Consapevolezza della morte e leadership. Intervista a Barbara Carrai, di Marina Sozzi
Barbara Carrai lavora nel campo della ricostruzione post-bellica in missioni internazionali condotte dalle Nazioni Unite, dall’Unione europea o dall’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa nelle zone calde del pianeta. È Vicepresidente dell’associazione “Tutto è Vita-Onlus”, che si occupa di educare a una visione positiva del fine vita, promuovendo un cambiamento culturale di linguaggio e di comportamento. È assistente spirituale alle Cure Palliative di Livorno, dove coordina anche il gruppo che si occupa di assistenza spirituale nella malattia e nell’elaborazione del lutto. L’abbiamo intervistata sul tema Leadership e Spiritualità, e in particolare sull’importanza della consapevolezza della morte per un buon leader.
A fine novembre hai organizzato una bellissima giornata dal titolo “Dalla crisi al mondo nuovo. Verso una leadership spirituale”. Come era nata quell’idea?
Avevamo cominciato nel 2016 a fare un festival di Economia e Spiritualità a Lucca: in quell’ambito abbiamo iniziato a parlare con politici, economisti, rappresentanti delle istituzioni, dirigenti aziendali e del terzo settore.
Da quelle riflessioni è emerso come ai leader, e a quanti ricoprono funzioni di responsabilità, sia oggi richiesta una capacità di gestione del cambiamento e della complessità che travalica quelle che sono normalmente considerate le competenze manageriali. È richiesta loro una conversione profonda e una nuova consapevolezza che possa rigenerare il mondo esterno –incluso il mondo del lavoro- a partire dalla riscoperta della propria interiorità. Stare bene dentro, prendersi cura di sé nell’interezza di mente, corpo, spirito, psiche, è parso essenziale. Se non siamo frammentati, riusciamo a fare qualcosa di buono, di sostenibile, di generativo. Dobbiamo al contempo cambiare noi stessi e cambiare il mondo.
Nell’intervento che avevi fatto in quella giornata, avevi tracciato una via che porta dalla consapevolezza della morte a una leadership spirituale. Puoi ripercorrere i passaggi di quella riflessione?
Prima di essere leader siamo esseri umani, e in quanto tali siamo mortali. Anche se nella nostra cultura è negata, la morte può essere una grandissima amica e consigliera.
Sapendo che morirò, riesco a identificare meglio qual è lo scopo della mia vita, il suo senso, per cosa voglio morire e quindi per cosa vale la pena vivere. Ci sono degli ideali, dei sogni, qualcosa che mi trascende? Se invece si resta nell’ottica dell’immortalità, si ha sempre tempo per realizzare ciò che è importante, si può rimandare indefinitamente.
Avere una meta e sapersi orientare in un percorso è difficile, occorre una grande consapevolezza. La consapevolezza della morte, che è sicura ma che non sappiamo quando si verificherà, ci insegna a vivere nell’incertezza, ad accettare la vulnerabilità.
Il contrario del “mito del leader”, forte, deciso, invincibile?
Un buon leader deve essere capace di sognare, di governare, ma anche di prendersi cura di chi lavora con lui. Se scopre di essere umano, vulnerabile e mortale, lavorerà con altri esseri umani vulnerabili al dolore, alla fatica e alla mortalità: questa consapevolezza gli permetterà di cambiare la relazione e di sviluppare la solidarietà. Prendersi cura significa riconoscere il dolore dell’altro come qualcosa che io stesso ho sperimentato, e che, se non lo nascondo, mi permette di entrare in una relazione profonda con gli altri.
Montaigne scrisse che la “meditazione della morte è meditazione della libertà”. Per un leader, la libertà nel senso di Montaigne significa affrancarsi dalle costrizioni, dai ricatti, dai compromessi al ribasso. Un’altra cosa che può insegnare la morte è il senso di responsabilità e del limite. Rendersi conto che le azioni hanno conseguenze che vanno oltre l’orizzonte biologico di ciascuno porta a prendersi la responsabilità delle decisioni: è qualcosa che può spaventare, ma allo stesso tempo è ciò che rende protagonista un leader.
Ernesto Balducci disse in un’intervista che il discorso sulla morte contiene un aspetto positivo, il recupero dell’autenticità del vivere. Secondo lui l’impegno storico, l’azione, devono seguire, e non precedere, il confronto con la propria morte: cambiare se stessi e cambiare il mondo devono procedere di pari passo. In quest’ottica posso vedere nella morte un’indispensabile consigliera. Alfonso de’ Liguori scrisse: “giudica equamente i fatti e dirige correttamente le proprie azioni chi le giudica e le dirige tenendo ben presente la morte.” La morte ci rende eticamente consapevoli. Dovrebbe diventare abitudine di un leader prendere le decisioni alla luce della morte, come facevano i certosini, che si sdraiavano nella bara. Steve Jobs disse: “Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita, perché quasi tutte le cose, tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o fallire, semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante.”
Quindi la cura di sé è quindi fondamentale non solo per chi lavora in sanità, ma anche per chi ha responsabilità di governo…
Non solo, è fondamentale anche per un padre di famiglia. È proprio un modo di essere e di vivere, mi prendo cura di me e mi prendo cura di te.
C’è un intellettuale francese, Abdennour Bidar, che ha scritto un libro sulla “Rivoluzione spirituale”: una rivoluzione, come diceva anche Daniel Lumera, proattiva e non reattiva, basata sulla felicità e non sulla rabbia. Questa idea della rivoluzione spirituale ti piace?
Tantissimo, anche nella Bibbia c’è scritto: “i tiepidi saranno vomitati”. Stiamo vivendo da tiepidi, aspettando. Invece dobbiamo operare una rivoluzione a partire da noi, una conversione. Da ragazzina ero innamorata di Che Guevara, per il fatto che ha dato la vita, si è messo totalmente in gioco per una grande idea. Senza quell’entusiasmo, senza coraggio, non c’è amore, non c’è vita, non c’è trasformazione.
L’infermiera Bronnie Ware ha scritto un libro ormai famoso, “Vorrei averlo fatto”, sui rimpianti dei morenti. Anche questa può essere una guida per i leader. Avrei voluto vivere la mia vita, e non quello che gli altri si aspettavano da me; non avrei voluto lavorare così tanto; avrei voluto coltivare le amicizie; avrei voluto esprimere con più libertà i miei sentimenti; avrei voluto essere più felice: quest’ultimo rimpianto è il più interessante. Tanti se ne rendono conto alla fine della vita che la felicità è una scelta, non dipende da cosa accade.
Voi farete un Master su leadership e spiritualità. Che posto avranno queste riflessioni nel Master?
Il Master avrà una sessione sul prepararsi a morire, per portare a questa consapevolezza.
Abbiamo scelto una citazione di Platone per presentare il Master: “Prima di pensare a cambiare il mondo, fare rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia, la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomiglino e passate all’azione.”
Per chi fosse interessato, il Master avrà inizio nel fine settimana del 29 e 30 maggio, e avrà cadenza trisettimanale.
Cosa ve ne pare di quest’esigenza di formare i leader alla consapevolezza della mortalità e della vulnerabilità? Credete che potrebbe migliorare lo stile di governo non solo dei paesi ma delle istituzioni in genere, e delle imprese?
Significativa,profonda intervista.Da Platone a
Steve Jobs….il senso della morte è vivere la vita.
Che bello utilizzare questa fase della nostra storia come opportunità per riscoprire la nostra spiritualità individuale e sociale. Grazie Marina e Barbara per queste riflessioni che ho percepito come balsamo per l’anima affaticata di questi tempi. Grazie anche per avere riportato al centro il concetto di leadership, responsabilità ed azione. Mettersi in gioco con il corpo, la mente e lo spirito per noi stessi e per gli altri. La morte non è certo il fine della nostra vita, ma uno strumento per viverla pienamente. Quanto imparo ogni giorno dalle persone che stanno morendo!
Grazie! Intervista molto interessante che spinge a riflettere sul significato della morte e sul senso della vita. Leggerò il libro di Bronte Ware sui rimpianti. Molte volte ho ascoltato da persone in fin di vita parole come “se avessi fatto …se avessi detto”. Vorrei, un giorno, non trovarmi in una tale situazione.