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Tag Archivio per: testamento biologico

Le DAT alla luce del Covid, di Marina Sozzi

1 Marzo 2022/6 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Le DAT, ovvero le Disposizioni anticipate di trattamento, la cui validità giuridica è stata stabilita dalla legge 219/2017, sono un tema molto importante, che questo blog ha già trattato in passato. Ad oggi, nonostante siano passati quattro anni dall’approvazione della legge, meno dell’1% della popolazione italiana ha testato. Forse negli ultimi due anni hanno avuto un peso le difficoltà create dalla pandemia ad accedere agli uffici comunali preposti, specialmente nelle grandi città. Tuttavia, la percentuale di testatori è irrisoria.

Le persone faticano a immaginarsi in una situazione in cui non siano più in grado di decidere per sé, e spesso non sono sicuri su cosa sia opportuno scrivere su quel modulo di Disposizioni anticipate di trattamento, o non sanno a chi dare il ruolo di fiduciario.

La pandemia, certo, non ha semplificato le cose.

Alcuni avevano ben chiaro di non voler essere attaccati a ventilatori meccanici, quando pensavano che la respirazione artificiale potesse venir loro applicata a seguito di un gravissimo incidente, ad esempio, col rischio di restare in stato vegetativo permanente, come è accaduto a Eluana Englaro. Non ci aspettavamo, però, che potesse colpirci una malattia infettiva gravissima, che ha compromesso la nostra capacità di respirare, ma dalla quale vi era una possibilità di uscire guariti, perfettamente ristabiliti.

E, d’altro canto, invece, in questa epidemia di Covid, in certi casi aver testato sarebbe stato importante per salvaguardare la propria capacità di scegliere, anche nella situazione convulsa in cui versava la sanità nei momenti di diffusione più rapida del virus.

Non siamo tutti uguali, e ci sono persone, magari molto anziane, o un po’ stanche di vivere, che non avrebbero voluto finire in terapia intensiva qualora si fossero ammalati di Covid, ma solo essere accompagnate da buone cure palliative. Invece, nella maggioranza dei casi, hanno deciso i medici, e sappiamo peraltro dai loro racconti quanto sia stato difficile scegliere tra i pazienti malati di Covid che si recavano in ospedale.

Diceva una dottoressa intervistata da Open nell’aprile 2020: «All’inizio avevo paura. Ora no. Ti abitui alle regole di un ospedale in guerra, ti abitui al terremoto, a prendere una decisione al minuto». Tra cui quella più difficile: «Chi puoi salvare e chi no. Io l’ho fatto e devo conviverci ogni notte». «Marzo è stato il mese peggiore della mia vita, lottavamo contro l’invisibile. I letti in terapia intensiva non bastavano mai. E così capitava che dovendo scegliere tra un paziente settantenne, pieno di complicanze, e un altro che poteva farcela, sceglievi di intubare il secondo, lasciando andare il primo». Una decisione in cui ci si consultava tra colleghi, spiega la dottoressa, «ragioni, rifai i calcoli cento volte, litighi. Ma alla fine decidi».

Alcuni di noi si sono scandalizzati (a mio modo di vedere erroneamente) quando, all’inizio di marzo 2020, la SIAARTI, società scientifica degli anestesisti e dei rianimatori, ha pubblicato un documento in cui dava istruzioni ai colleghi che si trovavano di fronte a una scarsità di risorse in rapporto alla quantità di malati. Scrivevano gli intensivisti che lo squilibrio tra necessità cliniche e disponibilità effettiva delle risorse, li obbligava a utilizzare i criteri tipici della medicina delle catastrofi: «Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”. Il bisogno di cure intensive deve pertanto essere integrato con altri elementi di “idoneità clinica” alle cure intensive, comprendendo quindi: il tipo e la gravità della malattia, la presenza di comorbidità, la compromissione di altri organi e apparati e la loro reversibilità.»

Sarebbe cambiato qualcosa se la popolazione avesse in maggioranza testato, esprimendo ad esempio le proprie preferenze riguardo alla ventilazione meccanica? Si sarebbe potuto tener conto di quelle disposizioni, sapendo che erano state scritte in una situazione molto diversa, nella quale le malattie letali erano prevalentemente croniche, e la morte come evento improvviso ce la si sarebbe potuta aspettare soprattutto come conseguenza di gravi incidenti?

Credo che sia giunto il momento di ripensare alle DAT, alla luce del Covid, per fare una campagna rilevante, nazionale, di divulgazione. In questi mesi passati l’ha fatta VIDAS, fondazione milanese che si occupa di cure palliative, che ha promosso l’idea di testare con spot su diversi canali, tv, radio, stampa e digitale, che sono stati fruiti da oltre 23 milioni di utenti. Circa 6.000 persone hanno voluto approfondire, e scaricato la guida presente sul sito VIDAS e il modulo per la stesura delle proprie DAT, messo a punto con la collaborazione della bioeticista Patrizia Borsellino. Lo slogan è stato: “Scelgo adesso, perché posso”. La linea telefonica di prima informazione gestita da volontari ha ricevuto tra ottobre e dicembre decine di richieste da parte di persone interessate e desiderose di approfondire. C’è stato anche un servizio di sportello che ha accompagnato alla redazione del proprio biotestamento, valorizzato come un atto di libertà e autodeterminazione. Sarà poi interessante, a campagna conclusa, capire quanti sono stati i testatori in più, e se nell’area del milanese, dove è stato possibile accedere allo sportello di consulenza, ci sia stato uno spostamento interessante delle percentuali di persone che hanno lasciato le proprie disposizioni.

Se dovesse essere così, si renderebbe evidente che occorre una consulenza per indurre le persone a testare, come dimostrano anche i casi dei paesi dove una campagna nazionale seria è stata fatta, come il Canada (12% della popolazione ha scritto il proprio living will) e gli Stati Uniti (25%).

Ma soprattutto, ritengo che il Covid debba indurci a lasciare le nostre volontà dando non tanto precise indicazioni su ciò che si accetta e ciò che si rifiuta, quanto fornendo la nostra visione filosofica della vita e della morte, delle limitazioni della nostra salute che siamo in grado di accettare, e di quelle che invece renderebbero la nostra esistenza non più meritevole per noi di essere vissuta. E per arrivare a questa visione, occorre che ci vengano poste le giuste domande, che ci facciano riflettere, andando in profondità, sul nostro rapporto con la vita e con la morte.

Che cosa ne pensate? Avete riflettuto sulle DAT durante la pandemia? Secondo voi un medico avrebbe potuto, o dovuto, tener conto del testamento biologico eventualmente presente nel contesto dell’epidemia di Covid-19?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2022/02/will1-960x720-1-e1646046111671.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2022-03-01 09:00:002022-02-28 12:36:50Le DAT alla luce del Covid, di Marina Sozzi

Riflessioni sulla morte di Vincent Lambert, di Marina Sozzi

12 Luglio 2019/26 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

E’ morto Vincent Lambert, ieri mattina. Il suo caso ha sollevato un dibattito bioetico in Francia sul fine vita, con notevoli ripercussioni anche in Italia.

Riassumiamo i termini della questione, per come è possibile dedurla dai giornali, italiani e francesi, per poi fare alcune riflessioni a margine (perché sono convinta che per esprimere opinioni sulla vita di un uomo occorre: a) una competenza medica specialistica approfondita, b) una competenza giuridica, c) e soprattutto una conoscenza profonda della persona (non solo del caso) e della sua storia biografica e psicologica.

Vincent nel 2008 faceva l’infermiere e aveva 32 anni, era sposato e aveva avuto da poco una bambina. Le conseguenze del grave incidente stradale di cui fu vittima sono descritte in due modi dai quotidiani on e off line. C’è chi ha parlato della tetraplegia e di una lesione cerebrale definita “sindrome della veglia non responsiva”, interpretando quindi Vincent come un disabile, poiché respirava senza ventilatore, il suo cuore batteva, e non era in stato di morte cerebrale.

Altri hanno definito la sua situazione come stato vegetativo, come fecero nel novembre 2018 gli esperti incaricati dal Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne: “stato vegetativo irreversibile cronico”.  Le due definizioni sono simili, e tuttavia lasciano spazio a diverse letture etiche: infatti, intorno a questo caso penoso, si è combattuta per dieci anni una battaglia non solo legale, ma anche intrafamiliare. E questo è, se vogliamo, l’aspetto più triste di questa vicenda.

Le considerazioni che mi vengono spontanee sono le seguenti: e sono interrogativi e auspici piuttosto che certezze.

1) Credo che la medicina dovrebbe essere molto più prudente e guardinga nei suoi tentativi di rianimazione, e che dovrebbe considerare un fallimento grave produrre un vivo/non vivo come è accaduto a Vincent, o ad Eluana, (e oggi pare ci siano in Italia tremila persone che si trovano in una situazione analoga, estrema). Nel suo bellissimo libro, Quando il respiro si fa aria, il neurochirurgo indo-americano Paul Kalanithi scrisse: “Di pari passo con le mie competenze aumentarono anche le responsabilità. Per imparare a valutare quali vite si possono salvare, quali no, e quali non si dovrebbero salvare, serve una capacità di prognosi inarrivabile. Commisi anch’io i miei errori. Come trasportare d’urgenza un paziente in sala operatoria solo per salvargli abbastanza cervello da fargli battere il cuore, anche se non avrebbe parlato mai più, avrebbe mangiato attraverso un sondino e sarebbe stato condannato a un’esistenza che non avrebbe mai voluto… Arrivai a considerarlo un fallimento ancora più madornale rispetto alla morte”.

Si tratta di una riflessione che ogni rianimatore dovrebbe aver modo di apprendere e discutere all’università. L’etica comporta in questo caso, al contempo, esperienza e tecnica: evitare di trasformare una vita umana nell’esistenza di un metabolismo inconsapevole. Fermarsi prima. Rinunciare. Accettare che subentri la morte.

2) Una volta che un medico o un’équipe medica abbia creato, per inesperienza o per fatalità, un’esistenza di questo tipo, si entra evidentemente in un terreno minato, perché qualunque sia la decisione che si prende, si rischia di farlo contro il volere che avrebbe avuto il paziente quando era cosciente. Le Dichiarazioni anticipate di trattamento, o testamento biologico, diventano a questo punto fondamentali. Non depositarle ci espone al pericolo di subire un’esistenza che mai avremmo voluto: non solo, ma rischiamo anche di creare situazioni estremamente penose di litigio tra le persone a cui abbiamo voluto bene, come è successo per Vincent. La moglie contro i genitori e viceversa, parole terribili invece del lutto comune. Anche in Italia, vi ricordo, abbiamo finalmente una legge sulle DAT (legge 219/2017) che dà loro una certa cogenza sulle scelte mediche. E tuttavia, mentre scrivo questo, sono consapevole della lunga strada ancora da percorrere nel nostro paese affinché la compilazione delle DAT diventi una scelta maggioritaria.

3) Inoltre, occorre finirla con l’uso improprio delle parole, come troppi giornalisti hanno continuato a fare anche per il caso Lambert. La parola “eutanasia” non ha nulla a che fare con quanto è successo, perché nessuna sostanza letale è stata somministrata a Vincent. Sono state sospese delle cure, che nel suo caso riguardavano l’alimentazione e idratazione artificiale. Che queste ultime siano da considerarsi cure mediche è stato ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica. E il fine vita di Vincent è stato accompagnato da cure palliative (da una sedazione palliativa profonda), per accertarsi che non soffrisse.

Chi ha scritto che il caso di Vincent è paragonabile a quello dell’anziano non più capace di nutrirsi da solo o del bambino disabile ha fatto un’operazione che non condivido, quella di utilizzare un caso estremo e generalizzarlo, per colpire la mente e la pietas di chi legge. Ma, come non bisogna applicare tecnologia medica sproporzionata, sia per gli anziani sia per ogni altra persona, qualunque sia la sua età, così non bisogna generalizzare. Ogni caso ha la sua specificità, e deve essere pensato nella sua singolarità, mentre le leggi fungono da quadro di riferimento.

4) Mi è subito venuto in mente, vedendo lo strazio della madre, che è rimasta accanto a Vincent per più di dieci anni, che questi genitori vadano aiutati e sostenuti a elaborare il lutto e a dare un senso diverso alla propria vita. Altrimenti, si sarà responsabili del deragliare di altre vite, vite che rischiano di frantumarsi senza lo scopo di tenere in vita il figlio.

Voi come la pensate? Come avete visto questa storia?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2019/07/Depositphotos_21626721_s-2019-e1562879077639.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2019-07-12 09:28:352019-07-12 09:28:35Riflessioni sulla morte di Vincent Lambert, di Marina Sozzi

La legge 219 parte seconda / le DAT, di Marina Sozzi

24 Maggio 2018/9 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Speaker at Business Conference and Presentation. Audience at the conference hall.Continuo il ragionamento sulla legge 219/2017. Non è un caso che il tema del consenso informato e quello delle dichiarazioni anticipate di trattamento siano stati riuniti in un’unica disposizione di legge. L’idea del testamento biologico (decidere cioè, ora per allora, a quali trattamenti vorrei o non vorrei essere sottoposto qualora dovessi perdere la lucidità e la coscienza) non avrebbe potuto emergere se non fosse stato messo in dubbio il paternalismo medico. Nel contesto di una cultura che pratica il paternalismo medico, una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento sarebbe priva di senso. Infatti, se si dà per scontato che sia il medico a dover prendere le decisioni sulla salute del suo paziente quando quest’ultimo è vigile e lucido, a maggior ragione sarà il medico a stabilire il da farsi se il paziente non è cosciente. I primi articoli della legge sono così un’imprescindibile premessa per l’art. 4 e seguenti. E’ stato lungo e difficile ottenere questa legge, proprio perché di fatto la nostra cultura medica, ma anche la nostra cultura in generale, sono ancora impregnate dal paternalismo.

In Italia, solo nel 1992 la Consulta di Bioetica aveva approvato una Carta dell’Autodeterminazione, che affermava il diritto dei pazienti a prendere decisioni sanitarie sul proprio corpo. Il testamento biologico, living will, o dichiarazioni anticipate di trattamento prendono forma come idea solo alla fine del secolo scorso, e sono tema ricorrente nel nuovo millennio.
In Italia ha contato molto la battaglia di Beppino Englaro per la figlia Eluana, che ha smosso le coscienze su quei casi, creati dalla medicina contemporanea (nel caso di Eluana lo stato vegetativo permanente), di persone tenute sospese tra la vita e la morte, perché qualcosa era andato male in una rianimazione, e non si poteva più tornare indietro e lasciar scivolare nella morte il malcapitato. Con questa legge, se Eluana avesse lasciato le sue disposizioni anticipate, non si sarebbero dovuti attendere diciassette anni prima di poterle sospendere l’alimentazione artificiale.

La legge 219 è dunque indubbiamente un considerevole passo avanti: la legge permette, oltre che la stesura delle proprie dichiarazioni anticipate, anche la nomina di una persona di fiducia, il cosiddetto fiduciario, che faccia le veci del paziente privo della capacità di autodeterminarsi e lo rappresenti nelle relazioni con i medici e le strutture sanitarie.
Tuttavia, anche in questa seconda parte della legge vi sono lacune che rischiano di inficiarne l’efficacia, e prima tra tutte l’assenza di ogni stanziamento in denaro per raccogliere adeguatamente i testamenti, far conoscere la legge e facilitare i cittadini che vogliono testare.

Diamo un’occhiata al resto del mondo, dove le Dat erano già legge diversi anni o decenni prima che in Italia. I dati non sono molto numerosi, né facili da reperire. Tuttavia, una ricerca in questo senso è stata condotta dall’Istituto di etica biomedica dell’Università di Zurigo nel 2008.
In Olanda, paese considerato molto avanzato per la legislazione sul fine vita, è presente una legge sulle Dat dal 1995. Nel 2008, cioè circa due decenni dopo la promulgazione della legge, testavano il 10% degli anziani tra 61 e 90 anni; mentre il resto della popolazione tra i 20 e i 60 anni ha lasciato disposizioni anticipate nel 3% dei casi. Solo il 7% delle persone con demenza aveva steso un testamento biologico. Se questi dati vi sembrano deludenti, sentite questi altri. In Austria la legge è presente dal 2006. Due anni dopo, dice la ricerca, avevano testato 3000 persone, meno dell’1% della popolazione, e si trattava di persone con malattie terminali, persone che rifiutano alcuni trattamenti per ragioni religiose, come i Testimoni di Geova, e alcuni anziani.
In Belgio la legge è stata promulgata nel 2002. Nel 2008 non esisteva un registro nazionale, e meno del 5% dei pazienti ricoverati in ospedale (non dei cittadini) aveva testato. Dati analoghi abbiamo per la Finlandia.
Per quanto riguarda la Spagna, possediamo dati più recenti grazie a un articolo scientifico di Pablo Simon Lorda, bioeticista spagnolo che collabora anche col Pais. I cittadini spagnoli vedono la legge (del 2008) di buon occhio, ma solo 23.000 hanno lasciato dichiarazioni anticipate, una percentuale di cittadini inferiore all’1%.
Non faccio altri esempi per quanto riguarda l’Europa. E’ evidente che in mancanza di un investimento rilevante in termini di informazione della popolazione e di supporto ai cittadini che desidererebbero lasciare le loro dichiarazioni anticipate, nulla si muove.

Interessanti, da questo punto di vista, i dati che riguardano il Canada. Nel paese ci sono state moltissime iniziative pubbliche per promuovere la pianificazione delle cure e la nomina di un amministratore di sostegno. Nel 2008 è anche stato fondato anche il National Framework and Implementation Project, al fine di fare educazione su questo tema sia per gli operatori sanitari sia per i cittadini. Risultato: il 96% dei cittadini ritiene che sia importante parlare con i propri cari di questa pianificazione, ma solo il 13% ha testato. E’ una percentuale comunque diversa dai paesi citati prima, ma che ci indica quanto lungo e paziente debba essere il lavoro culturale per arrivare a un cambiamento concreto di mentalità e quindi di prassi.

Un caso a sé, che andrebbe meglio indagato, è rappresentato dagli Stati Uniti, dove ha testato il 26% della popolazione (dati raccolti nel 2014 dall’American Journal of preventive Medicine). La legge è presente dagli anni Novanta nella maggior parte degli Stati. Testare è reso facile in quasi tutti gli USA, perché è possibile prendere un appuntamento per lasciare, in presenza di due testimoni, le proprie volontà. Questo 26% è formato da pazienti anziani, con uno status sociale tendenzialmente alto e con un rapporto continuativo con un medico di “primary care”, l’equivalente del nostro medico di famiglia.

Due considerazioni su questi ultimi dati. La prima: ritengo che sia stato un errore non dare ai medici di famiglia la responsabilità di raccogliere le Dichiarazioni anticipate. Sarebbe stato un modo per farli riflettere (anche sul consenso informato), e si sarebbero evitati i numerosi casi che mi sono stati raccontati, di pazienti che chiedono consiglio al loro medico per la compilazione delle Dat e si sentono rispondere che non è compito suo. Inoltre, si sarebbe evitata la situazione dell’Italia a macchia di leopardo, dove alcuni Comuni si sono attivati per raccogliere i testamenti e altri no. Infine, si sarebbero resi i testamenti più facilmente reperibili. Vi immaginate una realtà ospedaliera che deve ricuperare le vostre Dat negli uffici del vostro Comune, magari in una situazione di relativa urgenza?

La seconda considerazione. E’ noto che compilare le proprie dichiarazioni anticipate comporta andare con il pensiero a un futuro nel quale non vorremmo mai trovarci: una situazione eventuale in cui avremo perso la lucidità e la capacità di autodeterminarci, e saremo massimamente vulnerabili ed esposti all’ubris della biomedicina, per quanto benintenzionata. Lasciare il proprio testamento biologico è pertanto operazione anche emotivamente non facile, in cui i cittadini andrebbero accompagnati. Altrimenti la legge servirà a pochi privilegiati, a una élite culturale e sociale, mentre la grande maggioranza della popolazione resterà subordinata al volere altrui. Qualcuno penserà forse che la correttezza di un diritto, come quello stabilito da questa legge, non si misuri dal numero di persone che decidono di esercitarlo. E siamo d’accordo.

Tuttavia, ritengo che una legge come la 219/2017 contenga in sé eccellenti potenzialità per il cambiamento della prassi medica e della relazione medico/paziente, per la riduzione degli sprechi in sanità determinati dalle ultime inutili indagini diagnostiche, dagli ultimi interventi, dall’accanimento terapeutico che rifiuta di vedere nel malato non più un paziente grave ma un uomo che muore. Sarebbe valsa la pena di fare un investimento su questa legge.

Voi come la vedete?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/05/Depositphotos_24201719_s-2015-e1527173658249.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-05-24 16:55:292018-05-24 16:55:29La legge 219 parte seconda / le DAT, di Marina Sozzi

Punti interrogativi e silenzio, di Ferdinando Garetto

3 Marzo 2017/20 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

imgresRiceviamo e con piacere pubblichiamo la riflessione del dottor Ferdinando Garetto, medico palliativista della Fondazione Faro e Consulente del Servizio di Oncologia del Presidio Sanitario Gradenigo di Torino

La notizia meriterebbe rispetto e silenzio: un uomo di trentanove anni, Fabiano, reso gravemente invalido da un incidente,  perfettamente lucido e con un’attesa di vita probabilmente non diversa da quella di altri suoi coetanei nelle sue condizioni, disperato per la terribile invalidità, decide di suicidarsi. Viene accompagnato in uno Stato che approva il suicidio assistito, e con un’ “approfondita” valutazione (durata meno di 24 ore) è aiutato a morire. Cioè viene ucciso (o messo nelle condizioni di uccidersi), per pietà. Questa la definizione dal punto di vista della bioetica: e lascio volutamente da parte le polemiche estremiste sugli interessi economici, ben noti, delle società organizzate che provvedono a tali procedure.

Vuoto, disperazione, dolore, compassione, astensione dal giudizio sono le uniche parole autenticamente umane che meriterebbero di essere utilizzate.

Intanto, i mass media collegano il “caso” di Dj Fabo alla legge sulle Disposizioni (o forse Dichiarazioni, vedremo…) Anticipate di Trattamento in discussione in Parlamento. Occorre assolutamente sottolineare che tale legge, anche se fosse già stata approvata, non avrebbe certo permesso al giovane uomo di concludere in questo modo la sua vita… vita che non era “alla fine”. La legge in discussione non prevede l’eutanasia, per essere chiari. Né “attiva” né passiva” se proprio vogliamo usare una terminologia ambigua e confondente che non avrebbe più molto senso di essere usata: tutt’altro è la sedazione intenzionale profonda, ma non è questo l’ambito in cui approfondire il tema.

Fabiano aveva un “male dell’anima” oltre che del corpo ferito, che –forse- avrebbe potuto essere in altri modi curato. Chissà… Chi può dirlo? Quel che è certo, è che non sono i ritardi della legge ad “averlo sulla coscienza”, come è stato detto da qualcuno.

Piuttosto, la Società intera forse dovrebbe farsi un esame di coscienza, ma siamo ancora capaci di coscienza? Di vicinanza? Di Senso e Significato? Di Società? Lasciateci il diritto, in questo momento, di rimanere in silenzio, con nella mente e nel cuore le infinite storie quotidiane che nelle case e nelle famiglie vanno diversamente: ma sarebbe un oltraggio, anche per queste tante storie diverse, “sbandierarle” e “urlarle”, come in uno stadio dove il tifo acceca e toglie lucidità.

I tuttologi spaventano per le loro certezze. Se ne vedono tanti, alcuni particolarmente prestigiosi e molto presenti. E un uomo è morto. “Con una procedura durata circa mezzora”. Musica di sottofondo. Pubblicità.

Rimanere, in silenzio, dicevamo, senza risposte, ma “rimanere”, “stare”, “stare accanto”… Da qui si aprirebbe il grande capitolo delle cure palliative, il grande diritto “a non soffrire” che è uno dei diritti più dichiarati (senza bisogno di altre leggi), ma al tempo stesso misconosciuti.

Non varrebbe la pena di unire le forze per questo? La legge 38/2010 prevede questo diritto per ogni cittadino italiano, ed è una legge fra le più avanzate d’Europa. La legge sulle DAT in discussione in Parlamento ci pone in linea con le posizioni delle articolate legislazioni europee, come quella francese. E ci porta avanti in questo cammino.

Invece i “casi limite” sanno di forzatura, di tentativo di “spallata”, e finiscono solo per frammentare, accendere gli animi, e in definitiva ritardare l’approvazione della legge o forse rovinarla: qualche risultato deteriore in tal senso sembra lo stiano già ottenendo… Ma è questo ciò che si vuole?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2017/03/Depositphotos_65678249_s-2015-e1488473748206.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2017-03-03 09:24:532017-03-03 09:24:53Punti interrogativi e silenzio, di Ferdinando Garetto

A che punto siamo con le DAT? Intervista all’avv. Giulia Facchini Martini

20 Febbraio 2017/7 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Last Will and Testament form with gold jewelry, close-up

Il 27 febbraio arriverà in aula alla Camera il provvedimento sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) o testamento biologico. Che cosa si intende esattamente per “Dichiarazione anticipata di trattamento” e a che cosa serve?

Premetto che mi riservo l’esame del progetto di legge unificato quando verrà approvato, dato che l’argomento è “sensibile” e le modifiche potrebbero essere di pregnante rilievo. Il termine “testamento biologico” deriva dall’inglese “Living Will” ed è meglio definito come “Direttiva anticipata di trattamento”, una formula che esprime più chiaramente l’inderogabilità della volontà del paziente. Per mezzo della direttiva anticipata di trattamento ogni individuo può chiedere, qualora si trovasse in una situazione di incapacità a manifestare il proprio consenso informato alle cure, di non essere sottoposto a trattamenti medici che non accetta o che considera lesivi della propria dignità sulla base delle sue personali convinzioni etiche o religiose.

Da un punto di vista legale, che cosa differenzia la dichiarazione anticipata di trattamento dall’eutanasia?

Con il testamento biologico la persona compie una scelta, proiettata nel futuro, e fondata sul diritto di ricevere o rifiutare determinati trattamenti sanitari, anche qualora questi trattamenti si rivelassero indispensabili per la sopravvivenza. Con l’eutanasia invece, senza qui entrare nel merito delle ulteriori distinzioni tra eutanasia attiva e passiva, si richiede a un soggetto, normalmente un medico, la prescrizione di una sostanza letale che, se somministrata al richiedente, ne provoca la morte e che, quindi, non può essere in alcun modo paragonata a un trattamento sanitario.

Su quali fondamenti normativi si basa la direttiva anticipata di trattamento?

La Cassazione, in base alla normativa nazionale e sovranazionale, ha sviluppato questo ragionamento: nessuno può essere sottoposto a cura se non presta il suo consenso. Vivere non è obbligatorio. Le cure possono essere accettate ma possono essere anche rifiutate. In particolare la Cassazione, che è il nostro giudice supremo, afferma espressamente: “Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario. Senza il consenso informato l’intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per la realizzazione dei suoi migliori interessi” (sentenza 21748/2007). In altre parole, sul paziente in grado di esprimere il consenso o il dissenso informato, perché capace di intendere e volere,  non è possibile praticare alcun trattamento sanitario contro la sua volontà.

Ma se nel momento in cui dovrebbe esprimere il consenso informato il paziente è incosciente cosa accade?

La risposta ci viene sempre dalla citata sentenza della Cassazione. Questa analizza anche il caso di chi, non più in grado di esprimere la propria volontà a causa di una totale incapacità, non aveva indicato – nel pieno possesso delle sue facoltà mentali – quali terapie avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe rifiutato, se si fosse trovato in uno stato di incoscienza. In questo caso specifico la sentenza afferma che è il suo rappresentante (tutore o amministratore di sostegno) a provvedere all’espressione del consenso informato, seguendo le istruzioni precedentemente fornite o ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente. Tale ricostruzione deve tener conto dei desideri da lui espressi prima della perdita di coscienza, considerando la sua personalità, il suo stile di vita, i suoi valori e le sue convinzioni etiche, religiose, culturali, filosofiche.

Senza una legge sul fine vita questa dichiarazione anticipata di trattamento si può validamente esprimere?

 Sì. Nel Codice Civile c’è l’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6. Si tratta di un istituto di protezione dei soggetti deboli. Un istituto snello, agevole, che garantisce molti diritti e facoltà. L’amministratore di sostegno può essere nominato dal giudice tutelare per la persona non più capace di intendere e di volere (o soggetta a tipi di limitazione fisica o psichica, tali da rendere necessario un suo affiancamento). Non tutti sanno, però, che l’articolo 408 del Codice Civile permette a chiunque, e in qualunque momento della sua vita, di indicare e scegliere una persona come suo amministratore di sostegno, nel caso di una futura menomazione fisica o psichica. Tale norma è stata ulteriormente elaborata da un gruppo di magistrati e avvocati dell’Emilia-Romagna. Questo gruppo ha pensato di estendere la norma di modo che a tale persona si possano dare indicazioni sulle cure da adottare, sul fine vita e sull’amministrazione dei propri beni.

Ma allora, secondo lei, c’è bisogno di una legge sul fine vita?

L’unica ragione per la quale io riterrei utile una legge sul fine vita è la seguente: chiarire una volta per tutte che la dichiarazione anticipata di trattamento si può fare attraverso la designazione preventiva di un amministratore di sostegno. Ciò per evitare che le indicazioni, precedentemente espresse nella dichiarazione anticipata di trattamento, vengano messe in discussione da qualche magistrato, quando non si è più in grado di intendere e di volere.

Le faccio una domanda un po’ tecnica. Nei progetti di legge sino ad oggi presentati – poi in gran parte riuniti nel testo unificato di discussione – quali sono secondo lei i problemi?

I progetti pendenti nella XVII legislatura, iniziata il 15 marzo 2013, sono almeno nove. I temi e i problemi evidenziati possono così riassumersi:

CONSENSO INFORMATO: evidentemente nella prassi medica il vero consenso informato non è affatto praticato dato che moltissimi progetti di legge si dilungano nella dettagliata previsione del consenso informato e nella modalità di raccolta.
MODALITA’ DELLA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI TRATTAMENTO: è un tema che torna in modo più o meno dettagliato in tutti i progetti con la previsione che la dichiarazione anticipata di trattamento vada effettuata o in via estremamente ufficiale o in via orale e confermata da testimoni.
AMPIEZZA DELLA DAT: la questione è se con la direttiva anticipata di trattamento ci si possa o meno spingere sino a chiedere l’eutanasia attiva o passiva e si possa rifiutare l’alimentazione e l’idratazione forzata.
CONSERVAZIONE DELLA DAT: altro problema sul quale i progetti di legge si dilungano è la conservazione della direttiva anticipata di trattamento con soluzioni varie che vanno dalla conservazione informale, all’allegazione alla cartella clinica, alla conservazione in un registro nazionale informatico.
DURATA DELLA DAT: altro tema è l’efficacia nel tempo della direttiva anticipata di trattamento, e quindi l’attualità del consenso informato prestato oggi per il futuro.
EFFICACIA DELLA DAT: c’è poi la questione di quanto la direttiva anticipata di trattamento vincoli i medici e il personale sanitario, e le connesse responsabilità in caso di mancato rispetto della volontà espressa dal paziente nella DAT.
NOMINA DEL FIDUCIARIO: che è il soggetto a cui il paziente conferisce il compito di esprimere il proprio consenso informato. Su questo occorre sottolineare che nessun progetto di legge si preoccupa di regolamentare il rapporto tra il fiduciario e l’amministratore di sostegno o il tutore.
Molti progetti pendenti si occupano del tema delle CONTROVERSIE TRA IL PAZIENTE E/O IL FIDUCIARIO E IL MEDICO SUI TRATTAMENTI DA PRATICARE O DA NON PRATICARE, prevedendo le soluzioni più fantasiose, dall’istituzione di un comitato etico per ogni struttura di ricovero al ricorso al Giudice tutelare con o senza preventiva segnalazione al Pubblico Ministero.
Un elemento che anche nei progetti di legge crea evidenti problemi è la REGOLAMENTAZIONE DELL’EMERGENZA: quando il paziente è in fase acuta e non in grado di esprimere il proprio consenso informato cosa fa il medico?
Infine ci sono molti progetti che si dilungano sul tema della RESPONSABILITA’ MEDICA, soprattutto in caso di eutanasia.

Quali sono secondo lei le difficoltà ad arrivare a un testo condiviso dai due rami del Parlamento e da tutte le forze politiche che ivi siedono?

Mi pare che le aporie dei progetti di legge, che ho esaminato, siano almeno tre:

  • Un’evidente difficoltà di dialogo in Parlamento – e forse anche al suo esterno – tra medici e giuristi. I vari progetti di legge sembrano scritti, infatti, o dagli uni o dagli altri senza che si sia arrivati a un accordo comune.
  • Il rischio di non coprire tutte le possibili evenienze nei contenuti delle direttive anticipate di trattamento, a causa di un numero eccessivo di norme.
  • Alcune difficoltà riguardanti i rapporti familiari, tema che conosco molto bene, in quanto avvocato familiarista quotidianamente impegnato nelle conflittualità familiari. In vari progetti di legge, infatti, si invocano condivisioni delle decisioni sanitarie con familiari di vario tipo, senza tenere conto che a volte le famiglie sono un groviglio di conflitti. Ci sono invidie e rancori tra famiglie legittime successive nel tempo o tra famiglie nate da convivenze, le quali oggi hanno un rilievo giuridico pregnante. Ci sono, al contrario, casi in cui le persone sono completamente sole o in balia di personale prezzolato e di lontanissimi parenti.

In conclusione, alla luce dei progetti di legge che sono pendenti nei due rami del Parlamento, se dovessi essere io a decidere preferirei che nessuno fosse trasformato in legge. Le persone che lo desiderano dovrebbero poter continuare a formulare le loro direttive di fine vita nell’atto di designazione preventiva di amministratore di sostegno, con le modalità che ho indicato sopra.

Come si comportano gli altri paesi europei in materia  di autodeterminazione individuale alla fine della vita?

Sarebbe lungo – e forse anche noioso per chi ci legge – esaminare la scelte dei vari paesi europei, la maggior parte dei quali si è già dotata di leggi sul fine vita. Mi piace, però, richiamare il caso della Spagna, dove una legge sul fine vita c’è da tempo e dove le dichiarazioni anticipate di trattamento, previste dall’articolo 11, sono state pochissime. L’inclusione delle direttive anticipate ha generato, in alcuni settori sociali, un grande entusiasmo. Ma a tale entusiasmo non è poi corrisposto un equivalente utilizzo di questo strumento nella pratica. Dai dati forniti dalle Comunità Autonome, infatti, emerge che il numero di documenti concessi e registrati è inferiore all’1% della popolazione. È opportuno sottolineare che la categoria di persone che maggiormente ha fatto ricorso all’istituto delle direttive anticipate di trattamento è quella delle donne, in una fascia di età compresa fra i 45 e i 60-65 anni. Questo dato mi ha fatto riflettere: fare delle scelte sul proprio fine vita vuol dire assumersi la responsabilità di se stessi, per se stessi e per i propri familiari. E, in effetti, questo è un compito che le donne sanno fare da sempre e fanno anche molto bene.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2017/02/Depositphotos_7313855_s-2015-e1487539008841.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2017-02-20 10:08:062017-02-20 10:18:43A che punto siamo con le DAT? Intervista all’avv. Giulia Facchini Martini

L’Alzheimer e le Direttive Anticipate di Trattamento, di Marina Sozzi

29 Settembre 2016/9 Commenti/in Vecchiaia/da sipuodiremorte

imagesL’Alzheimer e le altre forme di demenza senili sono tra le patologie che pongono più problemi di ordine etico, per via della perdita della competenza cognitiva da parte dei pazienti, e della lunga durata della malattia stessa (da tre a dieci anni circa). Oggi, con l’impennata epidemiologica di questa malattia (malattia del benessere per eccellenza, legata com’è all’allungamento dell’aspettativa di vita, oltre che a numerosi fattori relativi agli stili di vita e all’ambiente), non ci si può più esimere dal rifletterci: cosa vogliamo che accada di noi qualora dovessimo perdere le competenze cognitive, alterare i nostri comportamenti consueti, perdere la memoria e il senso dell’orientamento spaziale e temporale? Non dovessimo più riconoscere i nostri cari, saper gestire le nostre quotidiane incombenze?

E’ il tipico caso in cui aver dato direttive anticipate di trattamento può essere dirimente, per sé e per i propri familiari: non si tratta di un incidente stradale o di un’emergenza, casi in cui i rianimatori agiscono d’ufficio (per così dire), senza avere il tempo di informarsi su ciò che avrebbe desiderato il paziente, e spesso senza poter esattamente prevedere gli esiti del loro intervento sanitario, né nel bene, né nel male.

Si tratta, invece, di una patologia che procede lentamente, erodendo poco per volta la consapevolezza e le abilità, ma lasciando intatta la percezione delle emozioni, con tutto il disorientamento, la sofferenza, la depressione, la paura, che possono insorgere sentendosi venir meno le consuete competenze mentali.

Nella demenza e nell’Alzheimer siamo costretti ad affidarci completamente ad altri, a dipendere dal loro affetto e dalle loro cure, dalla loro capacità empatica nel comprendere i nostri bisogni, poiché non sappiamo più a esprimerci verbalmente e razionalmente. Non è facile rappresentarsi cosa vorremmo in una situazione del genere, ma se riusciamo ad andare oltre alle resistenze interiori, per immaginarci malati, potremo comprendere il valore della comunicazione familiare e amicale su temi come questi. E anche il valore che potrebbero avere le Dichiarazioni Anticipate, stilate in collaborazione con il proprio medico di medicina generale (deputato a tirare le fila della nostra salute) e condivise con la famiglia. Questa sarebbe infatti, secondo me, la modalità migliore e più saggia per raccogliere il testamento biologico, l’unica davvero efficace. Promosse e raccolte in tal modo, le DAT potrebbero anche servire a far maturare una nuova generazione di medici di base, capaci di fare davvero il mestiere che oggi, nel nuovo sviluppo della biomedicina, è pensato come loro proprio: ricomporre i vari specialismi, restando aderenti al proprio paziente, che è persona e non insieme di organi funzionanti o da riparare. Persona con desideri, progetti, paure e limiti.

Personalmente, se mi dovessi ammalare di demenza, vorrei rifiutare le cure (anche quelle salvavita) per ogni altra patologia dovesse insorgere, più o meno annessa e connessa, e essere accompagnata da cure palliative. Ho provato a chiedermi come mai desidero questo, e la domanda è servita anche a chiarirmi il valore fondante che attribuisco alla mia vita: la crescita personale, l’arricchimento dell’esperienza e dell’eticità, della saggezza e del sapere. In mancanza della possibilità di sviluppare la mia vita in questa direzione, l’esistenza perderebbe per me il suo fascino. Ma, attenzione, questi sono i valori fondanti per me, e sarebbe impensabile volerli estendere a chiunque altro, che può trovare la propria gratificazione in aspetti completamente diversi della vita.

In questo senso, quindi, credo che riflettere sull’Alzheimer possa aiutare ciascuno a comprendere quali siano le condizioni compatibili con l’attribuzione di senso alla propria esistenza: condizioni, peraltro, che dobbiamo immaginare come interiormente negoziabili, non date una volta per tutte: perché questo è l’umano, complesso, sfaccettato, mutevole. Per questo occorre che le DAT siano un discorso aperto con un interlocutore, facilmente modificabili, aggiustabili, come e più di un documento testamentario notarile.

Parlarne con il proprio medico, inoltre, può aiutare lui a capire chi siamo, e quindi a consigliarci nel modo migliore sulle scelte riguardanti la nostra salute: scelte che non sono sempre necessariamente morire o vivere, ma operarsi o no in certe circostanze, fare o no una terapia oncologica invasiva, magari “cautelativa”, e moltissime altre. Credo sia bene riflettere su un fatto, che dovrebbe essere l’unico assioma della laicità, quella vera e profonda, praticabile da credenti e non, religiosi e non: non esistono modelli esistenziali assoluti, e quindi non esistono scelte etiche universalmente valide.

Cosa ne pensate? Vedete il rapporto tra “epidemia” di Alzheimer (un milione e duecentomila persone in Italia) e l’esigenza di lasciare Dichiarazioni Anticipate di Trattamento? Siete d’accordo che a raccogliere le DAT siano i medici di medicina generale?

 

 

 

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2016/09/Fotolia_114699119_S-e1475136826598.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2016-09-29 10:15:342018-10-23 18:42:14L’Alzheimer e le Direttive Anticipate di Trattamento, di Marina Sozzi

A chi affidare il compito di decidere sulla mia vita?

17 Dicembre 2014/15 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Ricevo dalla dottoressa Silvia Francone e pubblico con piacere.

Se un giorno mi trovassi nella condizione di non poter comprendere ciò che mi viene chiesto né di esprimermi, e la mia vita fosse in pericolo, a chi vorrei fosse affidato il compito di decidere per me?
Al fine di comprendere le opinioni dei cittadini in merito al testamento biologico, o Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT), ho organizzato una conferenza pubblica in un piccolo paese piemontese, e chiesto ai partecipanti di compilare un questionario. Fra i dati raccolti uno in particolare mi ha stupita e interrogata.
Alla domanda “Se le decisioni del medico contrastano con le DAT chi deve decidere?”, 31 persone, fra le 60 che hanno risposto al questionario, ritengono che si debba sempre rispettare la volontà del paziente; 14 affermano che quest’ultima debba essere rispettata solo se non vi è rischio per la vita, 7 optano per il fiduciario (persona designata da chi ha depositato il Testamento Biologico per decidere in sua vece), 4 apprezzerebbero di avere il pronunciamento di un comitato etico, 2 dichiarano di non sapere, una non risponde e una sola persona (su sessanta) desidererebbe che fossero i suoi familiari a decidere.

Al di là delle considerazioni sociologiche sull’emergere, anche nel nostro contesto sociale, di posizioni estremamente individualistiche sulle scelte di fine vita, pensiamo a quanto vengano normalmente tenuti in considerazioni, in momenti estremi, i pareri dei familiari. I risultati di questa (sia pur limitata) indagine ci invita invece, come operatori sanitari, alla prudenza. Il quesito ci interroga sulla natura delle nostre relazioni, sulla loro qualità e autenticità, per svelarci che non sempre vicinanza è sinonimo di conoscenza vera. Qual è la persona che conosce profondamente il significato che noi attribuiamo a “Vita, Qualità di Vita, Vita dignitosa”? Chi metterebbe il mio bene al primo posto, anche a scapito del suo? Chi deciderebbe di non accanirsi scegliendo la mia morte, e il vuoto che ne deriverebbe, piuttosto che preferire una presenza non presente ma pur sempre, e ancora, qui?

Invito i lettori di questo blog ad aiutarmi a continuare la mia ricerca. Come rispondereste alla domanda che apre questo post? A chi affidereste la decisione?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2014/12/Fotolia_69101183_XS.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2014-12-17 10:39:492014-12-17 10:39:49A chi affidare il compito di decidere sulla mia vita?

Testamento biologico e medico di famiglia

4 Aprile 2013/10 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Cari amici, parliamo di testamento biologico, che, come certo sapete, ha il sostegno anche degli operatori e dei sostenitori delle cure palliative, a livello italiano e europeo. Esiste un documento dell’European Association of Palliative Cares, del 2003, che afferma che le volontà anticipate di trattamento sono un’efficace soluzione per chi teme che la sua vita possa essere inutilmente prolungata, con sofferenze insopportabili. Il testamento biologico, infatti, contribuisce “a una migliore comunicazione e a una pianificazione anticipata delle cure, dando quindi più spazio all’autonomia del paziente”. Questa frase mi ha colpito, ed è in forte sintonia con quanto io penso. L’autonomia del paziente va incoraggiata e fatta crescere, anche perché finora la medicina si è posta come deus ex machina che risolve (e deve risolvere) tutti i problemi.
Affinché le direttive anticipate possano davvero difendere la volontà più autentica del paziente, occorre affrontare alcune difficoltà, che sono al contempo etiche e pratico-organizzative.
Primo: senza obbligare i cittadini a occuparsi continuamente delle loro dichiarazioni anticipate, sarebbe bene studiare un meccanismo per accertarsi che il paziente disponesse, al momento della stesura, di tutte le informazioni necessarie a decidere su varie eventualità (stato vegetativo, demenze, eccetera), e che la sua decisione si sia mantenuta nel tempo.
Secondo: bisogna trovare un modo efficace per comunicare ai cittadini eventuali cambiamenti concernenti la capacità della medicina di risolvere uno stato patologico.
Terzo, fondamentale: occorre fare, insieme alla legge, divulgazione culturale. Si auspica di trovare un modo per far sì che gli individui testino, in grande maggioranza: altrimenti vi è il rischio che una norma sul valore legale del testamento biologico si trasformi in una possibilità elitaria, riservata alle persone colte e benestanti.
Non vedo quindi altra soluzione che investire di questo insieme di compiti il medico di famiglia. Credo vi siano molti segnali che annunciano che finalmente il medico di medicina generale non intende più essere un burocrate, ma l’autentico alleato del cittadino nella tutela della sua salute, in senso lato. Pensate sia la figura giusta (con una corretta formazione) per essere l’interlocutore dei suoi pazienti?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/04/images.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-04-04 08:07:352013-04-04 08:07:35Testamento biologico e medico di famiglia

Fine vita: essere o non essere coinvolti?

4 Marzo 2013/13 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Palliative Medicine e diretta da Barbara Daveson, che si è proposta di comprendere se effettivamente i cittadini europei vogliano essere coinvolti nelle decisioni (la ricerca è scaricabile gratuitamente al link: http://pmj.sagepub.com/content/early/2013/02/13/0269216312471883)
I risultati, per quanto riguarda l’Italia, sono i seguenti (vicini alla media europea): il 78% dei nostri connazionali aspira a essere coinvolto sulle decisioni di fine vita se lucido e cosciente. Nel caso di uno scenario d’incapacità decisionale, invece, solo il 47% affiderebbe alle direttive anticipate la propria volontà, mentre il 53% preferirebbe delegare, al coniuge o ai medici.
Le persone che desiderano maggiormente un proprio coinvolgimento sono, per lo più, benestanti e con istruzione superiore, di genere femminile, in un’età compresa tra trenta e cinquantanove anni, e sono inclini a dare più importanza alla qualità della vita che alla sua quantità. Mentre chi è economicamente svantaggiato e gli anziani sembrano inclini a lasciare ad altri il compito di scegliere per loro, e pensano che sia bene morire in ospedale. Dati su cui varrebbe la pena riflettere, e sui quali anche chi fa informazione dovrebbe fare un esame di coscienza.
L’Italia rappresenta la media europea, ma è ancora distante dalle alte percentuali rilevabili, ad esempio, in Germania (il 91% di cittadini desidera partecipare alle decisioni, e ben l’83% anche se non più cosciente, mediante living will). C’è chi sta peggio di noi, ad esempio il Portogallo, dove solo il 17% degli intervistati preferirebbe scegliere in prima persona se si trovasse in stato d’incoscienza.
Tuttavia, come mai nel nostro paese è così difficile pensare di lasciare direttive anticipate? C’è ancora molto da fare sul piano culturale: la logica dell’alleanza terapeutica non si è ancora affermata in tutti i contesti, manca una legge sul testamento biologico (siamo gli unici, insieme al Portogallo, a non averla), c’è una grande confusione sui concetti che hanno a che fare con la fine della vita, sfruttata a fini propagandistici sia dai cattolici che dai laici.
Manca, prima di tutto, l’informazione approfondita. Quando i cittadini sono ben informati di quali siano le decisioni che dovrebbero prendere, e come; di quali siano le implicazioni fisiche, psicologiche e etiche delle loro scelte, riflettono di più e rispondono in modo più maturo. Lo dimostra l’evento tenutosi a Torino da Avventura Urbana nel 2009, nel contesto di Biennale Democrazia: in quel caso, dopo una capillare e imparziale informazione dei partecipanti al Town Meeting, il 74% affermò che se il testamento biologico avesse valore legale, avrebbe preso la decisione di scriverlo, mentre solo l’11% si sentiva certo che non lo avrebbe fatto.
Chiedo a voi: avete scritto il vostro testamento biologico, anche se non ha ancora valore legale? Se lo avesse, lo scrivereste?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/03/imgres-51.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-03-04 08:09:542013-03-04 08:09:54Fine vita: essere o non essere coinvolti?

Quali nuove sull’eutanasia in Europa?

14 Gennaio 2013/16 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

L’eutanasia attiva (uccisione mediante iniezione di farmaco letale) è legale in Olanda e in Belgio. In entrambi i paesi c’è stato, negli ultimi anni, un picco di richieste, accolte dai medici, di eutanasia e suicidio assistito. In Olanda si parla di un incremento del 75%. In Belgio s’ipotizza di estendere ai minorenni e ai malati di demenza senile la possibilità di accedere alla “dolce morte”.
Come interpretare questi dati? Come il fisiologico ampliamento di un diritto e della sua conoscenza da parte del pubblico? O come inquietanti segnali di uno scivolamento verso una gestione della morte troppo sbrigativa?
L’European Institute of Bioethics, che ha sede in Belgio, ritiene che non ci siano stati sufficienti controlli sull’applicazione della legge, e stima che l’8% dei pazienti non fosse in stato terminale e che nel 94% dei casi mancasse la domanda scritta, prevista dalla legge.
Anche in Francia c’è stata discussione, e si è creata una frattura tra Hollande (che ha annunciato per giugno 2013 un disegno di legge che prevedrà la depenalizzazione dell’eutanasia) e Didier Sicard, presidente onorario del Comitato di Bioetica Francese, contrario a questa decisione. Sicard ha piuttosto invitato il governo a perseguire una migliore applicazione dell’ottima legge Leonetti sulle cure palliative, del 2005.
Nel 2011 la Svizzera, dove è legale il suicidio assistito (insieme agli Stati di Washington, dell’Oregon e del Montana negli Usa), ha dibattuto sull’opportunità di fermare il “turismo della morte”: ma i cittadini hanno deciso, con un referendum, di non togliere agli stranieri l’opportunità di cercare nel paese la fine della propria sofferenza. Un’opportunità colta, come forse ricorderete, anche da Lucio Magri, uno dei fondatori de Il Manifesto.
Che dire di queste tendenze? Si tratta di riforme “ad alto tasso d’ideologia”, come scrive Francesco Ognibene su Avvenire, volte a distogliere l’attenzione dalla crisi economica?
O occorre tener conto della vasta popolarità della soluzione eutanasica tra i cittadini?
Rigidamente contrari all’eutanasia restano in Europa soprattutto i governi di due paesi, la Gran Bretagna, e l’Italia. La Gran Bretagna prevede fino a quattordici anni di carcere per eutanasia, assimilata all’omicidio. E’ noto il caso di Tony Nicklinson, che soffriva di locked-in-syndrome, e si trovava, lucido, prigioniero nel suo corpo immobile, a cui è stata negata la possibilità di morire.
Anche in Italia l’eutanasia è oggi accomunata con l’assassinio di consenziente. E tuttavia, se ne discute molto. All’interno della Chiesa vi sono posizioni diverse, benché accomunate dal rifiuto dell’eutanasia attiva. Basti fare due nomi, il cardinal Martini e il cardinal Bagnasco.
Recentemente, una proposta di legge d’iniziativa popolare per la depenalizzazione dell’eutanasia è stata depositata dalle associazioni Exit e Coscioni insieme alla UAAR (Unione degli Atei, Agnostici e Razionalisti). Ci vorranno 50.000 firme per portarla in Parlamento, e non è detto che i proponenti ci riusciranno.
Ma è davvero questa (l’eutanasia attiva) la priorità italiana (ed europea) a proposito di buona morte? Perché non concentrarci in primo luogo sulla diffusione delle cure palliative, che prevedono anche, contro la sofferenza, adeguate dosi di morfina e la sedazione terminale (che, a scanso di equivoci, nulla ha a che fare con l’eutanasia)? Perché non approfondire il ragionamento sul diritto di ciascuno a sospendere le cure salvavita, chiarendo che né Welby né Englaro furono casi di eutanasia? Perché non mettere l’accento sull’esigenza di una legge seria sul testamento biologico, diversa da quella in discussione (che di fatto nega valore al testamento stesso, considerato solo orientativo e non cogente per il medico)? Non è per caso perché dire SI all’eutanasia richiede meno riflessione, e permette di dare il proprio parere senza aver veramente fatto i conti con la morte?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/01/eutanasia....png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-01-14 09:29:542013-01-14 09:29:54Quali nuove sull’eutanasia in Europa?

Dichiarazioni anticipate di trattamento?

3 Ottobre 2012/8 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Ieri pomeriggio è ripresa in Commissione Sanità del Senato la discussione sul testamento  biologico, o legge sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”. Cosa sono le dichiarazioni anticipate, o living will?

E’ la possibilità data a un cittadino, cosciente e eventualmente in buona salute, di esprimere la propria volontà  sui trattamenti che desidera ricevere nel caso in cui non dovesse avere, in un ipotetico futuro, la capacità di decidere. Ad esempio, la volontà di ciascuno di noi potrebbe essere: non voglio in alcun caso essere tracheostomizzato, o non voglio vivere in stato vegetativo, o ancora: non datemi gli antibiotici se prendo una polmonite con una sindrome di Alzheimer conclamata.

Oh finalmente! penseranno molti lettori, forse ora potremo lasciare le nostre volontà, riflettere liberamente sul senso della nostra vita, e sul valore che le diamo in determinate circostanze.

Ebbene, no! Il testo (DDL 10), concepito nel 2009 per fermare Englaro, obbliga al contrario il cittadino a subire i trattamenti di respirazione, nutrizione, idratazione artificiali anche qualora abbia espresso volontà diversa o opposta.

Credo che l’Italia sia l’unico paese al mondo capace di fare una legge sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento” che, invece di ampliare l’ambito dei diritti, di fatto annulli la possibilità del cittadino di esprimere una volontà. Paradossale, non solo dal punto di vista logico, ma anche etico.

Perché, ancora una volta, siamo di fronte a una strumentalizzazione del dolore di esseri umani al fine di stringere alleanze politiche, dimostrare sudditanza nei confronti del Vaticano, o semplicemente salvare la poltrona.

Ma non è questo il momento per legiferare su temi delicati come questi. Le leggi che coinvolgono l’ambito della sofferenza non dovrebbero forse essere discusse in tempi sereni, nella maggiore concordia possibile, senza intransigenza e fanatismo, senza pretendere di imporre a tutti la concezione del dolore, della vita e della morte propria solo di qualcuno?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/10/testamento-biologico-blog4.png 262 347 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-10-03 09:51:382012-10-03 17:02:33Dichiarazioni anticipate di trattamento?

Perché questo blog?

1 Ottobre 2012/12 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Non possiamo continuare a far finta di niente.
A ritrarci con disagio o a fare scongiuri se qualcuno nomina la morte, come avesse agito in modo sconcio o molto imbarazzante.
A rimandarne il pensiero.
A evitare i conoscenti in lutto (oddio cosa gli dico?)
A raggirare noi stessi, come se la vita e la morte non fossero strettamente interconnesse e saldate insieme.

Interveniamo su questa vuota convenzione sociale.
Qui vogliamo rompere il divieto, ignorare il sorriso ironico di chi non vuole saperne di essere mortale.
Vogliamo aprire uno spazio dove sia possibile parlare, discutere, accalorarsi, piangere, ridere, riflettere, cambiare.
Vogliamo stare vicino a chi è triste perché ha perduto qualcuno che era importante.
Vogliamo imparare a convivere più serenamente col tempo che scorre e porta cose buone e cattive, e poi le porta anche via.
E’ il nostro vivere, è il nostro invecchiare. Ci sono la paura, il dolore, il disincanto del mondo, la solitudine, la malattia; ma accanto, a volte dentro, il coraggio, la gioia, il mistero, la saggezza, l’amore.
Vogliamo imparare a ricordare e dimenticare, onorare i nostri morti e andare avanti a vivere.
Vogliamo parlare di religioni e di laicità, purché vere, aperte, tolleranti. Vogliamo ragionare di etica, aggirando i pregiudizi e lasciandoli stecchiti sul terreno.
Vogliamo riflettere sui nuovi riti che si affacciano al nostro tempo.
Vogliamo dibattere di arte, letteratura, fotografia, cinema, perché oggi molti artisti trovano nuove lingue per dire morte.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/10/perchequestoblog.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-10-01 16:17:562012-10-01 16:17:56Perché questo blog?

Bella Addormentata di Marco Bellocchio

1 Ottobre 2012/0 Commenti/in Vecchiaia/da sipuodiremorte

Bravo Bellocchio. Era difficile, anche se sono passati più di due anni, parlare degli ultimi giorni di Eluana Englaro. Il film Bella Addormentata lo fa lasciando sullo sfondo la vicenda vera e propria, per parlare alla nostra intelligenza e alla nostra sensibilità, e per farci riflettere sul clima incandescente di quei giorni del febbraio 2009, dove un’Italia che non pensa mai alla morte si divideva tra pro e contro l’alimentazione e l’idratazione artificiale, dissertava di eutanasia e testamento biologico. Spesso senza sapere, senza il sapere dell’aver vissuto.
Bellocchio ci dice che le questioni di vita e di morte non si risolvono a colpi di ideologia, ma attraverso piccoli e grandi gesti di amore, di dedizione, di rispetto. Tutto il resto è cinismo (di chi ha sfruttato a fini politici una tragica vicenda umana, come Berlusconi e i personaggi che incarnano i politici di Forza Italia). Spesso si è trattato anche di incomprensione esaltata dall’ideologia, come quella di chi ha gridato «assassino» a Beppino Englaro. Ma esaltazione cieca è anche quella di un altro personaggio del film: una ricchissima attrice (Isabelle Huppert) si è ritirata dal palcoscenico dopo aver vissuto il dramma del coma profondo della figlia, tenuta in vita da un ventilatore. Cattolica e amica di prelati, finge anche con se stessa di vivere in funzione del risveglio della figlia. Ma non c’è amore in lei, e non ci convince: trascura l’altro figlio e il marito, e sa di non avere fede. La sua preghiera è fredda e assomiglia a una pantomima. Così non ci stupisce quando nel sonno recita la famosa battuta di Lady Macbeth che prova a lavare via l’immaginaria macchia di sangue dalle sue mani.
Invece, quando i sentimenti e la loro prepotente realtà si insinuano nelle pieghe delle ideologie, queste ultime si disintegrano. Il senatore di Forza Italia Uliano Beffardi (Toni Servillo) è disgustato dal cinismo dei colleghi nei confronti di Eluana, al punto da decidere le proprie dimissioni. La sua differenza sta nell’esserci passato, attraverso l’esperienza del dolore, della perdita, della ricerca del senso della vita e della morte. Ha sofferto dell’agonia troppo lunga della moglie, e quando lei gliel’ha chiesto, l’ha aiutata a morire, lui che avrebbe voluto averla viva ancora un giorno, ancora un minuto…
Sua figlia Maria (Alba Rohrwacher), cattolica fervente, lo sospetta, ed è furiosa con lui. In fondo è per questo che va a Udine, a manifestare e pregare contro l’interruzione dell’alimentazione artificiale a Eluana, e non risponde mai alle chiamate del padre.
A Udine però si innamora, e il suo punto di vista si addolcisce: «l’amore cambia il modo di vedere le cose», dice al padre. E il senatore, dopo anni, riesce a confessare alla figlia ciò che ha fatto, senza parlare, consegnandole i fogli del proprio intervento in Senato. Un intervento che non ha pronunciato perché Eluana è morta prima, facendo slittare il dibattito a data da destinarsi. Il film si chiude così, su questa riconciliazione non narrata tra padre e figlia, che lo spettatore intuisce, auspica. Maria si allontana leggendo. Rispettare le posizioni diverse dalle nostre è possibile, se si comprende la profonda buona fede dell’altro, se si è certi che è guidato dall’amore e dal rispetto e non dall’egoismo.
Altre storie si intrecciano con questa vicenda principale, per dirci ancora e diversamente che la capacità di amare è l’unica risposta alle questioni che riguardano la vita e la morte. In un ospedale di Udine è ricoverata una donna tossicodipendente (la bellissima e brava Maya Sansa), salvata dal suicidio dal medico Pallido. Il primario vuole dimetterla, abbandonarla a se stessa, è solo una tossicomane, e vivrà altri dieci anni rompendo le palle a tutti quanti, dice al dottor Pallido: è quello stesso primario che tuona contro l’interruzione delle cure a Eluana, in stato vegetativo permanente. Ma il dottor Pallido non si arrende: resta accanto alla suicida, nella sua stanza, a vegliare il suo sonno, giorno e notte, le parla, e Rossa (questo il nome della donna interpretata dalla Sansa) poco per volta si intenerisce: la vicinanza umana fa scemare il desiderio di morire.
Quanto vale una vita, ci chiede Bellocchio? Perché usiamo due pesi e due misure? Alcune vite valgono più di altre, a volte anche per ragioni simboliche, come nel caso di Eluana. E altre meno, o perchè i soggetti di quelle vite sono tra i dannati della terra, e muoiono a centinaia di migliaia (e come posso rappresentarmi centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che muoiono di fame, senza conoscere le loro storie?). Oppure perché hanno sbagliato, o sono deboli, incapaci di reggere il ritmo della nostra cultura consumistica, e stanno pertanto ai margini della nostra società: i poveri, i tossici, gli stranieri, i senzatetto, gli alcolisti, tutta gente che non ci riguarda…

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