I funerali sovietici che hanno fatto la storia. Intervista a Gian Piero Piretto, di Davide Sisto

Abbiamo intervistato Gian Piero Piretto in merito al suo ultimo libro, veramente ricco e affascinante, relativo ai funerali sovietici più significativi dal punto di vista storico, sociale e culturale, svoltisi tra il Novecento e l’inizio del nuovo Millennio. Rinomato studioso della cultura russa, Piretto mostra attraverso una serie di racconti, alcuni addirittura grotteschi, il ruolo capitale delle celebrazioni funebri sulle metamorfosi di una società piuttosto complessa come quella sovietica. Il tema è, a mio avviso, particolarmente utile per comprendere, in senso lato, il valore simbolico che i riti funebri continuano a conservare nonostante le gigantesche trasformazioni culturali del XXI secolo. 

Come mai hai intitolato il tuo ultimo libro “L’ultimo spettacolo”? Il concetto di “spettacolo” può essere inteso come il leit motiv dei funerali sovietici che racconti?

Senza alcun dubbio. Per lo meno per quanto riguarda i funerali “di Stato”. La funzione di messa in scena con esiti coinvolgenti e gratificanti per gli spettatori-partecipanti è stata fondamentale per l’ottenimento del consenso da parte del regime e la gestione delle emozioni secondo le esigenze del potere. Il dibattito relativo all’esigenza di nuove ritualità, alternative rispetto a quelle religiose, iniziò immediatamente dopo la Rivoluzione d’ottobre e continuò per tutti i decenni di esperimento sovietico. Lo testimoniano anche i molteplici e dettagliati documenti che riguardano l’organizzazione e l’estetica dei cortei funebri per i vari personaggi illustri defunti. Solennità, magniloquenza, impeccabile programmazione miravano a far sì che l’effetto spettacolo fosse impeccabile e suscitasse le previste e giuste reazioni emotive. Molto spesso sconfinando involontariamente nel Kitsch, vista la ridondanza di orpelli (fiori, drappi, stendardi), abbondanza di sinestesie (profumi, musica, sapiente gioco di luci, temperatura della camera ardente). Particolari che contribuivano (sostituendosi agli antichi equivalenti ecclesiastici) al coinvolgimento emotivo dei presenti, già di loro sovreccitati all’idea di trovarsi al cospetto di cotanto personaggio, seppur defunto.

I due funerali che, ovviamente, attirano di più l’attenzione del lettore sono quelli di Lenin e Stalin. Me ne vuoi parlare brevemente?

I due storici funerali confermano le considerazioni relative al cambiamento di registro e mentalità tra la gestione “bolscevica” del potere e quella staliniana. Le esequie di Lenin avrebbero riguardato la scomparsa di un essere umano, pur figura carismatica e fondamentale per la realtà politica del momento, e avviato la sua progressiva trasformazione in entità immortale, cristologicamente divisa in Lenin (essere umano morto) e Il’ič (natura soprannaturale rappresentante l’immortale “causa”). A caratterizzare la cerimonia funebre fu il netto contrasto tra il breve corteo che scortò la salma dalla residenza di Gorki fino al treno che l’avrebbe condotta a Mosca e quanto sarebbe invece successo nella capitale. In campagna tutto si svolse con estrema sobrietà, con il paesaggio invernale e il gelo terribile a fare da sfondo alla massa di contadini e soldati che accompagnavano il feretro. Mosca, contro la volontà del defunto, organizzò un imponente spettacolo e la ragione di Stato vinse su tutto. La camera ardente assunse l’aspetto di un’orangerie, colma di palme e corone di fiori, a contrastare grazie al suo aspetto fiabesco con il freddo, la prosaicità dell’esterno e la tragicità della morte. Tre milioni di persone sfilarono giorno e notte, nonostante il freddo atroce, per rendere l’estremo omaggio al leader e immediatamente iniziò la costruzione del mito che avrebbe dovuto ribadire il concetto: “Lenin è morto, ma la sua causa vive!”.

Quando Stalin morì il culto della sua personalità aveva già raggiunto livelli sorprendenti e le prime sconcertate reazioni della gente furono di incredulità per il fatto che proprio Stalin si fosse potuto ammalare e fosse morto. Era già un semi-dio e lo spaesamento fu totale. Nessuno, o quasi, riuscì a trattenere le lacrime e isterici singhiozzi accompagnarono la diffusione della notizia nell’intero Paese. Lo slogan dominante fu: “Il mondo non crede alla morte di Stalin, che vivrà per sempre”. Anche per lui fu allestita una camera ardente fiabesca e il tributo della folla superò quello riservato decenni prima a Lenin. Non mancò una tragica calca, la massa in preda al panico, che portò a un numero non documentato ma molto alto di vittime morte schiacciate nel pigia pigia. I volti dei cittadini immortalati nelle riprese cinematografiche testimoniano di incredulità (che faremo senza Stalin?), sbigottimento (come vivremo adesso?), paura per un futuro incerto e politicamente a rischio (chi succederà a Stalin?). Le orazioni funebri pronunciate dall’alto del mausoleo di Lenin furono interpretate cabalisticamente come ipotesi relative alla successione, ma la Storia avrebbe sorpreso ancora una volta e le pellicole pensate per immortalare le esequie (lo stesso era successo con Lenin), raffiguranti personaggi caduti in disgrazia, sarebbero state confinate nei depositi per essere riesumate soltanto dopo la perestrojka.

Qual è il ruolo delle donne nei funerali sovietici?

Pochissime furono le figure femminili che raggiunsero posizioni di prestigio in ambito politico sovietico. I funerali di Stato riguardarono quasi esclusivamente uomini. Ho dedicato un intero capitolo soltanto alle esequie di Anna Achmatova, poeta (non gradiva l’appellativo poetessa) tormentata e vittima di costanti repressioni. Il suo funerale fu epocale e rientra nella categoria di cortei funebri “spettacolari”, ma contro lo Stato, viste le repressive posizioni dell’ufficialità, accademica e politica, nei confronti della defunta. Il tamtam tra l’intelligencija portò miglia di persone al santuario dove fu celebrata la cerimonia funebre (Anna Andreevna era credente) e per la prima volta una troupe cinematografica filmò all’interno di una chiesa. Con conseguenze assai problematiche per i responsabili dell’iniziativa. Ho preso in considerazione molto sinteticamente alcuni funerali di donne importanti, scarsamente note al di fuori dei confini sovietici, soprattutto per segnalare come, a dispetto della retorica propagandistica, le figure femminili, pur responsabili di notevoli incombenze, risultassero sempre in secondo piano rispetto a quelle maschili. Per molte di loro, per quanto impegnate in politica o nell’arte, fu scelto un cimitero prestigioso ma periferico e l’onore della necropoli alle mura del Cremlino non fu tributato. Altra categoria femminile non trascurabile fu quella che ho reso, con una traduzione alquanto libera, come “maîtresse di Stato”, donne inserite nella nomenklatura e schierate con il regime, spesso invise alla popolazione proprio per queste caratteristiche, la partecipazione alle cui esequie non fu sentita.

Mi descrivi brevemente quelli che, per te, risultano essere gli episodi più curiosi e “politicamente scorretti” presenti nel tuo libro?

Ne scelgo un paio. Il funerale di Kirov, stretto collaboratore e “amico” di Stalin, ucciso nel 1934 da un fanatico, ma dietro il cui assassinio, secondo l’opinione dalla maggioranza degli storici, ci fu la mano dello stesso Stalin. Le reazioni repressive per “vendicare” la sua morte avrebbero in realtà fatto partire le famigerate purghe e le campagne punitive nei confronti dei cosiddetti “nemici interni”. Ciò non impedì che a portare a spalla l’urna con le ceneri del defunto ci fosse stato Stalin in persona. Più aneddotico ma ugualmente curioso fu il funerale del musicista Prokof’ev, scomparso negli stessi giorni in cui morì Stalin. Risiedeva in un appartamento in coabitazione nel centro di Mosca e le folle che si accalcavano per l’estremo omaggio al leader resero impossibile il trasferimento della sua salma per vie normali. Si dovette ricorre a una squadra di alpinisti che sollevarono la bara con delle corde e la trasportarono lungo i tetti fino alla Casa dei compositori dove era stata allestita la camera ardente.

Anche voi pensate che i funerali assumano il carattere di uno spettacolo, quando hanno rilevanza culturale e politica? Avete in mente dei funerali che, in Italia, hanno avuto un simile valore politico, sociale o culturale? Attendiamo le vostre riflessioni in merito.

1 commento
  1. Nicola Ferrari
    Nicola Ferrari dice:

    Ho avuto modo di approfondire molto uno dei funerali a mio avviso più stupefacenti in Italia negli ultimi 10 anni: quello di Pier Giorgio Frassati, nato e vissuto a Torino nei primi del ‘900, giovane ed entusiasta cattolico, morto giovanissimo a 24 anni stroncato da poliomielite fulminante, senza che nessuno intorno a lui si accorgesse della gravità della situazione sino a poche ora prima del decesso. L’occasione per questa ricerca era dovuta alla pubblicazione di un libro: un monologo nel quale immaginavo, ma prendendo spunto solo da fatti realmente accaduti, che uno dei poveri e bisognosi di allora, ai quali Frassati dedicava gran parte della vita, partecipasse al suo funerale.
    Il corteo funebre, amplificato anche dal fatto che suo padre era stato direttore del quotidiano La Stampa, divenne la più incredibile e inaspettata manifestazione di riconoscenza e consacrazione di questo ragazzo perché, tra lo stupore generale raccontato dai quotidiani e dalle testimonianze dei Suoi parenti, migliaia di poveri, donne e bambini che lui, senza dirlo a nessuno, aiutava incessantemente, parteciparono al rito paralizzando il traffico di molti quartieri di Torino.
    Questo evento ebbe una grande rilevanza culturale e sociale in tutta Italia, oltre che per la Chiesa intera perché permise di scoprire la vera vita e personalità di questo studente senza niente di straordinario.
    Ci sono infatti funerali che, in casi affatto frequenti, rivelano intanto che si svolgono, quegli aspetti del defunto che in tutte le altre situazioni dell’esistenza non si erano manifestate pubblicamente: ne ho vissuti due nel corso dei decenni con questa caratteristica ed in entrambe le situazioni gli impatti emotivi e riflessivi su tante persone presenti furono davvero elevati e durarono per molti giorni.
    Non so se si possano definire uno ‘spettacolo’ così come i funerali sovietici descritti da G. P. Piretto grazie all’intervista di Davide però di certo sono pure questi un’occasione particolarissima per riflettere sui propri valori esistenziali, culturali e sociali.

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