Quale rito funebre laico?
Nella loro forma tradizionale, i funerali cattolici lasciano spesso freddi i partecipanti e inappagati e delusi i familiari di chi non c’è più. Gli operatori funebri e i parroci spesso affermano di essere scandalizzati da quanto i presenti chiacchierino tra loro sottovoce, senza seguire la cerimonia.
Cosa è successo?
Soprattutto in aree urbane e secolarizzate, la fede nell’immortalità dell’anima è scemata, e spesso ai riti funebri ci sono persone che non frequentano la messa e non conoscono il rito (leggete il bel libro di Marco Marzano, Quel che resta dei cattolici, Feltrinelli 2012): il rito cattolico è consolante per chi ha fede nell’aldilà, mentre è vuoto e insensato per chi non crede.
Occorrono alternative. Deve essere accessibile a tutti la celebrazione di un rito laico, che metta al centro la vita del defunto e il suo lascito affettivo, culturale, etico. Musica, discorsi, silenzi, gesti sono gli ingredienti di questo rito personalizzato. Un po’ dappertutto in Italia stanno sorgendo sale del Commiato multiculturali, atte a ospitare funerali laici o di altre religioni.
Purtroppo lo spazio da solo non è sufficiente. Il rito funebre ha diverse funzioni: onorare il defunto, consolare i vivi, riaffermare che la vita della comunità continua nonostante la ferita inferta dalla morte. Per essere efficace, deve avere una struttura e un celebrante. Colpite dal dolore della perdita, spesso le famiglie faticano a organizzare un rito. E spesso il dolore, durante i funerali laici privi di rituale, viene aggravato da un’insopportabile afasia.
Come far capire alle amministrazioni pubbliche che è doveroso non lasciare la ritualità funebre in mano ai privati? Che deve esistere uno spazio comunale per il commiato laico e dei celebranti che lavorino per la municipalità? Se vogliamo far crescere il rispetto per ciò che è pubblico e recuperare il sentimento della cittadinanza attiva e della responsabilità civile, occorre anche esprimere un rimpianto collettivo per un cittadino che muore.