Estate, lutto e solitudine di Cristina Vargas
Il mese di luglio è trascorso. Agosto è alle porte. Anche se meno di quanto capitava in passato, le città si svuotano e molti partono per godersi il mare o la montagna anche solo per qualche settimana. Tuttavia, l’estate, che associamo a un tempo di luce, di vita e di vacanze, non per tutti è un momento gioioso: per le persone anziane, per chi assiste un caro in condizioni di malattia grave o per chi ha vissuto una perdita importante, questo tempo può essere connotato da un profondo senso di solitudine. In un mondo vacanziero che ha poca voglia di soffermarsi sul dolore altrui, la sensazione di avere una coloritura emotiva dissonante, che appesantisce gli altri, rende più acuto il senso di isolamento. Può capitare di dover vivere in sordina le proprie sofferenze, di mettere a tacere i propri bisogni o di far finta che le cose vadano meglio, per non preoccupare i propri cari.
In questa cornice emotiva, il tema di come trascorrere le settimane delle ferie è stato oggetto di molte riflessioni nei nostri gruppi di sostegno al lutto. Anche se ognuno dei partecipanti ha fatto scelte diverse, per tutti – soprattutto per chi si trova a vivere la prima estate dopo la morte del proprio caro – è stata forte l’angoscia su come attraversare questo periodo dell’anno.
Per alcune persone la solitudine è un dato materiale, una realtà inesorabile che può rendere impossibile progettare una vacanza: a volte, semplicemente, non si ha la possibilità di viaggiare perché l’età, le condizioni fisiche, gli impegni di cura o fattori economici lo impediscono.
“Ricordo l’estate scorsa…”, raccontava pochi giorni fa una donna che è stata a lungo caregiver di suo marito, “lui stava malissimo e io passavo giorno e notte a stargli accanto. Era seguito a casa e io non sapevo più come fare per aiutarlo a sopportare il caldo tremendo che faceva. Ricordo che lo giravo, gli passavo i panni di acqua, avevo messo due ventilatori, ma non bastavano. Mi aggiravo per la casa come un’anima in pena. I figli e nipoti erano al mare, ed era giusto così. Solo che io ero sola, e mi sentivo sprofondare”. Ora che il marito non c’è più potrebbe fare un po’ di vacanza, o almeno andare a trovare i parenti, ma proprio non se la sente…
Nonostante le buone intenzioni di chi invita e suggerisce di “cambiare aria”, per molte persone in lutto partire è del tutto impensabile. Non si tratta di un “lasciarsi andare” – come a qualcuno dei membri del gruppo è capitato di sentirsi dire – ma di una vera e propria impossibilità psichica. Chi vive un lutto sovente sperimenta una perdita di interesse per il mondo esterno, a cui si unisce un profondo svuotamento interiore, come se una parte importante del proprio essere fosse morta con il proprio caro. Questo stato d’animo, nelle fasi più acute, impedisce di vivere, di fare progetti, di pensare a qualsiasi cosa che non sia l’assenza. In queste situazioni l’ascolto di se stessi è importante: un viaggio compiuto prima di esserne pronti, o al quale si acconsente controvoglia, può dimostrarsi controproducente e può generare sensi di colpa, risentimento o rabbia.
Chi rimane, tuttavia, si ritrova a dover gestire l’afa, il caldo, la difficoltà a dormire, la disidratazione, l’affaticamento fisico e molti disagi legati al clima, che possono rendere estremamente faticose le settimane estive, in particolar modo per chi è in condizioni di vulnerabilità e non ha una adeguata rete di supporto familiare. Una ricerca pluriennale condotta da Leonardo Palombi, Professore di Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’Università Tor Vergata di Roma, ha mostrato infatti un aumento della mortalità fra gli ultrasettantacinquenni durante le ondate di calore che si registra quasi tutti gli anni dal 2003 ad oggi. È importante quindi non limitarsi nel chiedere aiuto quando necessario e, per chi ha un genitore o amico che sta attraversando un lutto, mantenere alta la vigilanza rispetto al benessere del proprio caro.
Nel gruppo, comunque, altri hanno scelto di partire.
Alcune partenze sono vie di fuga. Una delle donne che seguo in terapia individuale ha colto l’occasione per fare le valigie e andare il più lontano possibile dai ricordi che ingombrano una casa in cui si sente soffocare. Quando il dolore è così intenso, è umano tentare ogni percorso, perché non esiste un “modo giusto” di vivere il lutto.
Qualcuno, invece, ha trovato la forza di fare un po’ di vacanza nella famiglia: “perché i figli ne hanno bisogno” o “per far piacere ai nipoti”. Una rete familiare solida è una risorsa importante nel percorso di elaborazione, perché in molti sensi rappresenta una motivazione ad “andare avanti” e un ancoraggio alla vita. In questi casi si può avere un’oscillazione fra il senso del dovere (che a volte può essere gravoso), e il piacere di condividere dei momenti con delle persone amate. Contattare questa seconda dimensione non è semplice e avviene in modo graduale e discontinuo, ma lentamente nella vita del dolente si affaccia nuovamente la possibilità di giocare con i nipoti, di cogliere la bellezza di un paesaggio o di godersi le piccole cose che un tempo erano fonte di gioia.
Altri viaggi sono soprattutto ritorni, temuti o desiderati, ma in ogni caso costellati da paure e domande. Una figlia, per esempio, ha scelto di tornare nel paese di origine del padre deceduto qualche mese fa: un luogo del cuore, che evoca le lunghissime estati dell’infanzia, i profumi della cucina della nonna e molte altre immagini piene di bellezza e nostalgia. La sua scelta è un tentativo di riscrivere una relazione che poi divenne conflittuale e rabbiosa, e che venne ritrovata solo negli ultimi mesi della malattia.
Un vedovo, insegnante al liceo, è tornato con un misto di piacere e dolore nel loro paese del Sud dove è nato: lì aveva conosciuto la moglie e l’aveva sposata; lì avevano molti parenti e amici storici; lì c’è la loro piccola seconda casa, in cui sognavano di trascorrere gli anni della pensione. Come mi sentirò, in quel posto che era nostro, senza di lei? Come sarà incontrare tutti, soprattutto le persone che non sono salite per il funerale e che non ho ancora visto? Questo viaggio sarà per me un momento di chiusura, o sarà invece una ferita che si riapre? Queste e molte altre domande si affastellavano nella sua testa nei giorni precedenti al viaggio.
L’estate, quindi, è un momento di fatica e solitudine, ma pian piano, quando il dolore non è più travolgente e incontenibile come nelle prime fasi, può anche essere un’occasione per (ri)contattare luoghi della memoria o per ritrovare spazi vitali e una tappa significativa nel processo di riorganizzazione della propria esistenza che caratterizza il lutto.
Volete condividere la vostra esperienza?
Articolo molto interessante, sviluppa un tema che abbiamo affrontato anche noi all’inizio di luglio sul nostro blog: https://www.leniterapia.it/estate-e-lutto-come-affrontare-il-dolore/
Nella nostra esperienza, tante richieste di supporto arrivano proprio nel periodo estivo, soprattutto per partecipare ai gruppi di auto mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto, degli spazi protetti dedicati all’ascolto reciproco e alla condivisione dell’esperienza di perdita tra persone con un vissuto simile. Un servizio che la nostra fondazione offre (sia in presenza sia da remoto) alla comunità dal 2009.
Grazie mille per la segnalazione. Per noi è molto importante conoscere tutte le iniziative di supporto al lutto, per segnalarle a ci contatta da altre Regioni.
Lo scorso anno, il 17 agosto, mia moglie morì per una complicanza inaspettata (polmonite atipica fulminante) n poco più di 36 ore.Sebbene fosse una paziente oncologica vi erano, secondo i medici, discrete possibilità di guarigione. E invece capitò l’imprevedivile.
Mia moglie è stata la mia care-giver per molti anni ed abbiamo conndiviso 28 anni di matrimonio.
Dopo un periodo molto difficile, nel quale sono stato supportato da una psicologa, ho capito che dovevo riprendermi in mano la mia vita partendo dalla consapevolezza che tutto era cambiato ed era necessario ricostruirmi un domani. Ho incominciato questo percorso nuovo con il fare dei viaggi in compagnia, ho coltivato relazioni sociali e personali. Tra pochi mesi cambierò casa, troppo grande l’attuale e quindi inadeguata alle mie esigenze personali. In questi giorni i ricordi della scorsa estate sono ricorrenti, la data del primo anniversario si sta avvicinando. Sebbene con molta difficoltà, sto attraversando un periodo abbastanza positivo e ricco di novità e interessi. Il ricordo di mia moglie è nitidissimo, la sofferenza e il dolore di quegli ultimi giorni vengono, col tempo, sostituiti, in parte, da quelli bellissimi che ho condiviso con lei. E questo mi stimola ad andare avanti.
Grazie per avermi dato la possibilità di testimoniare questa esperienza.
Fra poco saranno 3 mesi dalla morte di mio marito. Il dolore è vivissimo e l’estate non è certo la stagione migliore per attraversare un lutto. Mi aiuta il fatto che sto trascorrendo il mese di agosto nella città natia, Genova, dove sono tornata sempre anche con mio marito.
In questo mese vado ogni giorno da mio padre, un giovane di quasi 93 anni, che sta affrontando come un leone la morte di mio marito, per lui un terzo figlio.
Vedere la forza di mio padre mi è d’aiuto, anche se non può attutire il dolore.
Stare nel perimetro del nostro nido mi fa sentire protetta.
Mi rendo conto di non volere né riuscire, in questo momento, andare in posti estranei alla storia d’amore vissuta con mio marito.
Genova e Milano sono al momento il perimetro dei miei spostamenti.
È passato poco tempo dal giorno in cui mio marito è morto, dunque mi abbandono al pianto ogni qual volta salgono le lacrime.
La mia unica cura è stancarmi fisicamente, facendo le pulizie a casa mia e di mio padre e poi andando ad acquagym.
La stanchezza fisica mi assicura il sonno, nonostante faccia poco rispetto al pianto.
Va bene così. Ho tanto dolore dentro e spero che a poco a poco esca, senza ristagnare.
Grazie per i vostri commenti! I viaggi hanno tanti significati e le vostre testimonianze sono preziose perché ogni sfumatura possa emergere: dalla possibilità che essi danno di riprendere in mano la propria vita e rinnovarsi al contatto con i luoghi cha abbiamo amato e che ci fanno sentire dentro un nido.
Questa notte è morta mia nonna. Sarà perché aveva 92 anni e uno stato di salute ormai precario e sofferente, sarà perché da qualche hanno ormai sto cercando di approcciare questa importantissima tappa della nostra vita con un approccio non più fondato (esclusivamente) sulla paura, o semplicemente perché non l’ho ancora realizzato, ma non ho sofferto come credevo. Quello che si, mi ha fatto stare male e che ravvisavo nell’articolo della professoressa Vargas, è il senso di colpa sperimentato nei giorni scorsi: mentre lei peggiorava, io andavo tranquillamente al mare o per locali (sopratutto questi ultimi giorni a causa dell’arrivo già programmato di un vecchio amico da Torino). Sarei dovuto andare a trovarla questa mattina, dopo averla vista venerdì, ma il destino non ha voluto. Mi sento in colpa anche nei confronti dell’unico caregiver della nonna, forse lasciato troppo solo. Sento che una parte di me avrebbe voluto/dovuto stare al suo capezzale e accompagnarla.
Un’altra parte invece mi dice che era giusto così, che la vita non doveva/deve arrestarsi. Chissà forse è solo una giustificazione che mi do. Credo però che sarebbe sano ripristinare gesti e ritualità (non del tutto sfaldate qui in Sicilia) che possano aiutare la persona morente e la sua famiglia in questo passaggio fondamentale. Adesso non so come passerà questo ultimo scampolo d’estate, quello che so però è che da oggi in poi la città sarà più vuota.
Bellissimo articolo, cara Cristina, rispecchia esattamente il mio stato d’animo della scorsa estate..non ci può essere una rimozione del lutto, ma se qualcuno ti prende per mano…si può e si deve andare avanti….io sono stata fortunata…ho trovato due mani….e anche se ora una mi ha lasciato…ho ancora la tua, che stringerò co maggiore forza… grazie…