Riflessioni sulle camere mortuarie
L’obitorio della Sapienza, il più grande istituto di medicina legale della capitale, è stato chiuso per seri problemi igienici. Avrebbe dovuto chiudere anche per aver gravemente mancato di rispetto nei confronti dei corpi dei morti. Al di là delle riprovevoli e raccapriccianti condizioni in cui è stato trovato l’istituto di Roma, l’occasione è buona per parlare delle carenze che affliggono molte camere mortuarie italiane, come è emerso con chiarezza in un’indagine compiuta da un gruppo di lavoro costituitosi presso l’Aress del Piemonte alcuni anni fa.
Immaginiamo di aver perso una persona a noi cara in ospedale. Dopo circa un’ora, il suo corpo viene tolto dalla camera dove lo stiamo piangendo, e portato (in un carrello chiuso oviforme: nessuno deve vedere dei morti) nelle camere mortuarie. In genere queste hanno un orario rigido, e il trasporto nella morgue fa sì che i familiari vengano bruscamente allontanati dal corpo del defunto, fino al momento dell’apertura al pubblico.
Il primo trauma è costituito dal luogo. Quasi ovunque, la camera mortuaria si raggiunge scendendo nel sottosuolo, attraversando interminabili corridoi bui e illuminati al neon, cui si affacciano porte di plastica su spazi deposito e magazzini dove sono affastellati materiali nosocomiali, sedie a rotelle, barelle, rifiuti ospedalieri.
Il regno di Caronte in genere è lì, accanto ai rifiuti. Dove non siano stati fatti recenti lavori di ripristino, i muri sono scrostati, sporchi, fessurati, o ricoperti di piastrelle.
Entrarci evoca per i familiari il gesto di disfarsi della salma dei propri congiunti. Questa percezione è in grado, in molti casi, di nullificare perfino il benefico effetto di un buon accompagnamento alla morte. Resterà il ricordo, nel parente, di quell’ultimo luogo, inaccessibile, respingente, senz’anima.
Occorre sapere che le camere mortuarie sono quasi sempre divise in due parti, una tecnica e una “espositiva”. Nella parte tecnica c’è la sala settoria, le celle frigorifere, la sala in cui vengono preparati i corpi, una stanza per gli operatori (con qualche foto e qualche disegno dei figli, o calendari con donne che posano nude) un magazzino. Gelida (non solo dal punto di vista della temperatura), questa parte non è pensata per i familiari, ma per gli operatori: qui vengono lavati e preparati i cadaveri, e vengono vestiti per il funerale.
Paradossalmente, però, se la parte dedicata al lavoro degli operatori è, perlomeno, funzionale, quella che dovrebbe accogliere parenti e amici, e che si affaccia anche all’esterno dell’ospedale, pomposamente chiamata “espositiva”, è sovente la meno accogliente. Uno stanzone o piccole camere a forma di loculo, separate da mura o da pesanti tendoni scuri, accolgono i corpi, prima che le pompe funebri chiudano le bare. Spesso la luce del sole non vi entra, non c’è la possibilità di avere una bevanda fresca o calda per i familiari addolorati, non vi sono sedie a sufficienza, nè una pianta. L’aspetto è cadente, non c’è un luogo del commiato, dove restare un attimo in intimità coi propri morti o dire una preghiera.
In molti casi, il numero dei defunti nell’ospedale supera la capienza delle camere mortuarie, e allora due corpi vengono posti uno accanto all’altro, così vicini che coloro che li vegliano sono costretti quasi a toccarsi. Un giorno ho visto una famiglia in lacrime intorno a un corpo appena preparato per la cerimonia funebre. L’uomo sfiorava col loden un’altra salma non ancora pronta, senza neppure accorgersene. Sulla porta di quella stanza albergava un cartello: “Deposito”.
Coloro che hanno bisogno di riti particolari (ad esempio islamici ed ebrei, le cui religioni prevedono il lavaggio rituale delle salme) devono arrangiarsi nelle sale destinate alle autopsie, le uniche in cui sia possibile usare molta acqua.
Gli operatori sono in genere i meno preparati dell’ospedale. Solo le cooperative esterne prevedono una formazione continua per questi addetti. Negli ospedali pubblici, la camera mortuaria è un territorio dove vanno quegli operatori che sono “in punizione” o quelli inetti, o ancora quelli un po’ squilibrati. Come stupirsi, poi, degli scandali riguardanti il commercio dei funerali che hanno spesso occupato la cronaca?
Il fatto è che le camere mortuarie rispecchiano appieno il ruolo che nella nostra cultura è stato dato alla morte: nascosta, in fondo in fondo ai nostri pensieri così come lo spazio dei morti è in fondo ai corridoi sotterranei. Quasi una metafora della sottovalutazione che facciamo della morte, la trascuratezza delle nostre camere mortuarie ci parla di indifferenza nei confronti dei morti. Una società che non ha un culto dei propri defunti, una cura di coloro che sono stati prima di noi, è priva di passato, di storia, di memoria: spacciata.