La casa come luogo dei fantasmi. Una breve riflessione sulla presenza spettrale dei morti, di Davide Sisto

Recentemente mi è capitato di vedere su Netflix il film “Storia di un fantasma” (2017), scritto, diretto e montato da David Lowery. Il protagonista è il silenzioso e invisibile fantasma di un uomo morto in un incidente stradale che, coperto dal classico lenzuolo bianco, vaga senza meta per la casa in cui ha vissuto. Egli osserva inerme, senza poter essere a sua volta visto, l’iniziale dolore lancinante della compagna, mutatosi nel corso del tempo in una inevitabile nuova vita (con un nuovo fidanzato). Una scena fa decisamente effetto: pochi giorni dopo il decesso, vediamo il fantasma in piedi davanti alla compagna la quale, seduta per terra, ingurgita in modo scomposto una torta. Nel silenzio tombale della casa, questa scena si prolunga per diversi minuti, fino a quando la donna corre in bagno a vomitare.

Il tema della presenza spettrale del morto nella casa in cui ha abitato non è certo originale, per usare un eufemismo. Mark Fisher, nel libro Spettri della mia vita, ci ricorda che la parola haunt in inglese significa sia luogo di residenza sia ciò che lo invade o lo disturba. «L’Oxford English Dictionary indica come uno dei primi significati del termine haunt quello di ‘fornire di una casa, una dimora’», osserva Fisher. Dall’epoca della letteratura gotica a quella dei film horror sono ricorrenti, se non addirittura quotidiane, le narrazioni delle case infestate dai fantasmi. Al tempo stesso, chiunque abbia letto e amato il romanzo Domani nella battaglia pensa a me di Javier Marìas avrà memorizzato, senza dubbio, l’immagine delle gonne stropicciate e poggiate accanto al letto di una donna morta all’improvviso: in quelle gonne viene simbolicamente collocato il rapporto continuativo tra la vita e la morte, quasi come se – da un momento all’altro – potessero essere di nuovo indossate dalla loro proprietaria.

Di fatto, è la particolare dialettica tra presenza e assenza propria dello statuto del morto a determinare la sua vita spettrale tra le mura domestiche. Come ci insegna il tanatologo Thomas Macho, il morto rappresenta sempre l’incarnazione della presenza di un assente; una specie di doppio, che continua a essere presente tra i vivi nonostante la sua assenza fisica e che – di fatto – ispira ogni innovazione tecnologica. Dall’invenzione della scrittura alle tecnologie digitali odierne non facciamo altro che tentare di dare una forma fisica alternativa al morto svanito per sempre, cercando di mettere a frutto la dialettica tra presenza e assenza, all’interno di cui egli è collocato, per limitare le sofferenze della perdita. Ogni invenzione tecnologica, consapevole del legame inscindibile tra gli spettri dei morti e i vivi, cerca – in definitiva – di dare un nuovo corpo ai fantasmi.

«Cancellando una traccia – osserva tuttavia Aleida Assmann – la sopravvivenza di una persona o di un evento nella memoria dei posteri diventa altrettanto impossibile che la scoperta di un delitto». Lo scienziato Desmond Morris, all’indomani della morte della donna con cui ha vissuto sessantasei anni, cerca di applicare il pensiero di Assmann, eliminando tutte le sue tracce. Prima le migliaia di libri, i dipinti e gli oggetti di antiquariato comprati insieme alla moglie nel corso di oltre mezzo secolo di matrimonio. Poi i semplici utensili – una tazza, per esempio – in cui sono conservati simbolicamente i più naturali gesti quotidiani di una vita condivisa. Quindi, l’intera casa. Si è infatti reso conto che solo abbandonando quel deposito materiale e simbolico di ricordi condivisi è possibile non sentire l’opprimente presenza dello spettro della moglie.

Non sempre, in altre parole, è salutare il desiderio di dare un corpo al fantasma del morto. Anzi, può essere profondamente utile unire ai riti funebri, che determinano la separazione della vita insieme al morto da quella senza il morto, una scelta personale radicale: il totale cambiamento della propria quotidianità, di modo da non rimanere prigionieri dei ricatti dei fantasmi. Esattamente come ha scelto di fare Desmond Morris.

Quali sono le vostre esperienze legate alla presenza invisibile dei morti nelle vostre abitazioni? Cosa avete affrontato i loro spettri? Attendiamo le vostre storie.

 

2 commenti
  1. Luca Perilli
    Luca Perilli dice:

    Ho vissuto per moltissimi anni nella casa dei miei nonni materni (ai quali ero affezionatissimo) finché i terremoti del 2016 non me l’hanno resa inagibile.
    Mio nonno se n’è andato quando io non avevo ancora 7 anni e mia nonna quando ne avevo 12 (oggi ne ho 53), eppure il loro ricordo e il mio affetto per loro è tuttora molto vivido.
    Ho sempre percepito la presenza di mia nonna in casa, ma l’ho sempre sentita come accudente, quasi come se stesse lì a mia difesa. Mio nonno invece non l’ho mai percepito lì, ma è ed è sempre stato ben presente nella mia memoria come un ricordo dolcissimo legato a coccole e a un mio benessere generale (soprattutto culinario, perché mi preparava dei purè di patate molto speciali di cui ero ghiottissimo!!).
    Curiosamente, con l’avvicinarsi del 2016 ho sentito mia nonna sempre meno presente in casa e ho sentito parallelamente svanire quella protezione (anche se io ero molto contento in cuor mio per lei): il 24 agosto è successo quel che sappiamo bene tutti con conseguenze devastanti per l’immobile in cui abitavo.
    Ora che i lavori di ristrutturazione stanno per terminare, non vedo l’ora di rientrare nella mia casa profondamente cambiata, che rispetto a prima avrà solo i mobili cui tengo particolarmente… mia nonna ci ritornerà?
    P.S.: In un’altra casa di famiglia, i miei hanno deciso di portare alcuni mobili appartenuti a una zia cui ero affezionatissimo e che è morta nel 2013; ebbene, in quel caso mi affiorano prepotentemente solo dei ricordi anche in questo caso molto belli, ma non “sento” il “fantasma” di lei… forse perché non si tratta comunque di casa sua?

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  2. Irene
    Irene dice:

    Per anni non sono riuscita a buttare via neanche scarabocchi o talloncini di carte d’imbarco. Tuttavia, il loro potere ricattatorio svanisce lentamente, come svanisce la fase acuta del lutto. Gi oggetti restano come riflessi di un tempo trascorso che integra e potenzia il presente, soprattutto nei sogni.

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