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La tanatologia nei percorsi universitari, di Davide Sisto

23 Luglio 2024/6 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Negli ultimi due anni ho tenuto un insegnamento di Filosofia ed Etica della Cura, della durata complessiva di 54 ore, per il corso di laurea triennale di Scienze dell’Educazione all’Università di Torino. Per la maggior parte delle ore dell’insegnamento ho affrontato i temi principali della tanatologia, della Death Education, della Digital Death. Ho, in altre parole, parlato di morte e lutto per svariate decine di ore con studentesse e studenti ventenni che si stanno formando nel campo della formazione e dell’educazione.

Non è così consueto affrontare questo tipo di tema in Università, al di là delle questioni prettamente bioetiche e giuridiche che concernono le scelte di fine vita e le definizioni di morte in una società tecnologicamente evoluta. Abbiamo, in generale, parlato di rimozione della morte, di riti funebri, delle cure palliative, delle conseguenze sociali, culturali e filosofiche della perdita di un proprio caro nel mondo contemporaneo, dei diversi modi di dare un senso alla propria mortalità dall’antichità al XXI secolo e, ovviamente, dell’impatto delle tecnologie digitali nel rapporto odierno tra la vita e la morte.

È stato molto interessante osservare la reazione dei discenti, la quale ha seguito in entrambi gli anni un vero e proprio percorso di crescita. Inizialmente, per loro stessa ammissione, il tema ha avuto un impatto piuttosto forte e inibente, perché non siamo abituati a parlarne liberamente. È inusuale affrontare senza fronzoli e pudore questo tema, spesso ritenuto addirittura inopportuno. Dunque, la loro iniziale tendenza è stata quella di ascoltare passivamente senza farsi troppo coinvolgere. Man mano che le ore sono passate, l’iniziale shock si è trasformato nel bisogno generale di intervenire in maniera attiva, dunque di partire dalle proprie esperienze biografiche (la morte di un parente stretto o di una persona comunque vicina, il personale modo di concepire la propria mortalità, ecc.) per riflettere insieme sulle necessità generali del prendersi cura e, soprattutto, sulle mancanze relative alla cura totale della persona, facendo emergere le differenti prospettive religiose e laiche sulle questioni dibattute. Ci siamo, in altre parole, resi conto insieme e in senso pratico di come siamo poco abituati a considerare gli effetti problematici della differenza tra la cura intesa da un punto di vista prettamente medico (“to cure”), la quale trasforma il singolo in un “paziente” nel senso letterale del termine, e la cura intesa come attenzione per la persona nella sua totalità (“to care”).

La cosa che mi ha più colpito è che, alla fine dei due corsi, numerose studentesse e studenti – diciamo, qualche decina – mi hanno proposto una tesi di laurea sul tema della morte declinato in funzione specificamente educativa o formativa: per esempio, come affrontare il lutto e la malattia dei bambini e degli adolescenti (uno dei temi più scelti), come praticare forme di Death Competence negli ospedali e in tutti i percorsi scolastici, come inserire la riflessione sulla nostra mortalità in ogni settore della società dove si fa educazione, come tener conto delle diverse esigenze rituali in materia di fine vita all’interno di un mondo multiculturale, come le tecnologie cambiano il desiderio o l’illusione dell’immortalità, ecc.

Questa ampia richiesta di approfondire i temi tanatologici spesso in riferimento all’educazione infantile, dopo un’iniziale e comprensibile ritrosia, mi ha fatto riflettere su quanto lavoro occorra ancora svolgere per far sì che la morte e il lutto diventino temi centrali – per esempio – nel campo universitario. Non è logico, a mio avviso, che la rimozione novecentesca della morte continui ad avere un impatto così significativo là dove, invece, è necessaria una preparazione che potrebbe, nel pratico, consentire un miglioramento generale delle pratiche di cura. L’esperienza maturata nel campo della tanatologia da tutte le persone che se ne occupano da svariati anni dovrebbe, finalmente, essere convertita in percorsi educativi ben strutturati, necessari per superare una volta per tutte il tabù.

Sono curioso ovviamente di vedere come le persone che hanno approfondito, nelle loro tesi, il tema tanatologico riusciranno ad applicarlo nel campo lavorativo e capire se, nel corso degli anni, ci saranno rilevanti metamorfosi culturali e sociali.
Voi cosa ne pensate? Ritenete opportuno che si insegnino temi tanatologici in Università, nei campi della formazione e dell’educazione? Attendiamo i vostri commenti.

Tags: Digital Death, educazione, etica della cura, tanatologia, università
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/07/universita-esame-copia.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-07-23 10:24:172024-07-23 10:24:17La tanatologia nei percorsi universitari, di Davide Sisto
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6 commenti
  1. sipuodiremorte
    sipuodiremorte dice:
    23 Luglio 2024 in 10:32

    Caro Davide, avendo fatto la tua stessa esperienza alcuni anni fa, rompo il ghiaccio e commento per prima. La mia impressione è che i giovani siano stati da subito affascinati dal tema, e pronti a mettersi in gioco, raccontando di sé, delle proprie paure, dei propri pensieri. Non ho mai avuto la sensazione che per loro fosse un argomento tabù, né che li mettesse a disagio. Chi invece ha fatto una strenua resistenza sono stati i docenti, che non capivano il successo delle mie lezioni e si sentivano attaccati. Il preside di facoltà, allora, mi ha chiesto più volte di cambiare argomento. E non sempre era facile trovare correlatori alle moltissime tesi sul tema della morte che anche a me sono state chieste…

    Rispondi
    • Davide Sisto
      Davide Sisto dice:
      23 Luglio 2024 in 18:49

      Purtroppo, non è cambiato molto rispetto alle tue esperienze a causa di una miopia che ha certamente moltissime interpretazioni. Ad esempio, il fatto che abbia deciso di non rifare il corso per il terzo anno consecutivo è dispiaciuto molto a molti colleghi non filosofi, ma impegnati nel campo delle scienze dell’educazione. Per ora, non ho avuto problemi nelle correlazioni, ma se mai capiteranno a rimetterci saranno gli studenti, dunque mi auguro che la maturità prevalga su altre questioni. C’è purtroppo un enorme iato tra la curiosità e la voglia di imparare da parte delle studentesse e degli studenti, con cui sono nati dibattiti molto ricchi e stimolanti, e la miopia di cui sopra dei colleghi. Chissà se un giorno le cose cambieranno veramente…

      Rispondi
  2. Elena
    Elena dice:
    23 Luglio 2024 in 17:32

    Buongiorno Davide,
    premetto di non avere una formazione universitaria, ma ho avuto la fortuna di avere un padre medico di paese di vecchio stampo e una madre di cultura universitaria umanistica.
    Di morte in casa se ne parlava, non ci furono mai tabù o parole come “sei troppo piccola” o “non puoi capire” ma lo spartiacque fu la morte del mio adorato nonno: da lì in poi, il mio babbo venne inondato di domande, a volte tecniche e a volte più generali, mia mamma interveniva su letteratura e filosofia. Tutte le loro parole prima, unite al validissimo supporto psico-oncologico da parte di un’eccezionale professionista specializzata nel poi, per me sono stati il salvagente per affrontare le loro due morti, avvenute a distanza di poco tempo tra i miei 36 e 37 anni.
    Ho avuto la fortuna e possibilità di accompagnarli tutti e tre, così come ho accompagnato diversi animali da compagnia. Lo rifarei per tutti.
    A parer mio, si deve parlare della morte trasversalmente, è presente sempre con noi, non possiamo nasconderla sotto al tappeto come la polvere o relegarla solo nelle strutture sanitarie. Il pensare di proteggere per non far sentir male, pensando di far bene è quanto più di sbagliato possa succedere. Si muore, tutti i giorni e a tutte le ore.
    Cordialità

    E.

    Rispondi
    • Davide Sisto
      Davide Sisto dice:
      23 Luglio 2024 in 18:50

      grazie molte, Elena, per la testimonianza! Un cordiale saluto

      Rispondi
  3. Nicola Ferrari
    Nicola Ferrari dice:
    26 Luglio 2024 in 16:54

    Il binomio morte-tabù è, dalla mia esperienza, da rivalutare significativamente.
    Dalla seconda metà degli anni ’80, cioè da quando ho iniziato ad attivarmi nell’ambito, ad oggi, i cambiamenti sono molto evidenti: i dati (spesso empirici) che venivano utilizzati allora per sottolineare quanto fosse complicato, ‘proibito’, imbarazzante e quant’altro affrontare la questione morte e morire, con tutti i numerosi aspetti correlati, sono per molti versi gli stessi che si utilizzano oggi. Più di trent’anni fa era quindi davvero raro trovare eventi pubblici sul tema, affrontarlo nella formazione a vari livelli, parlarne a scuola, vedere film, serie, programmi o leggere libri eccetto alcuni. Adesso, e si può trovarne conferma facilmente anche solo ricercando in rete, ogni mese in Italia, da tanti anni, vengono realizzati tantiincontri, seminari, lezioni, corsi, festival, rassegne…; sono in continua espansione gruppi di auto aiuto e death café, professionisti e volontari si attivano in molte realtà per formarsi specificatamente, si possono vedere a ruota continua nuove serie televisive, film, video amatoriali/autobiografici in Internet, leggere testimonianze o saggi su lutto, cure palliative, digital death, fine vita. ritualità funebri…senza pensare a tutto quello che la dimensione digitale stimola propone. Inoltre la sensibilità comunitaria e sociale è in continua espansione e si manifesta in molte azioni concrete, sono nate nuove figure come cerimonieri funebri e doula, e grazie anche ai ricambi generazionali, l’attenzione, la disponibilità e il coinvolgimento personali sono in continua crescita; nella stessa scuola, settore in cui lavoro da sempre, l’attenzione dei docenti, anche i più giovani, sui temi del lutto infantile ad esempio, cresce costantemente e si nota dalla presenza a corsi specifici, dalla realizzazione di unità di crisi scolastiche, dalla disponibilità a prendersi cura, anche in maniera spontanea, delle perdite dei propri alunni.
    Ovvio che c’è sempre da fare, che esistono ‘sacche’ di popolazione per formazione ed età (la mia generazione ad esempio) più resistente ad affondare e approfondire questo aspetto della vita ma penso, sopratutto per chi tra noi lavora in prima linea, che sia importante tenere in debito conto dei grandi cambiamenti che sono accaduti, che vanno sostenuti e sempre perseguiti ma che vanno riconosciuti e pronunciati pubblicamente.
    Il tema più urgente e complesso è a mio avviso un altro: come trasformare la quantità enorme di parole pronunciate e scritte su questi argomenti, lette su libri o su blog, da soli o condivise con altri, in pensieri e azioni conseguenti, che impattano realmente nella vita interiore e nelle scelte concrete quando si tratta di vivere una perdita, pensare alla proprio fine, stare accanto chi muore, attraversare la vecchiaia, affrontare cure palliative per i propri cari o se stessi…
    Come far sì che le parole non restino solo parole è, sempre e solo dal mio punto di vista, il cuore pulsante della questione.

    Rispondi
    • Davide Sisto
      Davide Sisto dice:
      24 Agosto 2024 in 12:00

      Nicola, mi ero perso questo tuo intervento. Sono in parte d’accordo su quello che dici. Nel senso che è evidente che c’è stato un cambiamento significativo rispetto a qualche decennio fa. C’è tuttavia anche l’intensificazione dell’atteggiamento inverso, come dimostra l’enorme interesse a livello internazionale per i thanabots. In Italia il fenomeno è meno marcato rispetto ad altre realtà internazionali, States e Cina in primis, ma è evidente nel quotidiano quanto al ritorno in pubblico del tema morte corrisponda il tentativo inverso di eluderla, come d’altronde si vede nelle attività di tutti i giorni.

      Rispondi

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