in questo momento, si prestano a meraviglia. Io, da vaccinata, guarderei anche altrove.
Ciao Antonella, condivido in buona parte la tua disamina. Convinto anche io che sia necessario avere la giusta dose di pazienza con gli impauriti dal vaccino e con coloro che per mille motivi personali non riescono a vaccinarsi, tuttavia sono anche convinto che un certo atteggiamento invece metta in luce un aspetto tipico del nostro paese: l’egoismo. Cioè, per essere un po’ retorici, siamo molto nazionalisti quando gioca la nazionale di calcio, ma per il resto ciascuno cerca di difendere il proprio piccolo orticello, fregandosene del bene pubblico. Credo che molti rifiutino il vaccino per partito preso, perché non vogliono sacrificare leggermente il proprio libero arbitrio individuale per il bene di tutti. Questa è la cosa che a me piace meno. Ovviamente, ogni rifiuto del vaccino è una storia a sé e dunque ringrazio ulteriormente chi, tra i sanitari, si impegna a far capire ai titubanti quali sono gli errori che commettono. Infine, concordo sulla pessima gestione della comunicazione. Un caro saluto!
Non credo della rivendicazione del diritto all’esercizio di una libertà “assoluta”. Viviamo in un determinata società, in un dato contesto culturale, in relazione con tante persone. Di tutto questo dobbiamo tener conto, la nostra libertà è ” condizionata”, ci si deve confrontare con il senso di responsabilità verso gli altri. Detto ciò, pur condividendo pienamente l’analisi più generale sulla tendenza alla rimozione della morte e del dolore, non sono però sicura che un interrogarsi e un avanzare dubbi sull’efficacia del vaccino o sull’opportunità del green pass esteso o dell’obbligo vaccinale per tutti significhi necessariamente un rifiuto dell’accettazione dell’idea della finitezza e della morte. A differenza dell’imprudenza, dell’audacia fatalistica e della leggerezza oppure del complottismo, la critica di certe scelte inerenti alle politiche per la salute o a certe modalità di comunicazione mi pare non solo legittima ma importante. Non parlo naturalmente di una libertà di espressione alla Charlie Hebdo. Mi riferisco per lo più a filosofi che hanno messo l’accento anche su rischi legati a una concentrazione di poteri nelle mani dell’esecutivo e alle difficoltà delle democrazie a gestire le “emergenze” mantenendo saldi i principi dell’assetto democratico. Forse questo non aiuta “direttamente “la campagna vaccinale, non so, ma mi sembra un nodo che non possiamo ignorare, forse aiuta a convivere con l’incertezza… Certo la campagna della rete Move up per l’abolizione del brevetti e l’estensione della vaccinazione ai paesi in via di sviluppo rappresenta uno stimolo più costruttivo rispetto alla costruzione della consapevolezza di essere tutti parte di una comunità di destino… Anche più responsabile? Forse sì… Anche se mi rendo conto di ripetere cose da segnalate da Antonella e ripresa da Davide Sisto nella sua risposta. vorrei comunque esprimere questi dubbi
Grazie per il commento. Legittimo e importante tenere gli occhi aperti sulla gestione politica della vicenda sanitaria che stiamo vivendo. Bisogna, al tempo stesso, fare attenzione a quali sono le finalità di chi cavalca l’onda della protesta no vax. Spesso, le peggiori forme di autoritarismo politico prendono piede strizzando l’occhio al populismo. Anche i filosofi che sono intervenuti devono fare attenzione a parlare a ragion veduta, non credendo di conoscere temi e questioni che invece necessitano di uno sguardo più esperto.
E adesso che vou vaccinati state cadendo come mosche sotto i colpi di sieri genici sperimentali che vaccini non erano (per stessa ammissione delle case produttrici e documentazione contrattuale)… adesso che dite tutti voi “allineati”?
Il vaccino non impediva il contagio, e si sapeva gia’ da quando e’ uscito, lo dice anche Butac
Chi si e’ vaccinato lo ha fatto per se’, oppure perche’ non informato, oppure perche’ leggeva le vostre menzogne, o ascoltava quelle di Draghi, o per poter lavorare.
Sto pippone salvifico sulla morale di anteporre la salute comune alla liberta’ del singolo e’ ipocrisia, menzogna
Spero che presto tutti quelli che hanno mentito, consapevolmente o no, lo ammettano e inizino a scrivere la verita’