Quando a scuola c’è un lutto, di Caterina di Chio e Cristina Vargas

Per i bambini e i giovani, scrive la psicoterapeuta Sofia Massia, la scuola rappresenta la prima casa-altra rispetto alla famiglia; un luogo in cui, parafrasando Rodari, ciascun allievo ogni giorno “fa la punta alle matite e corre a scrivere la propria vita”. In essa, infatti, si  apprendono saperi e competenze, si intrecciano legami importanti, si provano emozioni profonde, si trascorrono molte ore e si fa esperienza di comunità. A scuola dunque si affrontano tutte le sfide della crescita, comprese quelle più difficili come l’incontro con la morte e il lutto. Talvolta, l’incontro è indiretto e avviene attraverso il commento a letture condivise o a racconti che un singolo alunno porta nel contesto classe, ad esempio relativamente alla morte di un animale domestico, di un nonno o di un genitore. Talatra, invece, si verificano esperienze che toccano direttamente e da vicino l’intero gruppo: la morte di un compagno o di un insegnante, di un membro della comunità scolastica.

In questa prospettiva, possiamo considerare la scuola un ambiente ottimale per attuare interventi di prevenzione primaria nell’ambito dell’educazione alla morte. Autori come Stephen Strack, Robert Neimeyer e, in Italia, Ines Testoni, hanno strutturato e promosso progetti che si soffermano sia sul pensiero e sulla riflessione (attivando quindi la sfera cognitiva), sia sulla dimensione affettiva-relazionale, con l’obiettivo di rendere la morte un tema “dicibile”, qualcosa su cui è possibile confrontarsi, ascoltarsi e ascoltare.

Ci sono situazioni in cui gli interventi di prevenzione primaria sono sufficienti, ed altre in cui la prevenzione (qualora ci sia stata) non è sufficiente. Risulta necessario occuparsi di lutti veri e propri.  Gli scenari possono essere molteplici, ma nel presente articolo vorremmo soffermarci in particolare su ciò accade quando è un membro del gruppo classe a morire. In questi casi, la morte irrompe in modo spesso traumatico nella vita scolastica, coinvolgendo allievi, insegnanti e, più in generale, tutta la comunità.

In situazioni di questo tipo gli insegnanti si trovano davanti un compito complesso, e hanno un elevato grado di responsabilità rispetto  al  gruppo classe. Nel corso delle esperienze di supporto a docenti ed educatori che abbiamo avuto modo di seguire negli ultimi anni sono emerse numerose domande e preoccupazioni, che in molti casi si esprimono intorno a un grande quesito: come posso in qualità di docente gestire al meglio la situazione, ed essere di supporto, senza oltrepassare i confini e il mandato del mio ruolo, rischiando di sconfinare in territori non di mia competenza?

Un primo nodo importante, su cui può essere utile proporre alcune riflessioni, è quello di conoscere e comprendere le caratteristiche del lutto nelle varie fasi di età.

Il lutto è collegato a emozioni intense e difficili. Accanto al dolore,  in genere si sperimentano vissuti di rabbia, di senso di colpa, oltre che di confusione, di paura, di angoscia… Mentre nell’adulto queste emozioni tendono ad avere un carattere persistente, nei bambini e nei ragazzi esse hanno un andamento altalenante: in alcuni momenti possono arrivare con forza dirompente, mentre in altri possono attenuarsi, o addirittura sparire. Per un adulto può essere sconcertante vedere quanto siano diverse le modalità di reazione degli allievi e come nel gruppo si passi da un comportamento “come se niente fosse” al manifestarsi del pianto o a scatti di rabbia (apparentemente) eccessivi o ingiustificati. È importante considerare queste oscillazioni come del tutto normali. Esse si presentano con maggiore intensità in chi era più legato al compagno o alla compagna deceduti. Allenarsi a riconoscere queste emozioni aiuta a comprenderle e a gestirle con maggior sensibilità, a tollerare meglio i momenti di crisi senza andare sulla difensiva e a bilanciare accoglienza e contenimento nel rapporto con ciascuno dei propri studenti.

La morte di un membro del gruppo porta  gli altri a confrontarsi con  la consapevolezza della propria morte: “se è accaduto al mio compagno o compagna vuol dire che anche i bambini (o i ragazzi) possono morire e, quindi, può accadere anche a me”. Questo pensiero può essere formulato ad alta voce, oppure può essere espresso in modo indiretto: i più piccoli possono manifestare inquietudine o paura nel momento di addormentarsi, ad esempio, o mostrare preoccupazioni per il proprio stato di salute e sintomi psicosomatici. In ogni caso è importante intervenire tenendo insieme onestà e sensibilità. A seconda dell’età è possibile cercare fiabe, racconti, testi letterari o filosofici e altre suggestioni culturali che aiutino ad affrontare il tema. Molte discipline scolastiche, infatti, offrono vie e strumenti che possono essere utili nel percorso di elaborazione (come la scrittura o il disegno) e che possono rappresentare un canale espressivo per i singoli e per il gruppo.

Offrire uno spazio e un tempo per condividere i propri vissuti intorno alla perdita  è un compito prezioso del docente che, nel suo ruolo, può creare le condizioni affinché nel gruppo le persone possano parlare, essere ascoltate, sentirsi meno sole e avvertire che l’evento viene accolto dalla comunità di appartenenza.

Nei momenti di particolare difficoltà, si può fare riferimento allo sportello di ascolto psicologico, che rappresenta una risorsa importante quando si coglie la necessità di un supporto specifico.

Per quanto riguarda il gruppo classe, un  ambito di grande importanza è quello della comunicazione. Curare il modo in cui si trasmette la notizia alla classe, per quanto non esista  “il modo giusto”,  è essenziale.  Ogni insegnante può trovare le parole che sente più coerenti con il proprio carattere e con il tipo di relazione che ha con la classe, tuttavia, pur mantenendo il proprio stile, l’esperienza di lavoro in setting gruppali insegna che è d’aiuto usare un linguaggio chiaro, empatico e adeguato all’età. La parola “morte” non va temuta: pronunciarla aiuta il gruppo a prendere atto della drammatica irreversibilità di quanto accaduto, facilitando la comprensione di un concetto che, soprattutto per i più piccoli, può essere ancora astratto e difficile da afferrare nel suo pieno significato. Se si tratta di una situazione improvvisa o inattesa è probabile che ci siano delle domande, collegate a un normale bisogno di sapere che cos’è successo. A questo proposito ci sembra di poter dire che è necessario parlare dell’accaduto con tatto,  senza entrare in lunghe descrizioni e senza condividere dettagli intimi per soddisfare a tutti i costi la curiosità, ma fornire, in modo rispettoso e discreto, quelle informazioni essenziali che permetteranno ai compagni di comprendere l’accaduto. In genere, in alcuni casi in particolare, soprattutto se si tratta di morti violente, atti anticonservativi o incidenti, può essere opportuno concordare con la famiglia di chi non c’è più i contenuti da trasmettere.

Infine un tema su cui ci si sofferma poco, ma che invece è fondamentale, è quello degli oggetti. La scuola è piena di tracce del passaggio di ogni allievo o allieva. I quaderni, i disegni, le parole scritte, i compiti in classe, il banco stesso sono l’ancoraggio concreto alla memoria del gruppo e sono testimonianza della vita che in quel luogo ha trascorso chi l’ha lasciato. In quanto tali, tutti questi oggetti d’uso quotidiano, su cui di norma  sorvoliamo, acquisiscono un’importanza significativa sul piano simbolico. Come trattarli allora? Sapendo che sono preziosi per favorire l’integrazione dell’esperienza della perdita, il gruppo stesso può trovare la risposta a questa domanda, decidendo cosa tenere in aula, cosa valorizzare e come utilizzare gli oggetti stessi per creare una memoria condivisa. L’importante è che quest’opportunità  venga offerta, e che si dia la possibilità ai ragazzi stessi di scegliere il da farsi. Decidere insieme qual è il momento migliore per togliere il banco o per raccogliere il materiale da restituire alla famiglia offre l’occasione di condividere le emozioni e i pensieri che stanno circolando nel gruppo, trasformandoli in un gesto significativo. È possibile anche trovare forme condivise per ricordare: creare una scatola in cui ognuno può depositare un pensiero o, ancora, piantare un albero in onore del defunto sono atti che si avvicinano alla dimensione rituale, nel senso che permettono di dire addio attraverso l’azione e creano un senso di vicinanza e condivisione fra chi resta.

Cosa ne pensate? Avete esperienze che potete condividere? Grazie, come sempre, del vostro contributo.

2 commenti
  1. Domiziano Lisignoli
    Domiziano Lisignoli dice:

    Buongiorno e buon anno,
    trovo molto interessante affrontare questo argomento, perchè se l’adulto è spesso convinto di essere immortale, il bimbo lo è forse ancor di più. Quantomeno fino al momento in cui tocca la morte con mano, e si accorge immediatamente che la perdita è irreversibile. Il passaggio è immediato. Non ci sono transitori: “prima avevo le sue carezze, il suo affetto, da ora non l’avrò più”. La scuola gioca un ruolo fondamentale, lo spiegate bene nel testo, e l’augurio mio è che ogni scuola, ogni insegnante, al di la delle proprie sensibilità, possa avere gli strumenti per gestire al meglio i lutti che si treoverà ad affrontare, quantomeno per evitare quelle frasi orribili tipo ” Ora il nostro compagno è in cielo che ci guarda”, perchè ad un bambino queste frasi fanno male.
    Un caro saluto.
    Domi

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  2. Elena Miglietta
    Elena Miglietta dice:

    Buongiorno, credo che l’aspetto importante che l’articolo sottolinea molto bene è che si possa parlare di morte in classe, che si possa lasciare spazio e tempo di condivisione. Questo per bambini e ragazzi rappresenta un messaggio importante di accoglienza del loro vissuto rispetto a un tema così delicato

    Rispondi

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