Cure palliative e la giusta distanza al tempo del Covid-19, di Massimiliano Cruciani
Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa riflessione di Massimiliano Cruciani, infermiere di cure palliative e presidente dell’Associazione ZeroK, sulle cure palliative al tempo del coronavirus. Ci auguriamo che altri ci scrivano, e speriamo di dare voce ad altri operatori, che vedono oggi il proprio lavoro e i propri principi messi in crisi dalla dura realtà della pandemia.
“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”. (Arthur Schopenhauer, 1851).
Trovare il giusto equilibrio, in questo momento di difficoltà, è molto complesso e frustrante, per chi lavora in cure palliative, e fa quindi della vicinanza e della presenza una filosofia assistenziale e di vita. Accompagnare, ascoltare e stare, limitando i contatti, può far percepire all’altro un senso di abbandono, di lontananza. In un percorso di cure palliative, il contatto e la vicinanza sono aspetti che fanno la differenza, per la costruzione di una relazione autentica.
Tuttavia, in questo terribile momento, dobbiamo imparare ad esserci anche nell’assenza, o alla giusta distanza, quella che ci permette di non fare e farci del male, rispettando l’altro e rispettando noi stessi. Sarà difficile “saper stare”, ma non c’è soluzione.
Niente saluto, niente ritualità, un freddo arrivederci: tutto questo ci obbligherà a riflettere domani, quando tutto sarà finito. Dovremo riflettere sull’importanza della vicinanza, sul rispetto delle scelte e sulle volontà espresse dalle persone (oggi morire a casa, perché gli ospedali sono i luoghi meno sicuri, non è una scelta, ma una necessità).
I professionisti delle Cure Palliative dovranno coltivare la riflessione su quanto è accaduto, perché abituati a stare in contesti complessi, tra i contrasti e le diverse prospettive di cura, tra la vita e la morte, insomma tra scelte difficili: contesti dove in pochi vogliono stare. Possiamo imparare molto oggi, per migliorarci domani e far sì che una legge, la 38 del 2010, venga rispettata e applicata, e che la legge 219/2017 diventi una certezza e un punto di partenza per una comunità migliore.
Intanto, impariamo ad usare gli occhi, i silenzi e poche parole per stare accanto all’altro: l’ascolto ha bisogno di presenza più di quanto necessiti di vicinanza.
Come sono d’accordo!
Credo che la conoscenza delle cure palliative sia uno dei pochi aiuti oggi per comprendere il dolore la solitudine e il lutto.
Peccato però che lo sia per pochi
E’ vero, dobbiamo fare in modo che non sia più per pochi!
Perdere chi ci è caro è un dolore immenso e di questi tempi senza poter stare vicini è un dolore insopportabile
Anche per me questo pensiero è la peggiore angoscia. Sapere che là fuori le persone muoiono male e non possono piangere i loro morti.
Leggo solo ora, con un ritardo che si scusa solo con le mie condizioni di salute di allora. Anche se in ritardo massimo sento il dovere di rigraziare Massimiliano Cruciani per questo Intervento che dice tanto e che condivido pienamente anche se sono consapevole che il cammino, per raggiungere nella pratica la piena applicazione sul territorio nazionale delle due buone Leggi richiamate, è ancora lungo e in salita.
Grazie.