Il lavaggio rituale ebraico
Cari amici, mi prendo una pausa da questa eterna e un po’ vuota discussione sull’eutanasia e il suicidio assistito, per parlarvi di tutt’altro, andando alla ricerca delle mie radici ebraiche un po’ dimenticate. A puntate, se vi interesserà, vorrei raccontarvi il pensiero ebraico di fronte alla morte e al lutto.
Sapete che cosa è la Chevra Kadisha? E’, nell’ebraismo, la sacra confraternita che si occupa di preparare il corpo dei defunti per la sepoltura (formata da membri dello stesso sesso del defunto). Soprattutto in passato, era ritenuto un onore e un privilegio far parte della Chevra Kadisha, riservati a donne e uomini osservanti e pii. La cerimonia di preparazione del corpo si chiama Tahara, e ha tre funzioni: lavare il corpo fisicamente, purificarlo spiritualmente e avvolgerlo nel sudario per poi porlo nella bara.
Dio ha creato l’uomo a sua immagine, e il corpo è dono di Dio: pertanto il corpo, nel pensiero ebraico, possiede dignità e valore, e anche il cadavere è sacro, avendo accolto l’anima. E’ pertanto importante seppellire il corpo nella sua integrità. Qualora vi sia stata una morte violenta, si cerca di raccogliere il sangue versato al di fuori del corpo e seppellirlo insieme a esso. Se gli abiti sono insanguinati, si posano ai piedi del corpo morto, nella bara.
La santità del corpo morto rende intellegibile la complessa cerimonia che si celebra per pulirlo e purificarlo.
Quando qualcuno muore in una comunità, i membri della Chevra Kadisha si recano anonimamente nella casa del defunto, svolgono in silenzio la Tahara, con la massima reverenza nei confronti del defunto, rispettandone il pudore e la dignità, quindi se ne vanno, sempre anonimamente. Il coordinatore della confraternita è responsabile del corretto svolgimento della cerimonia, assegna a ciascun membro il suo compito, controlla se le circostanze richiedano di modificare la normale procedura. Tutti gli accordi vengono presi precedentemente, mai in presenza del defunto, di fronte al quale occorre mantenere il silenzio.
Quando entrano nella stanza della Tahara, i membri della confraternita lavano le mani in modo rituale, e insieme danno inizio alla cerimonia, recitando preghiere in cui si chiede a Dio di perdonare i peccati del defunto e di dargli eterno riposo. Il lavaggio rituale fa parte dei doveri fondamentali richiesti dalla legge ebraica.
Il corpo viene posto supino, con i piedi rivolti verso la porta e coperto con un lenzuolo, i suoi occhi sono chiusi. Di volta in volta è scoperta solo la parte che deve essere lavata, senza mai esporre completamente il corpo allo sguardo, e in particolare il volto e le parti intime del defunto. Il lavaggio comincia dalla testa, prosegue con la mano destra e poi la parte destra del corpo, dall’alto verso il basso. Successivamente, nello stesso ordine, si passa al lato sinistro. Il corpo non è mai messo bocconi, ma solo inclinato, per lavare la parte posteriore. Infine, se il numero dei membri della Chavra Kadisha è sufficiente, il corpo viene tenuto in piedi, e circa ventiquattro litri d’acqua vengono versati sul suo capo.
Quindi il corpo è rivestito con il sudario, uguale per tutti (in nome dell’uguaglianza degli uomini dinanzi a Dio), di lino o cotone bianco, composto da più parti, aggiunte secondo una precisa sequenza, e infine avvolto nel suo scialle di preghiera. La bara viene quindi chiusa: il funerale, che dovrebbe aver luogo prima possibile dopo la Tahara, può avere inizio.
Conoscevate questa usanza ebraica? Che ne dite di una confraternita che si occupi dei defunti?
Non vi nascondo che, nella nostra società, non sono molte le persone che si rendono disponibili per essere membri della Chevra Kadisha. Gli ebrei non sono immuni dalle difficoltà contemporanee nei confronti della morte, specie se vivono in occidente…
Non conoscevo ques’usanza, e, per mia formazione culurale, la sento lontana, ma mi dà molta forza e fiducia il rispetto che traspare da tutte le fasi del rito, come a voler preservare la persona del defunto e la sua dignità. Come sempre un intervento interessantissimo, grazie. C’è molto da imparare da culture diverse dalla nostra.
Cara Marina ti seguo sempre con interesse, non conoscevo questa ritualita’, ma e’ certamente cosa migliore rispetto all’affidare i nostri morti a quei “prezzolati”……che dimostrano una una totale assenza di tante cose, che mi fa male menzionare, ma so che tu puoi capire!!! Tanti valori hanno bisogno di essere rimessi ” in circolazione” e penso che tu stia provando a fare qualche cosa! Grazie per la tua amicizia, un abbraccio. Se puoi mandami un numero fisso al quale posso chiamarti.
Trovo molto interessante questo rituale e altrettanto bello che ci sia una confraternita che si occupi dei defunti; il racconto di questo rito parla di rispetto per il corpo e per la persona ed è una qualità rara che difficilmente troviamo nella nostra realtà .. tempo fretta e denaro dominano quasi tutto ormai.
Una domanda se possibile: mi chiedevo se ci fosse un significato particolare nella fase in cui il corpo viene tenuto in piedi e viene versata dell’acqua sul (24 litri, come mai proprio 24?) oppure fosse parte della preparazione e purificazione del corpo.
Grazie per questo scritto. Mara
Cara Mara, devo chiedere al mio informatore, un membro della Chevra Kadisha qui a Torino, ti faccio sapere. Non ho pensato a questa domanda.
Grazie!
Marina sei grande! Adoro questi spaccati culturali ed antropologici, che ben si sposano con la mia formazione umanistica e con la mia innata curiosità. Maura
grazie per i complimenti, a Maura e alle altre! Vi darò altri “spaccati”.
Buonasera, ho appena scoperto questo blog e questa è la prima sera che ne leggo i contenuti i quali sono talmente interessanti e ben esposti che ho già letto tutti gli articoli sul lutto. I miei genitori sono meridionali e si ricordano le usanze funebri di un tempo che le persone osservavano durante la veglia del defunto. Mi hanno raccontato che, durante la veglia, si teneva la porta della casa del defunto aperta, anche per una notte intera, in modo tale che le anime dei suoi cari estinti potessero andare a fargli visita. Quando me l’hanno raccontato ho provato un senso di serenità nell’immaginare l’anima del defunto che si ritrovava, magari dopo tanti anni, con i propri nonni, bisnonni e amici e tutta l’accoglienza che si crea attorno al nuovo arrivato nell’aldilà.Quando sono morti i miei nonni, invece, non c’è stata tutta questa poesia ma degli agenti di pompe funebri che ci sollecitavano a dare l’ultimo saluto al defunto perchè erano in ritardo e dovevano chiudere la bara. Penso che questo rituale ebraico abbia antiche origini ma,secondo me, in passato c’era un approccio più umano verso la vita rispetto a oggi. Grazie per questo spazio di confronto e a Marina Sozzi per il suo lavoro
Buonasera e benvenuto, Salvo. Ha ragione, abbiamo perso i rituali consolanti del passato e siamo soli di fronte alla morte. Indietro non si torna, occorre inventare nuovi modi per onorare, commemorare, ricordare i nostri morti, e per aiutare i sopravvissuti. L’importante è parlarne, riflettere. E’ questa la ragione di questo blog.
Grazie Marina, che bell’articolo !!! Della Chevra Kadisha non ne sapevo niente, è una bellissima scoperta … sarebbe bello tornare a queste usanze così come sarebbe bello tornare a quelle raccontate da Salvo. Rimango in attesa di altri “spaccati” BUONA GIORNATA !!
Grazie Laura! Buona serata a te!
Ho appena letto il Suo libro ” Reinventare la morte” e devo dire che l’ho trovato Stimolante (al punto da indurmi a iscrivermi al Suo blog . . .prima volta per un cinquantenne); sono altresi’ Interessato nonche'”dilettante conoscitore”della Cultura Ebraica(anche grazie alla conoscenza della Dott.ssa Daniela Abravanel, . . .a proposito potrebbe essere un’idea farla a Sua volta partecipe del blog con riferimento.ovviamente,all’Ebraismo? ) e ,dunque,per non stancare troppo ,concludo: spero Lei ri-proponga “qualcosa della Sua Cultura Ebraica”e mi permetto di chiderLE(partendo dal libro di IMRE KERTESZ) qualche”dettaglio”riguardo il KADDISH . . .La ringrazio anticipatamente
Lo farò, e grazie per il suo commento!
grazie marina per questo racconto. non so come mai sia capitato nella mia casella ma evidentemente….
arrivo anch’io dal meridione, dove alla morte di mia nonna nel’89 tutte le donne della famiglia al calare della notte, trovarono posto intorno alla bara: sedute , sdraiate, accoccolate sui divani per la veglia funebre che durò tutta la notte .io 26enne ero tra loro.
il defunto da noi non rimane mai da solo fino al momento della sepoltura.
a casa del defunto non si cucina mai: sono i vicini che se ne occupano
mi sembra un bell’accompagnare i nostri cari all’ultima stazione del loro viaggio.
buona vita a tutti
laura
La ringrazio molto per aver condiviso il rito ebraico del lavaggio del defunto. Sono musulmano e trovo molto interessante notare le affinità tra le nostre religioni, sia a livello rituale, che nella lingua sacra, essendo l’ebraico e l’arabo due lingue molto vicine. Infatti anche noi musulmani laviamo la salma del defunto e la avvolgiamo in un sudario in modo simile, e, seppur chiamiamo questo rito “ghusl” (lavaggio), la parola “tahara” è usata anche da noi in un senso più ampio per la purificazione, quindi sia quella della salma che quella che effettuiamo prima di pregare.
Molto bello il riferimento al fatto che il sudario rappresenta l’uguaglianza di tutti gli uomini e donne, che, se anche in vita indossavano abiti diversi secondo il loro status e possibilità economiche, nella morte sono uguali.
In questi giorni alla Mecca i musulmani compiono il pellegrinaggio, ed il motivo per cui tutti indossano delle lenzuola bianche durante i riti del pellegrinaggio è proprio atto a simboleggiare il fatto che il Giorno del Giudizio tutti saremo fatti risorgere con indosso il sudario bianco e saremo radunati sulla piana di ‘Arafa, vicino la Mecca, in cui tutti i pellegrini si riuniscono proprio in uno dei riti del pellegrinaggio, questo sabato. Questo rito quindi è anche un modo di ricordarsi della caducità di questa vita, e che un giorno tutti moriremo ed infine un giorno saremo fatti risorgere.
Grazie per questo intervento. Ritengo molto importante riconoscere e accogliere sia le similitudini, sia le differenze, con spirito aperto.