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Riflessioni

La proposta di un nuovo umanesimo: alla cauta ricerca di una “vita sensata”

Ricevo, e con piacere pubblico, questa breve riflessione (che fa della vicenda di Ariel Sharon un caso esemplare della condizione di tutti noi alla fine della vita) da parte di una persona che preferisce restare dietro le quinte.

Ci sono tutte le sfumature del mistero nell’itinerario della vita e della morte di Ariel Sharon, e non solo per le controversie che continueranno a dividere il giudizio degli storici del Medio Oriente e del mondo intero. Mi interroga la fine di quest’uomo dai due volti, eroe venerato e criminale di guerra, caduto infine in un coma durato otto anni che si è voluto chiamare “malattia”. Mi inquieta pensare a questa condizione forzata in uno stato di confine compassionevole, tra la vita che non è più vita e la morte che non è ancora morte.
Non conosceremo, né ora né mai, se vi sia stata la volontà espressa e anticipata di Sharon; se, ai comprensibili dilemmi della famiglia si sia sovrapposta la ragion di stato, che ha determinato la sospensione di un destino segnato.
Tuttavia, mi sono chiesta quanto la vicenda di Sharon – per molti versi eccezionale – non rispecchi dolorosamente quei casi che sono presenti e vicini al nostro universo di relazioni e di affetti.
Sarebbe fin troppo facile, nel corso di queste brevissime considerazioni, tentare delle risposte che suonano come etichette: accanimento? eutanasia? testamento biologico?
Allora è forse meglio allontanarci dalle parole che imbrigliano le menti e le coscienze perché pregne allo stesso tempo di ambiguità e di rigidezza: ambiguità in quanto non è facile (e da noi infatti non accade) formarsi e informarsi su temi complessi e coinvolgenti, e ancor meno giungere all’accordo, superando le contrapposizioni di principio; e rigidità nelle posizioni contrarie, capaci di scatenare conflitti insanabili e incapaci di progredire verso qualche mediazione dignitosa.
Non è forse meglio, su questioni tanto delicate e sensibili, pronunciarci con cautela, provare a sottrarci tanto alle dinamiche ideologiche quanto alla cieca fiducia nelle tecnologie; e portare uno sguardo plurale agli ambiti della scienza, dell’etica e della filosofia, nella ricerca di un nuovo umanesimo, di un’antropologia ancora una volta completamente rinnovata che appoggi il dibattito sull’inizio e sulla fine della vita, che riproponga le questioni dei diritti umani senza dimenticare che primo fra tutti si pone il diritto della persona a una vita sensata. Una vita, cioè, densa di significati personali, ma anche di sensi proiettati nella società e nel mondo, là dove il diritto alla vita (sempre, e qualche volta anche in modo più incisivo) si dilata e diviene un fatto sociale, per la ragione stessa che è la relazione ad essere costitutiva della persona. (G.P.)

Vi chiedo: cosa ne pensate di questa proposta di un nuovo umanesimo, anti ideologico e tutto incentrato sul dialogo tra antropologia e bioetica, e sulla valutazione della “vita sensata” per ciascuno?

22 Marzo 2014/4 Commenti/da sipuodiremorte
Tags: Ariel Sharon, fine vita, umanesimo, vita sensata
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4 commenti
  1. Cristian Riva
    Cristian Riva dice:
    22 Marzo 2014 in 22:03

    Carissima Marina, é un piacere leggere parole come queste che, con semplicità, aprono (superandone le difficoltà) le porte a temi che dovrebbero essere innanzitutto discussi con serenità. La stessa serenità che dovrebbe noi tutti portarci a riflettere sulla propria morte e soprattutto (cito a mio avviso la frase più bella e incisiva della lettera) ad una vita sensata. Tutto ciò dovrebbe andare oltre a leggi, cavilli, ideologie politiche, …. Per carità le leggi ci vogliono, soprattutto in un paese come il nostro, ma andrebbero affrontate con la naturalezza di chi, facendo un passo ulteriore, ha veramente capito e compreso l’importanza, già da subito, della fine della vita.
    Chiunque tu sia grazie per questo bellissimo contributo.
    Cristian

    Rispondi
  2. Lamarca Luciano
    Lamarca Luciano dice:
    23 Marzo 2014 in 05:35

    Approvo appieno la proposta contenuta nelle brevi ma intense riflessioni dell’anonimo. Parlare di fine-vita, di “accompagnamento” ma soprattutto di diritto di autodeterminazione e quindi di libera e consapevole scelta presuppone
    una vera e propria rivoluzione culturale. Non si tratta di cambiare ma di risvegliare le coscienze da un lungo letargo
    nel quale siamo sprofondati, rincorrendo falsi ideali e falsi bisogni. Riflettere su “una vita sensata” può portare davvero a cambiamenti epocali.
    Luciano

    Rispondi
  3. Nicoletta Palai
    Nicoletta Palai dice:
    23 Marzo 2014 in 09:19

    La difficoltà che si incontra sempre parlando di questi temi così delicati e’ proprio quella che alcuni si arrogano il diritto di decidere il senso della vita altrui. Parlare di vita sensata vuol dire proprio per prima cosa rispettare che il senso della vita sia differente tra le diverse persone e lasciare a chi considera una vita senza più senso la propria la possibilità di congedarsene.

    Rispondi
  4. Aldo Vincenzo Pamparana
    Aldo Vincenzo Pamparana dice:
    27 Giugno 2014 in 21:54

    Cerco una vita sensata , bevo l’ acqua fresca dalla fontana della vita,
    cerco una vita sensata, forse la troverò dopo un’ infinita corsa,
    o forse già esiste una bellissima luce che riflette l’ animo mio ferito,
    ma quando penso all’ infinito il mio cuore lacrimante è asciugato,
    non vivo nella caducità di una vita ricca di beni materiali,
    ma nella prospettiva di parole di grazia senza argini morali,
    nella piena libertà di cadere e di rialzarmi,
    cercando il volto che impedisce al mio cuore di fermarmi,
    seguendo il buon pastore che muove il mio cammino verso l’ orizzonte di gloria luminoso

    Rispondi

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