Paura della morte, paura della vita, di Marina Sozzi
Noi tutti abbiamo, in dosi variabili, paura della morte. Non voglio parlare della tanatofobia, che comporta sintomi paralizzanti e un terrore ossessivo. Vorrei parlare della paura che abbiamo tutti, e che fa capolino quando capita di pensarci. Questa paura ha prima di tutto un ancoraggio biologico. E’ un’area del cervello antica, chiamata amigdala, che condividiamo con gli animali, a rispondere mediante la paura (reagendo con attacco, fuga, o freezing) di fronte alle situazioni che mettono in pericolo la nostra sopravvivenza.
Mentre gli animali, però, si attivano solo in caso di rischio imminente (l’avvistamento del leone per la gazzella), gli uomini sanno che moriranno, e sono quindi perpetuamente divisi tra la consapevolezza dell’ineluttabilità della morte e il desiderio di vivere eternamente.
La paura nasce da questo scarto incolmabile.
E’ quindi paura di ciò che è massimamente sconosciuto e oscuro? Certamente, la morte è del tutto inconoscibile e impensabile, del tutto opaca per gli uomini, e per questo fonte di ansia e angoscia. Noi nasciamo vivi, e la vita è tutto quello che sappiamo, con cui abbiamo familiarità.Ma l’ignoto non è l’unica ragione del timore.
Oltre ad avere paura della morte, noi paventiamo il processo del morire, ossia le circostanze che possono condurci alla morte. Sovente temiamo di soffrire, e abbiamo in mente alcune immagini del fine vita che hanno fatto parte della nostra esperienza, e che ci inquietano in modo particolare. Da quando ho assistito mia suocera malata di Alzheimer, ad esempio, quello è diventato per me il più disturbante dei pensieri: l’involuzione, la totale perdita del controllo, il fatto di diventare un corpo ignaro di tutto, gettato nel mondo. Mi fa molto meno paura morire di cancro, perché so che potrò contare sull’assistenza e sul sostegno delle cure palliative. Ma non è così per tutti.
Proprio perché specifica e soggettiva, questa paura è diversa da un individuo all’altro, e può differire anche a seconda del momento della vita. Inoltre, visto che esistono molti tipi di apprensione che possono essere inclusi nell’idea generale della “paura della morte”, quest’ultima potrebbe essere descritta, in realtà, come una paura della vita. Il morire fa infatti parte della vita, al contrario della morte, che la delimita e la conclude, e per questo resta estranea alla vita.
Di fronte all’ignoto, infatti, noi usiamo immagini per riempire le lacune concettuali, l’impossibilità di conoscere, il mistero. E queste immagini sono modellate dalla cultura e dalla storia: se abbiamo vissuto un conflitto o viviamo in contesto di guerra, possiamo avere il terrore della distruzione che quest’ultima comporta; oppure, se siamo anziani, possiamo temere maggiormente l’infermità e la vulnerabilità di malattie legate all’invecchiamento, e così via. Per concludere, ciò che chiamiamo “paura della morte” potrebbe essere una paura mortale di certi aspetti dell’esperienza umana, o addirittura della vita in generale.
Lo psicoanalista Irving Yalom, nel suo libro Fissando il sole, narrava alcuni casi clinici in cui la paura della morte, durante il percorso analitico, si era rivelata essere piuttosto sintomo di una difficoltà rispetto ad alcuni particolari vissuti. Una storia che mi è rimasta impressa riguarda una terapista britannica, Julia, che dopo la morte di un’amica era diventata ipocondriaca e terrorizzata dalla morte al punto da smettere di fare tutto ciò (sport, e perfino guidare l’auto) che la esponesse a un rischio anche molto piccolo. Durante un viaggio in California chiese aiuto a Yalom, il quale le rivolse una domanda che faceva spesso ai suoi pazienti: “Di quale aspetto particolare della morte ha paura?”. Julia rispose: “Tutte le cose che non ho fatto”. Da quel momento l’analisi prese un’altra via, e permise a Julia di comprendere che aveva impedito a se stessa, per il timore di non essere all’altezza, di realizzare o almeno di misurarsi con le sue ambizioni artistiche. La paura della morte, occultata dal dolore per la perdita dell’amica, nascondeva a sua volta una vita insoddisfacente da cui Julia non riusciva ad affrancarsi. L’identificazione della paura più autentica e profonda permise a Julia di mettersi alla prova, e l’angoscia di morte diminuì.
Voi avete mai riflettuto sulla vostra paura della morte? Di cosa avete soprattutto paura? La vostra paura si collega con le vostre esperienze di vita? L’idea delle cure palliative vi conforta?