Eutanasia, lo stato dell’arte, di Marina Sozzi
Non possiamo non riprendere, su questo blog, il tema dell’eutanasia, ultimamente molto discusso nel nostro paese, anche per via del referendum sul quale si stanno raccogliendo moltissime firme.
Partiamo dal quesito referendario, che prevede l’abrogazione di parte dell’art. 579 del codice penale concernente l’omicidio del consenziente. L’articolo resta valido solo qualora sia stata data la morte a un minore, a persona inferma di mente o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, o a persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia oppure carpito con l’inganno.
È bene ricordare che il referendum non è quindi volto a inserire nel nostro ordinamento una legge sulla morte volontaria (il referendum in Italia può essere solo abrogativo), ma a eliminare una difficoltà sulla strada dell’approvazione di una depenalizzazione dell’eutanasia. Occorrerà quindi poi discutere una proposta di legge in parlamento.
Veniamo quindi al Testo unificato adottato come testo base dalle commissioni riunite II e XII della Camera, in una seduta piuttosto burrascosa, martedì 6 luglio 2021.
Per dare un’idea della superficialità e confusione con cui si sta affrontando il problema, va anche detto che, probabilmente nella foga della raccolta firme, il sito del referendum presenta ancora una proposta di legge in quattro articoli, superata dalla discussione alla Camera, e piuttosto inquietante, nella sua assoluta mancanza di garanzie per il cittadino che richiede di accedere alla morte volontaria.
Ma torniamo al testo base (che deve ancora subire l’iter emendativo, e che potete leggere integralmente a questo link. Il testo stabilisce la facoltà di una persona “affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta” di richiedere assistenza medica per porre fine volontariamente alla propria vita. La definizione di morte volontaria è piuttosto generica, ma mette l’accento sull’autodeterminazione. Per poter fare richiesta eutanasica occorre essere maggiorenni, in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, e soffrire fisicamente o psicologicamente in modo intollerabile. Il comma 2 precisa che la persona in questione deve “essere affetta da una patologia irreversibile o a prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile, o essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (e va notato che la possibilità di rifiutare i trattamenti di sostegno vitale è già contemplata nell’ottima legge 219/2017), ed “essere assistita dalla rete di cure palliative o abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale” (su questo aspetto , che ritengo cruciale, torneremo).
Ma completiamo la descrizione del testo base. La richiesta di morte volontaria, che deve essere “informata, consapevole, libera ed esplicita”, deve essere indirizzata “al medico di medicina generale o al medico che ha in cura il paziente ovvero a un medico di fiducia” (anche su questo aspetto torneremo). L’articolo 5, che norma le modalità, dovrebbe garantire la tutela del paziente, affinché la morte avvenga “nel rispetto della dignità della persona malata e in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi”. Il medico che ha ricevuto la richiesta “redige un rapporto sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni che l’hanno determinata e lo inoltra al Comitato per l’etica nella clinica territorialmente competente”. Il comma 3 precisa che occorre verificare, perché la domanda sia ricevibile, se la persona è stata adeguatamente informata sulle sue condizioni e sui trattamenti sanitari ancora attuabili, in particolare sul proprio diritto ad accedere alle cure palliative. Il Comitato per l’etica dà il suo parere (in sette giorni), e lo invia al medico e al cittadino richiedente. Qualora il parere sia favorevole, il medico lo trasmette, insieme a tutta la documentazione in suo possesso, alla Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria Territoriale o Ospedaliera di riferimento. L’articolo 6 è dedicato all’istituzione dei Comitati per l’etica, multidisciplinari, autonomi e indipendenti, e costituiti da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, sociali e bioetiche (e dico solo che mi auguro che non si trasformino in pachidermi burocratici come i comitati etici già costituiti). Infine l’articolo 7, «Esclusione di punibilità», oltre a decretare la non punibilità del medico che abbia seguito la procedura di questa legge, ne stabilisce la retroattività.
Questo è l’essenziale.
Come sanno i lettori di questo blog, le mie perplessità intorno all’eutanasia in Italia non riguardano ragioni di tipo religioso o ideologico: la mia posizione è laica e credo che la vita sia disponibile per l’uomo.
Tuttavia, ho alcune preoccupazioni, o dubbi, che proverò a elencare.
La prima è che stiamo discutendo di una legge sull’eutanasia, facendo finta che la legge 38 del 2010 e la legge 219 del 2017 siano pienamente applicate, il che è assolutamente falso.
Siamo in un contesto in cui due italiani su tre non conoscono le cure palliative, o ne hanno un’immagine del tutto distorta; i medici di medicina generale e molti specialisti ne sanno poco di più, e i pazienti arrivano quasi sempre troppo tardi ad essere seguiti in cure palliative, a domicilio o in hospice.
Qualora a questo incerto percorso (che attende ancora di essere esteso a tutte le patologie) si aggiunga la possibilità di chiedere l’eutanasia, c’è il rischio che diventi più pratico, veloce ed economico abbreviare la vita piuttosto che migliorarne la qualità. A discapito dell’autodeterminazione, tanto sbandierata dai sostenitori convinti dell’eutanasia. Un punto del testo base che non condivido affatto è quello che riguarda l’eventuale rifiuto delle cure palliative come porta d’accesso all’eutanasia. L’approccio palliativo non è l’alternativa all’eutanasia: solo chi non sa nulla di fine della vita può pensare che abbia senso far scegliere al paziente l’uno o l’altra come si sceglierebbe tra due opzioni equipollenti. L’approccio palliativo non riguarda solo la fine della vita. Quindi un paziente che non sia mai stato seguito con tale approccio non può avere alcuna idea di come starebbe se fosse stato preso in carico correttamente fin dalla prognosi infausta, o dai primi sintomi disturbanti.
La seconda preoccupazione riguarda i medici di medicina generale. Trovo inoltre del tutto inappropriata (e frutto della scarsa dimestichezza degli estensori della legge con la fine della vita) l’idea che la richiesta eutanasica possa essere gestita dai medici di famiglia. I medici di base sono professionisti a cui chiaramente si sta chiedendo troppo, e glielo si sta chiedendo male. Per chi si occupa di cure palliative è consueto avere a che fare con medici di medicina generale, poco formati sull’accompagnamento di fine vita, che sono recalcitranti nell’attivazione delle cure palliative, che pure è già loro compito. Davvero pensiamo che possano essere caricati della responsabilità di accogliere una richiesta eutanasica?
Ma la difficoltà non riguarda solo i medici di base, ma anche tutti gli specialisti, poco abituati a confrontarsi con la prognosi infausta e l’approssimarsi della morte, poco inclini a dare tutte le informazioni al paziente, nonostante la legge 219.
Ed è per questo che mi viene un pensiero, forse non così peregrino (mi direte voi cosa ne pensate). Se proprio una legge sull’eutanasia deve essere approvata nel nostro paese, gli unici che potrebbero farsi carico di una richiesta di questo tipo sono proprio i palliativisti, che hanno preso in carico il paziente e la famiglia, ne hanno esaminato il caso approfonditamente in équipe, conoscono il livello di sofferenza del paziente, possono valutare insieme a lui e ai familiari tutte le opzioni (compresa la sedazione palliativa), prima di giungere alla scelta eutanasica. Questo permetterebbe ai cittadini di scegliere davvero, facendolo all’interno di un percorso di cure palliative che deve cominciare per tempo, possibilmente in modo simultaneo alle cure attive.
Attendo, come sempre, le vostre considerazioni.