E INFINE…si può dire morte
Cari amici,
come sa chi mi conosce personalmente o ha letto Sia fatta la mia volontà. Ripensare la morte per cambiare la vita, sono vent’anni che studio la controversa relazione di noi esseri umani con il proprio e l’altrui morire, con i lutti, con i riti, con la memoria dei defunti, con i luoghi dei morti; con la malattia, la medicina, le cure palliative e le scelte che si possono fare alla fine della vita; con la paura d’invecchiare, con l’estrema vecchiaia, con le demenze dei propri cari.
Tutti temi che fanno tremare anche i più coraggiosi tra noi, che fanno fare gli scongiuri ai più superficiali, ma che rappresentano pure il destino comune a tutti, anche ai tanti che preferiscono mettere la testa sotto la sabbia. Temi, inoltre, che restituiscono, a chi vi si addentra, un significato non solo al proprio diventare vecchi e morire, ma soprattutto alla vita di ciascuno, nella sua pienezza.
Da un paio d’anni scrivo questo blog, ma ora sento l’esigenza di agire, negli anni che mi restano, per aiutare chi soffre e per condividere con quante più persone possibile un messaggio che mi ha cambiato la vita: la consapevolezza della morte ci insegna che ogni singolo istante è unico e, se sappiamo assaporarlo, restando nel presente, ciò che ci viene restituito è il tempo, che di solito fugge impietoso. E inoltre, se sentiamo (nel corpo, non solo nella mente) il senso della fragilità, della vulnerabilità umana, possiamo essere più solidali e responsabili, e dare il giusto peso alle relazioni (in questo mondo frammentato, regno dell’autismo di massa).
Molti sono coloro che mi hanno invitata a fare qualcosa di più sull’invecchiare e il morire, temi sui quali le persone, oggi, desiderano riflettere. Mi hanno convinto facilmente, perché ci stavo pensando. Ho pensato a un’associazione, che trasformi i mei studi in aiuto a chi attraversa una difficoltà o un dolore, e in azione sociale.
Vorrei, prima di definire in modo preciso il profilo di questa associazione, avere le vostre considerazioni. E, vi prego, andate a ruota libera. Se esistesse una siffatta associazione (chiamiamola INFINE Onlus…), quali dovrebbero essere le sue priorità?
Quali i temi su cui impegnarsi a fondo, sia in ambito sociale sia sul piano della ricerca e della divulgazione?
Quali i contesti in cui agire? Quali battaglie condurre? Con quali strumenti?
Vi sono grata in anticipo per le vostre opinioni e i vostri suggerimenti, che sono certa arriveranno numerosi.
A presto in associazione!
salve signora MArina, la conosco dal blog e basta.
Devo dire che ho riflettuto abbastanza sulla morte (ho fatto una tesi sulla morte nei catechismi della chiesa cattolica) e ci ho anche lavorato vicino (facevo il parroco e anche il cappellano d’ospedale), ma al di la della necessita di sfondare il muro di silenzio sulla morte che accerchia la nostra cultura, mi resta oscuro il fine di una associazione e il modo con cui si propone di operare.
Si tratta di editare libri, promuovere dibattiti, diffondere siti. O che altro?
Mi faccia sapere.
Non solo. Si tratta anche di fare lavoro sociale: formare gruppi di auto mutuo aiuto per chi soffre per un lutto, o per chi ha paura di invecchiare. Di offrire un aiuto a coloro che assistono un familiare con Alzheimer, di proporre progetti di etica della cura negli ospedali. Che ne pensa?
Non conosco in modo approfondito il tema della morte, non e’ il mio campo. La mia opinione personale e’ che in tutto ci debba essere liberta’ di scelta e dignita’, nella vita come nella morte. Percui lottare non contro o a favore di qualcosa in dicotomie non sempre ideali, ma concentrarsi sulla liberta’ di scelta e la responsabilita’ individuale in tali scelte, sostituendo la preferenza ad un controllo fatto di leggi statali o costruzioni etiche religiose. Quindi dal punto di vista pratico, un progetto che porti ad una maggiore coscienza delle conseguenze delle scelte personali per noi e gli altri, concentrarsi sul diritto alla morte con dignita’.
Allo stesso tempo vedrei un progetto che celebri la vita, anche quando nella sua fase ultima che anche se tale non meno importante e di valore. Ad esempio aiutando in percorsi di autobiografia, di passaggio di messaggi, competenze professionali o personali, ai cari, al mondo, a se’ stessi, siano questi attraverso forme di comunicazione artistica (scrittura, video, scultura, canto, …) o anche azioni pratiche. Vedrei anche utile un aiuto alla realizzazione di piccoli sogni nel cassetto.
Questi i miei primi pensieri. Cordialmente, Chiara
Credo di capire cosa intende, Chiara. La ringrazio per aver scritto con la consapevolezza della complessità della fine della vita, e delle scelte che occorre fare in questa fase dell’esistenza, che non sono solo, appunto, quella di vivere o quella di morire.
Cara Marina sono felice di leggerti e sapere che vuoi agire ulteriormente. Beh, io parto dal presupposto che quello che hai fatto finora è ‘azione’. Penso che ci sia molto bisogno di azioni civili come questo blog, come le riflessioni e la ricerca che hai portato avanti in questi vent’anni. È la cultura da costruire e i contesti in cui ce n’è bisogno sono innumerevoli. Scegliere da quali contesti partire non è sempre facile per sviluppare azioni di sensibilizzazione e promozione della salute. Sai che l’auto mutuo aiuto è uno degli strumenti che supporto maggiormente e in Italia ha bisogno di molto aiuto ancora, sia pratico che culturale. Costruire una cultura dell’aiuto in questo ambito non è semplice e il lutto non va lasciato nell’ambito della mercificazione che ha subito la nostra salute negli ultimi trent’anni.
Bisogna fare molta attenzione anche ad evitare azioni di medicalizzazione, psicologizzazione e intelletualizzazione del lutto. Anche scegliere con chi lavorare non è semplice, ma è possibile insieme ad altre persone di “buona volontà”.
Concludo augurandoti buon lavoro e sperando di tenerci in contatto.
Infine” mi sembra un bell’inizio….
Grazie Enrico…verrà senz’altro il momento della collaborazione…
Marina il tuo fine è tanto GRANDE, quanto utile; ben lontano dallo sterile attendere che qualcuno faccia qualcosa fra il molto che andrebbe fatto.
Seguo pedestremente le tue indicazioni e “a ruota libera” elenco alcuni spunti.
Diffondere fra la popolazione la consapevolezza che una buona morte è diritto di tutti e non privilegio esclusivo di chi si trova in hospice. Nei nostri ospedali si muore troppo spesso “male”: non solo digiuni dell’attenzione “emotiva” di cui si ha bisogno ma privati anche dei farmaci in grado di sedare dolore, dispnea e altri sintomi che possono essere gestiti.
Favorire la cultura delle cure di fine vita, l’attenzione, in medici e infermieri, spesso poco sensibili ancor prima che privi di competenze specifiche, rispetto al molto che si può, e si deve, ancora fare per la Persona che sta morendo.
Formare personale volontario, che ne faccia spontaneamente richiesta, fornendo gli strumenti che rendono possibile l’accompagnamento di paziente e famiglia.
In sintesi, mi auguro che INFINE si ponga come obiettivo l’informazione della popolazione e la formazione di medici, infermieri, operatori socio sanitari, volontari.
Offrire agli operatori momenti di scambio, condivisione, strumenti di elaborazione del vissuto, momenti di cura per chi ha cura (es. forme di arte quali la danza movimento terapia e altre che promuovono la consapevolezza di se, delle proprie emozioni e delle emozioni che un tocco può suscitare).
Proporre l’arte: come forma di presa di coscienza e di espressione del sè, come mezzo per sottolineare la fragilità e la ricchezza dell’anziano, come sguardo sulle cure palliative. Mostre, letture, proiezione di film, visione di spettacoli teatrali in tema con a seguire dibattito pubblico.
La proposta di utilizzare letture, visioni di film, movimento danza terapia, derivano da una recente esperienza nell’ambito di laboratori a piccoli gruppi con studenti del corso di laurea di infermieristica: risultano strumenti interroganti, molto stimolanti da cui deriva una condivisione davvero costruttiva rivelatrice di potenzialità e profondità che non di rado mi stupiscono.
Un altro ottimo strumento è costituito dal laboratorio di tocco armonico: la nostra cultura ed esperienza ha reso difficile, spesso fonte di imbarazzo, un contatto fisico che non faccia parte di un rapporto affettivo. Il tocco armonico restituisce la consapevolezza di quali sensazioni suscita un auto-tocco e di quali sensazioni suscita nell’altro: sensazioni di accoglienza o di distacco.
Insegnare agli operatori tutti l’arte dell’ascolto attivo.
Questi strumenti peraltro non risutano onerosi.
Realizzare occasioni per favorire l’elaborazione del lutto: supervisione all’interno di gruppi di incontro (soprattutto per chi ha vissuto un lungo accompagnamento).
Creare conferenze, dibattiti pubblici, per confrontarsi sui concetti di futilità, accanimento terapeutico, medicina difensiva, sulla possibilità di autodeterminare il proprio fine vita e guardino ai diversi strumenti con senso critico costruttivo e meditato.
Con grande grande stima un abbraccio pieno dell’energia che ti servirà.
Silvia Giovanna
grazie di cuore Silvia: i tuoi suggerimenti sono tutte priorità per noi. Ne terremo profondamente conto: nel nostro comitato scientifico la bioeticista Giusi Venuti ha una profonda conoscenza del teatro, come strumento per “muovere” e stimolare la nostra parte emotiva oltre che quella cognitiva.
Cara Marina
credo che ci sia un gran bisogno di “condivisione sociale” dei temi che hai posto al centro della tua attività.
Penso che la tua associazione, oltre a promuovere una cultura aperta e dialogante su questi argomenti, possa essere ancora più utile se promuove azioni di coinvolgimento attivo delle persone. In particolare di quelle categorie di persone che vivono in solitudine (a volte isolamento, a volte alienazione a volte addirittura segregazione…) i loro drammi. Penso ai malati terminali e le loro famiglie ma anche alle donne e la loro paura di invecchiare, una vera piaga sociale nascosta.
Credo che la tua associazione farebbe un gran servizio alla nostra società civile se aprisse spazi per fare emergere questi drammi, condividerli, ed individuare collettivamente delle risposte per non farci sentire così soli di fronte alla vita “infine”.
Cara Iolanda, eccoti! Per fare tutto questo, che anche è molto importante per noi, abbiamo bisogno di te!
Cara Marina complimenti per l’energia e la voglia di fare sempre di più. Condivido molte delle cose già dette per cui non le ripeto. Il problema è culturale: accettare che quello che abbiamo ci può essere tolto (la salute, la vita il benessere, l’affetto di una persona cara) e che alcune di queste privazioni sono inevitabili. Come fare? Cercare di fare rete con tutte le associazioni che si occupano di cure palliative ed assistenza spirituale o materiale ai morenti. Il blog è uno degli strumenti adatti e ci sono sicuramente altri modi per cercare di instaurare un rapporto utile.
Un altro aspetto fondamentale è diffondere la cultura della trasparenza e della chiarezza: ancora troppe persone arrivano i hospice non sapendo (molto spesso facendo finta di non sapere) che la loro malattia non è guaribile. Bugie pietose che sono miseri inganni per non affrontare il problema.
Ciao, Ezio, volontario Antea onlus.
Condivido, questo tema è centrale nei nostri discorsi di etica della cura. Continua, caro Ezio, a starci a fianco!
Diciamolo subito, il Volontariato non è un hobby, non è un’attività ricreativa, non è uno svago né un passatempo: il Volontariato è innanzitutto sacrificio.
Fare Volontariato significa mettere a disposizione il proprio tempo, la propria energia, la propria competenza, in favore di qualcun altro, solitamente di qualcun altro a noi sconosciuto, senza aspettarsi ricompense o ringraziamenti. Solo avendo chiara questa premessa, il Volontariato può pienamente assumere quella importanza e quella maturità che già riveste nella vita di milioni di italiani. Solo sapendo quale è lo scopo reale, si possono trovare le motivazioni che ci aiutano a superare le difficoltà che la scelta volontaria inevitabilmente produce, e che ci permettono di apprezzare pienamente tutti i benèfici “effetti secondari” del volontariato. Quali Il piacere di stare in compagnia, di conoscere nuove persone, di fare nuove amicizie, di mettersi alla prova, di acquisire nuove conoscenze e capacità.
Ma come detto sopra tutti questi aspetti positivi diventano tali solo se c’è la consapevolezza del significato e delle difficoltà che la scelta volontaria produce. Ciò è vero per tutti i tipi di volontariato, ma lo è ancora di più per quelle Associazioni che operano in campo sociosanitario, a contatto quindi con realtà di dolore, di paura, di sofferenza. E lo è ancor di più in questi anni dove, finiti i tempi “pionieristici” in cui era sufficiente la “buona volontà”, al Volontario viene richiesta una preparazione, una formazione, e diciamolo pure, una “professionalità” maggiore. Ecco, purtroppo nella mia esperienza ho visto tanto “pressappochismo” , mi piacerebbe tanto un’Associazione che partisse dal presupposto che non ci improvvisa volontari, ma lo si diventa.
Volontari si diventa, certamente, Carla. E bisogna anche fare attenzione a non approfittare della vasta disoccupazione per ottenere lavoro volontario. Questa è la nostra etica.
Marina, con quanto piacere leggo di questo tuo ulteriore slancio verso gli altri: gli ultimi – anziani, sofferenti, morenti- e i penultimi – noi – sempre presa dal vortice di “fare di più”. Ma come? Utili suggerimenti sono già apparsi nei commenti precedenti; alcuni li condivido: scrittura dal fine vita. Raccogliere “Parole all’hospice” dai volontari, dagli ospiti, dai familiari, per far conoscere al mondo di fuori che morire meglio si può, proprio vivendo più consapevoli delle risorse di ognuno di noi. Poi il confronto con i giovani delle scuole, dei centri di aggregazione (laici e religiosi), sul concetto di vecchiaia, di dolore, di morte. Infine la formazione: partire proprio dal basso, dai volontari che facciano da cassa di risonanza per gli altri operatori, negli hospice, negli ospedali, negli ambulatori e premere affinché di questi argomenti se ne parli anche nelle scuole mediche e infermieristiche-
Ma come far breccia nella società con una associazione, non lo so proprio. Nelle mie esperienze di divulgazione e studio sull’accompagnamento al morire, finora ho trovato molti muri di gomma. Ancora della morte, del morire, degli hospice, del diritto alle cure palliative, se ne parla quasi esclusivamente negli ambienti specialistici, ed anche male.
Anch’io, come te, non mi arrenderò fino alla fine, in questo flusso di vita attiva, verso la consapevolezza che per morire meglio, bisogna anche vivere meglio.
Ah, la distanza! Potersi mettere attorno ad un tavolo ed elaborare strategie “possibili” vicino ad ognuno di noi, rafforzati dai nostri sguardi vivi e carichi di energia infinita…
In attesa di ulteriori sviluppi del progetto, un caro saluto.
Fernando
Caro Fernando, occorre lavorare, a testa bassa, scansando i muri di gomma e trovando le sensibilità che servono a cambiare almeno un pezzetto di realtà. Su una cosa hai ragione. Bambini e giovani sono importanti, dal punto di vista della mentalità, sono il futuro, non li dimentichiamo!
Ora sono in pensione, ma sono stata insegnante tutta la vita. Una volta alla mia domanda “leggete i giornali? Vedete il telegiornale?” un ragazzino mi rispose: ” Il telegiornale? è l’elenco di tutti i morti nel mondo, no?”.
Un’altra volta, per un banale incidente abbiamo portato il bambino al pronto soccorso.
Pur sapendo che gli avrebbero, al massimo, ingessato la spalla continuava a ripetere “non voglio morire”.
Poi ci sono i cagnolini che muoiono, il nonno vecchietto che non va più in vacanza con loro ecc….. Mi sono trovata moltissime volte a dover parlare di morte a scuola e soprattutto a “insegnare” ai genitori dei ragazzi cosa potevano dire e fare. INFINE onlus mi sembra una ottima idea. Se poi si considerasse anche l’aspetto di come i giovani vivono il tabu’ della morte, forse potrebbe essere interessante. Grata dell’attenzione. Rosanna Vargas
Grazie mille Rosanna, rompere il tabù è fondamentale. Ma le sarebbe servito, quando insegnava, di ricevere formazione su questi temi? Come si affronta un lutto in una classe? come parlare di morte ai bambini?
Carissima Marina,
leggendo di questa tua decisione ho pensato prima di tutto a quanto sarebbe stato bello se tu avessi voluto portare la tua conoscenza ed il tuo contributo prezioso nella nostra Associazione “Libera-Uscita” associazione per il diritto di morire con dignità. Come sai proprio questo sabato parleremo, in un Incontro Pubblico, di cure palliative domiciliari di fine vita e di Hospice. Il nostro impegno è oggi appunto focalizzato sul rendere possibile per tutte/i di morire meglio di quanto accada nei nostri ospedali. Noi parliamo di Dichiarazione anticipate di volontà e perciò stesso del morire che è vita, vita preziosa che non vogliamo villipesa. Parlare di DAV significa invitare ad una riflessione sul morire e sulla morte, certo ineluttabile destino comune. Ma ci sono tanti diversi modi di concepire la morte. Ad esempio io non credo nell’annientamento, direi meglio che non credo nella morte stessa come annientamento. Mi sento vicina a quanto scrive Emanuele Severino. Ma penso che tu non prenderai in considerazione la possibilità di essere Dirigente di Libera-Uscita, allora, facendoti i miei più cari auguri per la tua nuova impresa, mi auguro che si possa collaborare perché davvero, come qualcuno ha scritto più sopra, è necessario mettersi in rete per poter maggiormente contare ed ottenere risultati concreti. Un caro saluto di tutto cuore e grazie!
Cara Maria Laura, la rete tra associazioni è per me fondamentale, detesto la logica dell’orticello. Su molti temi possiamo essere vicine, ma Infine ha forse un obiettivo più ampio. Spero avremo presto occasione di conoscerci, e comunque continuiamo a parlarci!
Grazie, cara Marina, per la tua gentile risposta. Conosco appena qualcosa del grande lavoro da te fatto in questi anni. Ho letto ed appezzato moltissimo il tuo libro. Spero davvero in una proficua collaborazione futura. Presto il sito di Libera-Uscita sarà rinnovato. Siamo in una fase di transizione dopo che l’Assemblea nazionale del 26 Settembre a Firenze ha deciso lo spostamento della sede nazionale da Roma a Modena. Spero che nei rispettivi Siti ci siano i rispettivi link insieme a tanti altri. Auguri di cuore e a presto.
Ci saranno, senza dubbio!
Cara Marina,
apprezzo molto le tue iniziative e ben volentieri sarei socio di un’associazione che ha come scopo l’abolizione di un divieto molto diffuso, cioè quello di morire. Questo divieto sta scritto sulla fronte di quasi tutti i medici e spesso anche su quella dei nostri familiari ed amici. Non sono mica depresso o malato, ma quando un giorno sarà la mia ora, spero che non mi sarà interdito morire! Viva la tua ‘Infine’!
Un abbraccio dall’Olanda, Marinus
Grazie caro Marinus, ne approfitto per abbracciare anche io te e Vincent.
Gentile Marina, come ben sa,
ci sono per il mondo centinaia di associazioni impegnate a favore dell’autodeterminazione delle cure ivi compreso nel fine vita. In alcuni paesi, quali la Svizzera, i Paesi Bassi e il Belgio, per non parlare della Gran Bretagna o degli Stati Uniti, vi sono anche molte organizzazioni attive sui questi temi e spesso hanno divergenze sottili e non sempre comprensibili. Tuttavia tutte, con poche eccezioni, sono unite nelle organizzazioni internazionali quali la World Federation of Right-to-Die societies e le sue branche continentali. Dove si collocherà INFINE onlus (è sicura di aver scelto bene il nome?) rispetto a questo scenario? Detto questo, personalmente, accolgo la nascità di una nuova associazione con molto favore, perché è una manifestazione dell’interesse e del sostegno dei cittadini alla questione dell’autodeterminazione dei malati rispetto alle cure. E’ la prova che ha ragione chi lotta per il diritto di scegliere come curarsi e morire. Grazie.
Cara Graziella, uno dei motivi che mi ha decisamente allontanato dal cattolicesimo è l’ipocrisia e la doppiezza dei suoi “funzionari”, cioè dei cosiddetti “religiosi” e della gerarchia: sempre pronti a prescrivere quando parlano in astratto, arrivando a costringere gli altri a pensarla come Magistero Infallibile insegna, altrettanto pronti a derogarsi quando sono toccati in prima persona dalla realtà.
Quando in Italia ci sarà una reale libertà di poter confutare pubblicamente la gerarchia cattolica e i suoi portavoce più o meno autorevoli, allora avrò uno sguardo diverso anche su queste persone.
Ho fatto lungamente associazionismo attivo anche su questi temi, purtroppo so bene sulla mia pelle come agiscono questi signori, con quanta poca misericordia e con quali effetti nefasti su chi vive sulla propria pelle situazioni dolorose…
A tal proposito -e per parlare in positivo- uno degli scopi di questa associazione dovrebbe essere proprio quello di promuovere iniziative che preparino ad affrontare le situazioni di sofferenza e di distacco, cominciando da un corretto uso del linguaggio con malati e familiari: sono stato 2 mesi su una sedia a rotelle in un isitituto di riabilitazione, il modo in cui i “normodotati” si rivolgevano a noi ferivano regolarmente la nostra dignità, ed erano fatti in perfetta buona fede (e ignoranza)…
Cara Marina, l’idea è ottima ma pensaci bene: in Italia il dibattito è letteralmente fagocitato dalla Chiesa Cattolica che pretende di avere sempre e comunque l’ultima e definitiva parola sul tema. Le posizioni del Magistero sono note a tutt* e cozzano completamente con la semplice idea di “morte dignitosa” e ancor più con quella di “possibilità di scelta”: secondo la visione cattolica (e secondo la maggior parte delle religioni monoteiste) la vita non è nostra ma è una sorta di… “comodato d’uso gratuito” concessoci graziosamente dal Padreterno nei confronti della quale possiamo esercitare una libertà molto limitata. Il risultato pratico è l’idolatria della vita biologica (criterio meramente quantitativo consistente nel prolungare l’esistenza del corpo il più possibile e ad ogni costo) a completo discapito di quella relazionale, cioè della sua qualità (criterio strettamente legato alla mente e allo stato di coscienza). Va da sé che in questa visione non è ammesso decidere di “staccare la spina” in nessun caso e per nessun*.
Creare un’associazione che proponga riflessioni di stampo diverso (o semplicemente che promuova il dibattito culturale sul tema) significa fatalmente mettersi di traverso a quella posizione culturale pretesamente egemonica: questo devi saperlo prima di cominciare qualunque passo, ad evitare tristi sorprese e pericolosi malintesi.
Se comunque deciderai di procedere, direi che un’Associazione del genere (bello e azzeccato il nome!) dovrebbe occuparsi di:
1) Promuovere il dibattito sui temi della morte e del fine vita attraverso attività culturali di ogni tipo, il più possibile capillari in tutta Italia;
2) Spingere i mass-media a parlarne soprattutto attraverso l’evidenziazione di casi emblematici che stimolino riflessioni sul tema;
3) Cercare contatti e sinergie con tutte le Associazioni italiane e internazionali che si occupino di questo tema o di temi strettamente correlati;
4) Collaborare con Istituzioni e Scuole per la divulgazione dei temi trattati anche attraverso la creazione e la eventuale realizzazione di progetti organici da presentare al Ministero della Pubblica Istruzione.
5) Creare uno sportello legale gratuito o a prezzi “politici” per chiunque voglia far valere le proprie disposizioni sulla propria morte o pretenda la somministrazione delle cosiddette “cure palliative”.
Così come evidenziato da Carla Chinnici in un post precedente al mio, è necessaria una formazione/preparazione preventiva (e continua) di chi parteciperà come volontario all’Associazione.
Spero che questo post serva a stimolare il già ampio dibattito sul tema!
Con riconoscenza e affetto,
Luca (Macerata)
Ciao Marina, come ti ho detto, sono entusiasta per la tua nuova decisione.C’e’ tanto bisogno!!Come dicono in molti ci sono tante associazioni,ma non bastano.Rispondendo a Luca vorrei dire che nei gruppi di Milano vi e’ stata una Suora in un gruppo per l’elaborazione del lutto.La religione cattolica non e’ affatto piu’ contro chi non riesce ad accettare il dolore,la morte,la vecchiaia.La Suora che e’ stata con noi, per due anni, ci ha insegnato che la religione e’ una cosa,ma anche i religiosi hanno un cuore. Io partirei con l’insegnare ai nostri giovani che la vita oltre ad essere in salita a volte ha delle discese vertiginose.Non sono pronti alla sofferenza,vengono protetti, si fa credere che la vita e’ bella comunque,ma a mio avviso si dovrebbe loro insegnare che la vita e’ bella ma che ci si deve preparare ai lutti.Si nasce e si muore. Non si muore per le malattie,si muore perche’ non siamo immortali.Sai che, per quello che posso ,io ci sono.
Ciao un abbraccio
graziella
Caro Luca, cara Graziella, uno dei primi obbiettivi dell’Associazione Infine, sul piano culturale, è quello di dibattere di etica della cura a partire da casi concreti: niente ideologia e men che meno fondamentalismi…di tutti i tipi, però.
Il dibattito vero, in Italia, semplicemente non esiste.
Poi ci sarà tutto il lavoro sociale, di cui vi renderò senz’altro conto, passo dopo passo. Il sostegno al lutto, all’invecchiamento, il supporto per i familiari dei pazienti con Alzheimer, uno spazio etico negli ospedali.
Buon giorno,
la mia professione medica, svolta da oltre 34 anni, mi ha spesso portata a vivere il lutto dei familiari come qualcosa a cui tutti noi siamo destinati, raramente trovando in essi una preparazione adeguata, anche in caso di morte “annunciata”. Sebbene fautrici di corsi di aggiornamento riguardanti le “bed news”, le Asl nazionali non hanno individuato uno “sportello di ascolto” per i parenti e gli psicologi che operano nella mia Azienda non riescono a evadere la grande mole di domande. Una associazione di questo tipo dovrebbe essere aperta ai parenti come uno “sportello di ascolto”, dove l’intervento inizia al momento della diagnosi infausta del congiunto e si considera terminato a seguito del ritrovato equilibrio emozionale. Spero che Lei riesca nel suo intento, sarebbe un bene prezioso per molti di noi!
Questo è proprio uno dei nostri progetti. E’ stupefacente la sintonia tra le vostre proposte e le mie idee… dove lavora, Mariacarmen?
Ok.
Carissima Marina,
Sono felice di vedere che il tuo prezioso lavoro ha trovato questa via: penso che attraverso l’associazione potrai dare “corpo” e non solo voce (come peraltro fai egregiamente da anni ) a temi tanto importanti quanto troppo spesso negletti nel dibattito pubblico, nella formazione e nell’educazione.
Sono colpita dalla ricchezza di risposte, che saprai certamente valorizzare, e che mostrano l’esistenza di tanti approcci e percorsi interessanti . “Infine” potrebbe essere allora un punto di S/nodo importante nella rete di associazioni ed enti che operano sui molteplici aspetti del “morire” sia in ambito professionale sia nel grande mondo del volontariato, che è assolutamente da valorizzare in un’ottica di arricchimento e integrazione e non di sostituzione del lavoro (come te sono contraria all’utilizzo improprio dei volontari, soprattutto in questo periodo di drammatica crisi occupazionale e di taglio indiscriminato ai servizi di welfare!).
Non aggiungo molto sul merito delle proposte, poiché moltissimo e’ già stato scritto (anche da persone che quotidianamente sono a contatto con la malattia, la morte, il lutto) e tanto potrei sottoscrivere. Mi sembra di vedere almeno tra vaste aree sulle quali l’associazione potrebbe intervenire, l’ accompagnamento (accompagnamento alla persona che muore – accogliendone anche il residuo desiderio di vita o di testimonianza; accompagnamento alle persone a lei vicine, durante la malattia o nel lutto), la diffusione di informazioni e sensibilizzazione sulle cure palliative; la formazione, a moltissimi livelli. Tutto ciò, per non ridursi a tecnicismo, presuppone (e alimenta!) il continuare a fare cultura, a creare occasioni di riflessione, di scambio, di confronto pubblico, come sinora hai saputo fare. Con il concorso di altri, sono certa che potrai dare ancora maggiore respiro alla riflessione e a questo nostro comune interrogarci
Un mondo di auguri!
Grazie Anna, i tuoi auguri sono preziosi!
Sono volontaria da tempo in un hospice e veramente si incontra molta confusione e disagio di fronte a questa tematica sia con i familiari che con i malati stessi. In questo periodo di grande tristezza e precarietà per il futuro divulgare il tema dell’accompagnamento, forse sarebbe poco ben accolto perchè la gente vuole lasciarsi alle spalle questo tipo di pensiero avendone purtroppo tanti altri anche economici. Troverei utile inserire nelle scuole partendo dalle medie degli incontri che a vario titolo possano introdurre l’argomento, parlandone come di una materia di studio per il futuro. I nostri ragazzi sono decisamente molto meglio di quanto certe trasmissioni voglioni farci credere, e sarebbero, forse, loro stessi a divulgare l’argomento nelle rispettive famiglie. Oltre ad insegnare loro a valorizzare al meglio la vita evitando bullismo e quant’altro.
Augurissimi f.sca
Grazie anche a lei, Francesca. E ancora una volta: sono d’accordo, si parta dai ragazzi!
Meraviglioso, Marina! Conta su di me, sarei felice di far parte dell’associazione… in tutti i sensi!!! Grazie, si espanderà a macchia d’olio, come la GG a Genova e IAD in tante regioni italiane, Piemonte escluso. Grazie, gioiosamente fiduciosa,
un abbraccio… e a presto!?
Alessandra
ciao io sono per la libertà di scegliere per un malato terminale. lo penso x ho avuto il tumore al seno e dopo 12 anni si è risvegliato di nuovo ,e il 2012 è morto il mio compagno con un glioblastoma di 4 grado e ha sofferto tanto io non voglio se mi capitasse alla testa .perchè è stata una sofferenza grande quello che ho ass.
Grazie di cuore, Alessandra, a presto, spero!
…e grazie a Mariarosaria per la sua triste testimonianza. Speriamo di poter essere d’aiuto a chi attraversa periodi così duri nella vita.
Cara Marina,
‘sia fatta la tua volontà’ allora!
L’inizio è ottimo perché arriva dopo un tuo periodo prevalentemente di scrittura che è successivo ad uno più in trincea; vivo questa tua scelta come un misto tra ritorno alle origini, consapevolezza che la cultura e le parole servono ma non bastano, desiderio di essere davvero vis à vis là dove la vita pulsa davvero. Se poi metti in conto i vari attestati e disponibilità ricevute solo su questo spazio in così poco tempo, non c’è che da essere positivi.
Due sole riflessioni per un piccolo contributo:
1. quali potrebbero essere i limiti, le difficoltà, gli insuccessi e in genere ciò che creerà problemi attivandosi in questa nuova esperienza di vita? Non prendere sin dall’inizio in considerazione l’altra faccia della medaglia, quella che si caratterizza per il segno ‘meno’, significa a mio avviso essere scarsamente lucidi e obiettivi, caratteristiche che di certo tu non hai;
2. specificità e competenza. Sono i due poli che io penso dovrebbero essere alla base di qualunque scelta operativa l’associazione si darà. In Italia ci sono in realtà tanti gruppi ed associazioni che si occupano di questi temi (lo scrivo per conoscenza personale) ma la discutibile efficacia (non la passione, l’impegno e la disponibilità delle persone che se ne occupano!) dipende in gran parte da una sorta di pressappochismo culturale, luoghi comuni e confusione metodologica sugli obiettivi e le strategie da mettere in campo per almeno provare a raggiungerli.
Caratterizzarsi come una realtà che cerca di raggiungere obiettivi chiari con modalità serie attraverso persone con precise competenze acquisite e/o da acquisire cammin facendo, sarebbe un ottimo modo per rendere ‘non impietoso’ il tempo che scorre.
Per quel che posso/possiamo, ci siamo.
Caro Nicola, so che non è facile, ma spero che, anche facendo rete con meravigliose realtà come la tua, riusciremo a costruire una nuova mentalità, o almeno buone riflessioni…
Gentile Marina,
qualche mese or sono ho avuto la sorprendente fortuna di leggere il suo “Sia fatta la mia volontà”. E’ stata per me un’esperienza davvero importante, che mi ha messo al corrente di tante questioni alle quali penso da un pezzo, ma a proposito delle quali ero (e sono) abbastanza a digiuno, a parte qualche lettura in ordine sparo (Kubler Ross, Levine e poco altro). Ho poi scoperto il suo blog, che seguo con sempre rinnovato interesse. Ora che ha deciso di passare all’azione, non posso che approvare la sua iniziativa; purtroppo sono abbastanza “ignorante” in materia per avanzare suggerimenti, tuttavia credo che, almeno all’inizio, sia soprattutto necessario formare ed informare: si è sempre un po’ troppo soli e quando non lo si è talvolta è troppo tardi. Non credo di poterle essere d’aiuto, come vorrei, tuttavia tenga presente che, sia pure da lontano, io ci sono.
Grazie, Vanni, le sue parole sono un importante incoraggiamento!
Grazie a tutti, leggere le vostre parole mi ha ridato fiducia nel prossimo (“ma allora c’e’ qualcuno che pensa!”). Io non so assolutamente come potrei ssere di qualche utilità, ma vorrei anche “solo” ascoltarvi, per arricchirmi spiritualmente.
Leggere i vostri interventi è stato un raggio di sole nell’ennesima giornata grigia. Paola
Grazie Paola, Paul Veyne scriveva che riusciva a consolarsi di dover morire finché poteva pensare che sulla terra, almeno in qualche angolo del pianeta, permanessero degli uomini capaci di pensare…
Sai che ti seguo da anni e ho grande stima del tuo percorso che sento autentico e “vitale” ( e so che ti è costato non poco).
Credo che una battaglia da fare sia quella dei “luoghi” e della dignità del morie: ospedali, hospice, casa … per non essere soli in quel momento (anche se lo saremo di fronte a noi stessi).
Credo anche – e tu lo sai – a quanto la poesia, la letteratura e la scrittura possano fare per ritrovarci umanità comune di fronte al Mistero.
Angela, ti aspetto, con le tue poesie e le tue idee…
Ciao Marina,
da quanto leggo, mi sembra che si stiano manifestando esigenze di almeno tre differenti indirizzi: 1) informazione medico-legale, sportello dei diritti; 2) formazione dei volontari e delle famiglie, sostegno psicologico per chi fa assistenza senza esperienze precedenti; 3) rete di contatti e scambi di esperienze fra operatori specializzati in cure palliative (medici e infermieri ).
Direi che l’importante è non sovrapporsi ad altre associazioni, non implementare semplicemente il volontariato di settore. Forse potrebbe rivelarsi utile porre il quesito delle finalità proprio alla Società Italiana Cure Palliative e verificare le urgenze che essa rileva, cioè “mettersi al servizio” in modo puro e semplice. Potrebbe rivelarsi utile cogliere l’esperienza di chi, come Emergency, si muove per portare aiuto dove è più necessario.
A ruota libera, direi che è meglio non darsi uno statuto onnicomprensivo, che anticipi attività di ogni genere, ma puntare piuttosto ad avere una struttura organizzativa agile: garantire sull’arco dell’anno la presenza di una “pattuglia” di specialisti e di volontari (a rotazione) che siano disposti a muoversi ovunque sia necessario: ospedali con scarsità di risorse e poveri di personale, piccoli paesi, eventi gravi come terremoti, epidemie. Dovunque il personale sanitario e le popolazioni si trovino ad affrontare la morte con affanno e sgomento, dovrebbe esserci qualcuno che ha scelto di essere consapevole e disponibile: un hospice da campo, come l’ospedale da campo di Emergency. Nelle situazioni ordinarie, vedrei un centro di ascolto su ruote, per parlare di morte come si parla della donazione del sangue, per documentare l’esperienza di chi vive il distacco nel caos delle metropoli o nella solitudine della provincia. Andare incontro, fare volontariato a tempo pieno per alcune alcune settimane dell’anno, dedicate interamente agli altri, lontano dai soliti impegni: una “missione” laica per la più universale delle sofferenze.
Bacio.
Ciao Antonella, non è proprio così che l’abbiamo pensata, anche se la tua proposta è suggestiva.
Ma vedrai, ti piacerà, perchè non staremo nella torre d’avorio, ma in mezzo alle persone, in ospedale, nei quartieri della nostra e di altre città.
Un mio prozio (si chiamava Cosmo), al quale ero legatissimo, mi mise di fronte la realtà dell’invecchiamento e della morte quando avevo 18 anni. Semplicemente mi disse che era arrivato il momento di morire. Davvero difficile da capire per me allora. Morì pochi mesi dopo.
Da allora, per quello che ho potuto maturare su questo tema, che conosco pochissimo, è che la morte è qualcosa che “si trova dentro” l’invecchiamento, e che questo a sua volta si trova dentro la vita. Per questo, se posso esprimere un mio parere, trovo azzeccatissimo il nome da lei proposto. Perché obbliga anzitutto a pensare: “alla fine di che?” e si potrebbe così anche parlare della vita.
La domanda è: come si fa per poter partecipare all’associazione?
Grazie Antonio. A breve ci sarà il sito, che è in preparazione, che darà tutte le indicazioni. Sarà allora possibile donare, ma anche iscriversi e partecipare attivamente.
Gentile Marina,
da anni faccio parte di un’associazione avente come scopo la legalizzazione del testamento biologico e del diritto di morire con dignità anche nel nostro paese. Ho compreso perfettamente il suo interessante progetto e devo ammettere che lo condivido pienamente in quanto può rivelarsi utile per coloro che si trovano in fase di fine vita o di lutto. Un vero e concreto supporto psicologico che sappia ascoltare e dare aiuto tenendo conto che ognuno di noi ha una propria visione della vita e della morte e spesso, chi rimane solo, vive in solitudine ansie e paure in quanto non trova le persone giuste con cui parlarne. A questo proposito credo nella figura di un “confessore laico”, al di sopra delle parti, delle confessioni religiose e non, che sia in grado di accettare qualsiasi posizione teologica o filosofica o, a seconda delle esigenze dell’assistito, anche proporre solamente di ascoltare musica, leggere o parlare di piccole cose quotidiane.
Del resto (questa è una mia idea dettata dalla propria esperienza personale) con gli eventi luttuosi tutto perde di senso e ciò che conta veramente è solamente il dialogo ed il rapporto che si instaura tra esseri umani. Per il resto, ci sono i medici e gli operatori sanitari.
Se lo desidera, possiamo tenerci in contatto.
Un cordiale saluto
Ma certo, sarà un piacere. A breve – a gennaio, circa – avrà modo di consultare il sito dell’Associazione Infine. E sceglierà lei come stare in contatto con noi. Grazie mille.
Mi sembra una idea coraggiosa.
“INFINE” è un approccio estetico alla morte, che evoca i significati contradditori di fine e infinito; di fronte all’insensatezza della morte la consapevolezza da senso con il primo e la religione con il secondo.
Nel primo mi viene da dire che diamo senso alla fine attraverso la nostra vita, nel secondo diamo senso alla vita attraverso le spettative della fine.
Gentile Marina,
Il progetto “Infine” che sta per venire alla luce potrà essere di grande importanza per il nostro paese e per la società in generale, che per lo più scotomizza l’esistenza della morte e ha bisogno di riferimenti seri e strutturati, adatti ad un mondo laico quale siamo oggi.
Faccio parte di una piccola realtà, Fondazione Esperia, di Milano, che da alcuni anni si occupa di parlare della morte attraverso seminari a tema e attraverso uno sportello psicologico di sostegno al lutto. Come le dicevo, siamo molto piccoli, ma mi auguro che potremo collaborare in qualche modo nel futuro, intanto le auguro un buon inizio sia per l ‘anno nuovo sia per “Infine”,
Lauretta Duegnas
Buona sera, e grazie per aver scritto, Lauretta. Sarò assolutamente felice di incontrarla e di fare progetti comuni. La mia mail è marisozzi@gmail.com. A presto e molti auguri anche a lei!
GentIle Sig.ra Marina Sozzi sono il Dott Giorgio Moreni. Il motivo del contatto è dovuto al fatto che in qualità di membro socio dell’Associazione “Voglia Di Vivere” (<>) , sita in Varese, chiedo se è possibile per lei avere disponibilità per la partecipazione ad un incontro formativo e di sensibilizzazione sul fine vita in Varese per il 2015.
La nostra Associazione, fondata nel 2009, con l’intento iniziale di un Progetto Hospice, ha intrapreso dapprima un’ opera di sensibilizzazione presso la popolazione varesina sul tema della morte e del fine -vita e la valorizzazione della vita stessa.
Nella prima fase del percorso ,mediante un ciclo di incontri, un cineforum e trasmissione di esperienze di Hospice, si sono affrontati vari argomenti tesi a a far capire come a fronte del limite invalicabile della morte, la vita in ogni istante possa diventare occasione unica e irripetibile di espressione al meglio delle proprie potenzialità. Non mi dilungo sul percorso finora fatto; cito alcuni argomenti trattati: la relazione nella cura;l’esperienza del limite e la creatività; dal trasmettere al comunicare :la comunicazione e il reciproco adattamento creativo;vivere sulla soglia: l’esperienza dell’ Hospice il Nespolo di Airuno (LC); la narrazione da parte di uno scrittore, degli ultimi istanti della vita di alcuni pazienti raccontati dai volontari di un Hospice; cito alcune proiezioni di film: “Lo scafandro e la farfalla”; “Departures”; “La vita senza di me”.
Siamo stati in contatto sia con i Medici Palliativisti che con l’Associazione di volontariato”Sulle Ali” che operano presso l’Hospice dell’Ospedale di Circolo di Varese. Tra i vari argomenti abbiamo anche trattato l’esperienza del dolore nel paziente oncologico e /o terminale.
Tramite la nostra amica e collaboratrice Psicologa D.ssa Sonia Ambroset (ha lavorato a lungo anche in un Hospice) abbiamo avuto la segnalazione della sua competenza e confidiamo per una sua collaborazione per un incontro di sensibilizzazione al tema del fine vita per la “dormiente” popolazione varesina. Il ciclo di inconti sono previsti nel periodo marzo Giugno 2015 presso la Sala Montanari a Varese (praticamente in centro città) di Sabato pomeriggio (fascia oraria 16,30-20).
Ci sono già delle date libere disponibili ma per ulteriori chiarimenti lascio il seguente riferimento telefonico :Sig. Sergio Rossi tel. 333 364 3219.
Lascio anche il numero del mio cellulare e l’indirizzo email: Giorgio Moreni (Medico Psicoterapeuta)
331 859 2830 giorgiomoreni@libero.it
Lascio le referenze anche di altri soci:
Paola Borroni (Impiegata amministrativa ospedaliera) Presidente 334 711 6840
Claudia Caruso (Medico Neuropsichiatra, Psicoterapeuta) 338 216 0126
Alessio Neri (Psicologo) Vicepresidente 348 491 7119
Cordiali saluti Giorgio
ciao Marina
in pratica riproponi quello che già fa Fondazione Fabretti coi gruppi AMA da anni
e chi meglio di te può saperlo…..
personalmente preferisco reiterare piuttosto che duplicare
ezio
socremnovara
Cara Marina, dopo miei vari interventi su cancro, cimiteri e sulla capacità di chiedere aiuto visti dentro la nostra società, che come vedi e vedo, ha suscitato un grande dibattito, andando incontro, evidentemente, a bisogni veri, ma troppo spesso ignorati e rimossi, ecco che vedo che si arriva al dunque: alla pratica, ai fatti.
Leggo qui di INFINE e tutto il dibattito, ancora che ne è sorto, con spunti interessantissimi. Ho anche visitato il sito che è nato, notando che su due fronti siete già in campo: l’Alzheimer e l’aiuto nell’elaborazione del lutto.
Sul primo ho già dato (o meglio, sulla demenza, ma è uguale, ne parlerò nell’apposita finestra), quindi capisco come sia importante fornire supporto alle persone che hanno una persona cara coinvolta in questa malattia che letteralmente fa perdere l‘identità della persona che abbiamo amato, e ci lascia disorientati, spesso annientati.
Sul secondo sono convinto che l’elaborazione del lutto è un cammino da compiere innanzitutto in solitudine. E’ vero però che in questo percorso doloroso ci frena spesso la paura di “ammorbare” gli altri, di gettargli addosso tutta la nostra fragilità e il nostro dolore. Ed è anche vero che il lutto stesso è diventato una sorta di tabù. Nella nostra società dell’efficientismo si sta vicino a una persona colpita da un lutto giusto nei primi giorni, per un mese, magari, poi cade il silenzio. E si “sente” chiaro e forte che gli altri ci richiamano a tornare “come prima”, come se niente fosse accaduto, mentre niente è come prima. Quella disponibilità iniziale cade, e noi restiamo soli. Quindi, ben venga anche questa nuova disponibilità e aiuto in questo campo.
Quanto al resto, come affrontare, sul lato pratico, tutte le tematiche che hai messo in campo nel tuo blog? Stante l’immobilismo, le resistenze ottuse del pianeta-Italia di cui si è ampiamente parlato, a parte la il tentativo di sensibilizzazione e di invito alla consapevolezza che è sempre fondamentale, rinuncerei ad obiettivi troppo ambiziosi, del tipo cambiare in toto la nostra società così sorda e immobile, ma agirei su piccoli gruppi di incontro – la parola scambiata al pc è liberatoria, ma a un certo punto occorre anche l’incontro fisico fra persone – per affrontare mille tematiche, riconnesse alla morte, alla malattia grave e invalidante, in chi la vive e in chi accudisce.
La prima questione è pratica. Tu sei di Torino, da Milano dove abito, potrei raggiungerti/raggiungervi. Ma gli altri? Occorrerebbe – se già non lo fate – creare piccoli nuclei attivi in tutta Italia. Eviterei di sovrappormi ad altre associazioni (vedi quella di Luca Coscioni – cui mi sono rivolto per il testamento biologico – , e Exit che già conosco), ma inviterei, con quelle che già ci sono, a una rete di collaborazione. SOPRATTUTTO GRADIREI MOLTO CHE QUESTI NOMI VENISSERO FATTI CIRCOLARE E CONDIVISI. Chi già agisce nelle realtà locali, si faccia avanti e si faccia conoscere! C’è tanta ignoranza in questo campo, spesso veniamo precipitati all’improvviso in situazioni gravi e disperanti senza sapere minimamente, nell’assenza delle istituzioni, a chi rivolgerci né avere il tempo di cercare.
Quanto alle proposte, sempre nel segno di uscire dalla solitudine dell’individuale verso la condivisione del collettivo, andando, come dici, a ruota libera:
1) quanto ai temi riguardo i quali proporre assistenza incontri, il primo, che vien fuori è il fine-vita. Proporre incontri, collettivi o individuali fra chi sta avvcicinandosi alla morte e in chi deve assistere queste persone. La Hennezel, in “La dolce morte” sottolinea come spesso il senso di inadeguatezza e la paura di far soffrire l’altro – sia a turno il morente o la persona cara che lo assiste – tenga in scacco la comunicazione, e come manchino le parole per “stare assieme”, in un percorso ancora comune, in un momento cruciale come quello della morte. Bisogna imparare l’A-B-C del dirsi addio, per chi se ne va e per chi sopravvive. Un aiuto in questo senso non può venire dai medici, ma solo da persone empaticamente vicine.
2) lo stesso per chi vive il cancro, il grande tabù, e chi gli sta vicino. Spesso ospedali propongono assistenza psicologica per i malati, ma spesso solo in situazioni limitate, e troppo spesso a cifre onerosissime, come se la situazione psicologica fosse l‘ultimo dei problemi. Uno spazio in cui incontrarsi e scambiarsi esperienze, anche soltanto con un coordinatore attento, sarebbe di conforto importantissimo, innanzitutto per medicare il senso di solitudine.
3) alle tematiche del blog e di INFINE aggiungerei l’AIDS, malattia di cui, dopo il primo tremendo shock iniziale, non si parla quasi più, ma intanto le attenzioni/precauzioni – in poche parole la soglia di allerta – sono diminuite, ma il male continua a dilagare. Così, chi ci cade dentro è di nuovo a ancora più solo.
4) sulla morte: ho in mente il bel libro di Concita De Gregorio “Così è la vita”. Vi si narra, fra l’altro, di persone che, scelte con cura dal morente, accolgono amici e parenti al funerale, parlano del defunto serenamente col dovuto rispetto ma anche quel filo di distacco necessario, come se lo conoscessero da sempre, mentre magari lo hanno incontrato, su richiesta, solo pochi mesi prima. Mi è parso bellissimo e affascinante. Ma dove trovare queste persone?
5) ancora i funerali. Quasi ovunque mancano spazi laici adeguati e dignitosi dove compiere questo rito senza le parole – troppo spesso vuote e di routine – di un prete e dentro una chiesa magari estranea. Se non sbaglio, Roma si è attivata in questo senso. Milano, che io sappia, ha spazi orrendi, asettici, funebri e pomposi, o gestiti da agenzie di pompe funebri, o presso il cimitero di Lambrate dove si svolge la cremazione. Da poco l’ex ospedale psichiatrico Pini (dove lavora una mia amica), il Teatro “La Cucina” sorto da qualche anno nell’ex mensa del manicomio, ha ospitato, su richiesta, funerali laici, con tutta la delicatezza possibile dei responsabili e, non ultimo, il supporto di un minimo di ristoro dal vicino ristorante. Non vorrei fare troppa pubblicità al riguardo, perché non so se potrebbero gestire grandi numeri, ma è già qualcosa. E altrove?
Questo, per ora, mi viene da dire.
Grazie sempre, Giovanni.
Ai temi indicati nel mio intervento sopra, ne aggiungerei un altro, che per ora non è stato toccato in questo sito, dove si parla di morte, di lutto, funerali, camere mortuarie e cimiteri, ma anche di malattie gravi come cancro, demenza e Alzheimer. Manca un tassello importante: LA DISABILITA’, e come questa viene vissuta in famiglia, non solo dai genitori, che troppo spesso si richiudono su se stessi per disperazione e avvolgono il proprio figlio in un bozzolo protettivo, senza avere la forza di guardare avanti per regalargli un futuro che prescinda dalla loro presenza; ma anche da fratelli e sorelle, che quasi sempre ereditano un macigno o una “patata bollente” plasmata dai genitori, della cui gestione sono stati quasi sempre stati esclusi (con vissuti spesso frustranti e dolorosi).
Dagli enti pubblici e dalle ASL c’è spesso supporto – quando c’è – ma esclusivamente dal lato materiale (anche se molte situazioni restano onerosissime dal punto di vista economico), ma manca un’assistenza di tipo psicologico che è essenziale. Ho avuto la fortuna, da fratello di un disabile, di frequentare (anche se tardi) qui a Milano, un gruppo di sostegno per fratelli e sorelle di disabili, condotto dall’associazione Idea Vita nella persona di due preziose assistenti sociali, che mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con persone segnate da esperienze analoghe, e suggerimenti utili per superare le difficoltà di ordine pratico ma anche psicologico. Il gruppo esiste da 2 anni e ci si incontra con cadenza mensile. Queste realtà esistono, ne è un esempio un piccolo, utile documentario, GENITORI, uscito fugacemente nelle sale di Milano quest’anno, su un gruppo di sostegno per genitori (e anche per sorelle) in Friuli: si spera che ne esca un DVD; col nostro gruppo faremo in modo che venga riproposto, a fine gennaio, al cinema Beltrade. Chi, di Milano, avesse bisogno di informazioni sul gruppo, può scrivermi qui o alla mail giovava@libero.it. Sarebbe importante che queste iniziative venissero incrementate su tutto il territorio e, per quelle già esistenti, fossero maggiormente diffuse e portate a conoscenza di chi ne ha bisogno ed è in difficoltà, senza sapere dove rivolgersi.