L’oblio oncologico, di Marina Sozzi

Il 7 dicembre 2023 è stata approvata anche in Italia, con l’accordo di tutte le forze politiche, la legge n. 193 sul diritto all’oblio oncologico, «Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche», ed è entrata in vigore il 2 gennaio 2024.

La legge intende dare una risposta al fenomeno ricorrente per cui, nonostante l’avvenuta guarigione clinica, molte persone che hanno superato un tumore sperimentano discriminazioni nell’esercizio dei propri diritti. Cosa si intende quindi per oblio oncologico? Si tratta del diritto, per chi è stato malato di cancro, di non dover fornire informazioni sull’esperienza pregressa di malattia dopo dieci anni dalla fine delle terapie (qualora non si siano verificate recidive), nella stipulazione di qualunque contratto (assicurativo, bancario, finanziario o di investimento) e in ogni procedimento di selezione o concorso. I dieci anni diventano cinque per quei tumori che insorgono prima dei 21 anni di età.  Parallelamente, è fatto divieto alle altre parti che stipulano il contratto di informarsi con altri mezzi, e quindi di fatto di discriminare le persone che sono state malate di cancro.

L’Aiom (Associazione Italiana Oncologia Medica) e la Fondazione Veronesi stimano che gli ex malati di cancro che potranno beneficiare della nuova tutela siano un milione in Italia.

Ciò significa che queste persone potranno stipulare un’assicurazione sanitaria, chiedere un mutuo, ottenere un prestito, adottare un bambino, o partecipare a un concorso pubblico senza essere tenuti a segnalare l’esperienza di malattia. Sul piano bioetico, l’intento di questa legge è promuovere il rispetto dell’eguaglianza tra tutti i cittadini, riducendo ed eliminando possibili disparità di trattamento, che impediscono ad alcuni di esercitare e godere appieno dei propri diritti fondamentali.

Con l’entrata in vigore della legge si è anche data risposta a una sollecitazione della Commissione europea, che nel febbraio 2022, nell’ambito del Piano Oncologico Europeo, aveva auspicato che tutti gli stati membri si dotassero di una legge sul diritto all’oblio oncologico entro il 2025. La Francia è stata il primo paese ad approvare una norma, nel 2022, e in seguito lo hanno fatto anche Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e di recente anche la Romania.

Nel nostro paese, a questa legge si è arrivati anche grazie a una campagna lanciata da Fondazione Aiom, con il contributo di buona parte del Terzo Settore che si occupa di malattia oncologica, tra cui LILT, AIL, ANDOS, che hanno utilizzato l’hashtag #iononsonoilmiotumore (che riecheggia il titolo del mio libro sul cancro!), con il quale sono state raccolte più di centomila firme.

La società scientifica degli oncologi (Aiom) ora prevede, inoltre, che, con procedure da definire attraverso un tavolo tecnico del Ministero della Salute, sia possibile istituire tabelle che consentano di ridurre ulteriormente i tempi stabiliti dalla legge in base alla differente patologia oncologica.

Si è trattato di un’importante battaglia di civiltà, tutti affermano, ed è senz’altro vero. Occorre aggiungere che questa legge, come la 219 del 2017 «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», oltre a tutelare dei diritti, ha un profondo significato culturale. È evidente che la legge è divenuta possibile perché la diagnosi di cancro, un tempo considerata una sentenza di morte, grazie agli importanti progressi che sono stati fatti in questo ambito dalla medicina, oggi si riferisce a una malattia che, seppure grave e pericolosa, può guarire. E anche nei casi in cui non sia possibile parlare di guarigione, è una patologia con la quale molti cittadini riescono a convivere per molti anni, con una buona qualità della vita.

Ma questa consapevolezza non è ancora sufficientemente diffusa nella popolazione. Proprio per questo, non possiamo considerare concluso il cammino che ha portato alla legge: occorre la promozione di una nuova “cultura della guarigione”, che divulghi i nuovi risultati terapeutici e offra una nuova interpretazione della patologia.

E’ noto infatti che la mentalità cammini più lentamente delle scoperte scientifiche. Oggi gli oncologi riferiscono di avere problemi non solo a comunicare le cattive notizie, ma anche le buone notizie, perché i pazienti stentano a credere di potersi considerare guariti.

Segno di una mentalità ancorata a vecchie immagini e vecchie metafore: il cancro alieno che invade e colonizza il corpo per succhiargli la linfa e ucciderlo, la gramigna infestante, la cellula pazza. Nel suo bestseller sul cancro del 2007, Anticancro, David Servan-Schreiber aveva scritto che dopo la sua diagnosi di tumore al cervello anche i colleghi medici lo evitavano, come se fosse già morto, un fantasma inquietante, un morto che cammina.

Anche la retorica della lotta, così efficacemente criticata da Michela Murgia nei suoi ultimi mesi di vita, deve essere superata. La dimensione bellica radica proprio l’idea del tumore come nemico esterno, alieno, da combattere in una battaglia all’ultimo sangue. Sappiamo quanta fatica comporti per i malati questa logica, che li spinge nell’arena, proprio quando avrebbero bisogno di trovare la pace necessaria per conciliarsi con l’esperienza di malattia. E quanto comporti il rischio di colpevolizzare chi muore, che può essere visto come colui che non ha combattuto abbastanza.

Le leggi a volte anticipano, a volte rilevano i cambiamenti sociali e culturali in corso. Questa legge in parte prende atto dei progressi scientifici avvenuti, in parte induce a ripensare le interpretazioni del tumore e i modi in cui ne parliamo socialmente.

Quindi richiede, affinché possa essere davvero applicata, un grande lavoro culturale, che probabilmente sarà portato avanti nel paese, come sempre, dal Terzo Settore.

Cosa ne pensate? Come avete preso l’approvazione della legge sull’oblio oncologico? Quali pensieri ha sollecitato in voi?

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