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Tag Archivio per: cimiteri

Le tecnologie digitali nei cimiteri: una svolta democratica nel ricordo? di Davide Sisto

13 Maggio 2024/4 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

L’edizione 2024 di Tanexpo, una delle più prestigiose esposizioni internazionali di arte funeraria e cimiteriale, che si tiene ogni due anni a Bologna, ha testimoniato – una volta per tutte – l’ingresso trionfale delle tecnologie digitali anche nel campo dei riti funebri. Una considerevole parte di Tanexpo è stata, infatti, dedicata a un numero ragguardevole di iniziative private volte a favorire una graduale digitalizzazione dei cimiteri. Da una parte, possiamo osservare in maniera nitida le conseguenze odierne del ruolo fondamentale rivestito in tutto il mondo dai funerali in streaming durante il Covid-19. Se la pandemia li ha resi dei surrogati necessari nel momento in cui non potevamo per legge uscire dalle nostre abitazioni nemmeno in vista di un ultimo saluto al proprio caro, oggi sono aumentate considerevolmente le start up che offrono la possibilità di partecipare a distanza ai funerali, tramite gli schermi, a prescindere dall’emergenza sanitaria. Il servizio è indirizzato, soprattutto, a chi non può per ragioni contingenti essere presente nel luogo dove si svolge il rito (per esempio, a causa di una lontananza geografica significativa o per una disabilità, o ancora per problematiche di natura giudiziaria). Dall’altra, è possibile notare quante società private stiano investendo sui QR Code da posizionare sulle lapidi, di modo da creare un collegamento tra il cimitero e i luoghi online più rappresentativi del defunto, o su applicazioni per mobile device intente a riprodurre digitalmente la mappa dei cimiteri, consentendo ai cittadini di trovare più agilmente la tomba della persona amata. Al tempo stesso, queste applicazioni permettono di prolungare online i riti del commiato, tramite bacheche in cui ogni individuo può lasciare fiori e candele virtuali, nonché scrivere qualche ricordo specifico relativo al defunto.

Funerali in streaming, QR Code sulle lapidi, applicazioni per mobile device intente a fornire servizi funebri nella dimensione online: l’insieme di queste iniziative testimonia, a mio avviso, come la crisi assodata del cimitero tradizionale sia strettamente legata al bisogno collettivo di personalizzare il rito funebre. Questo bisogno corrisponde, di fatto, alle caratteristiche generali assunte dalle nostre società connesse e secolarizzate: l’abitudine decennale di utilizzare i social media, creando profili a cui far corrispondere la propria irripetibile biografia, ci ha spinto a non accettare più il carattere anonimo delle lapidi tradizionali, indistinguibili l’una dall’altra. Già negli anni Settanta antropologi rinomati come Louis -Vincent Thomas erano convinti che l’evoluzione tecnologica avrebbe portato implicitamente in primo piano il desiderio di democratizzare il ricordo, non rendendo duratura la sola memoria delle persone che si sono distinte in vita per meriti specifici o, semplicemente, che si possono permettere il lusso di acquistare a tempo indeterminato spazi all’interno dei cimiteri. Oggi, questo duplice processo di personalizzazione e di democratizzazione del rito e del ricordo è già ampiamente messo in moto, per esempio, dai funerali laici, dalla cremazione, dalla dispersione delle ceneri, leggi locali permettendo. Le tecnologie – come quella del QR Code sulla lapide – non fanno altro che portare alle estreme conseguenze la volontà di mantenere una propria unicità, ben rimarcata, anche dopo la propria morte. E i dibattiti sui social in merito a queste esigenze sono alquanto significativi: su Tik Tok, per esempio, a proposito del QR Code sulle lapidi c’è chi già immagina di imbastire il blog in cui lasciare le proprie ricette culinarie o in cui fare sfoggio delle proprie abilità fotografiche, conservando le fotografie scattate durante i propri viaggi nel mondo. Si comincia, in altre parole, a pianificare un’eredità specifica, legata alle proprie soggettive prerogative, da unire alle classiche informazioni di rito conservate nei cimiteri.

Questo cambiamento culturale potrebbe spingere i cimiteri, capaci di mettere a frutto le inedite esigenze dei cittadini contemporanei, a trasformarsi in veri e propri musei delle memorie popolari. In tal modo, potrebbero modernizzare il loro ruolo all’interno delle nostre città, recuperando una funzione che pare obsoleta in un’epoca storica in cui è sempre più ridotto il numero di chi associa il cimitero al luogo in cui si trova il proprio caro.

Voi cosa ne pensate di queste innovazioni tecnologiche? Troppo slegate dalle tradizioni acquisite? Oppure, semplicemente – come, ad esempio, io penso – la normale evoluzione di un percorso storico segnato dalla tecnologia? Attendiamo con interesse i vostri commenti.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/qr-code-memorials-copia.jpg 265 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-05-13 09:50:482024-05-13 09:50:49Le tecnologie digitali nei cimiteri: una svolta democratica nel ricordo? di Davide Sisto

Instagram e le influencer della morte, di Davide Sisto

11 Dicembre 2023/14 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Da alcuni anni, in Italia, i social network sono diventati testimoni di un significativo numero di influencer piuttosto particolari: i cosiddetti “tanato-influencer” o “influencer della morte”. In altre parole, come succede in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ci sono alcune persone – per lo più di genere femminile e di età relativamente giovane – che utilizzano i social media (soprattutto, Instagram) per parlare colloquialmente di morte, di lutto, di riti funebri con i propri followers. Ciascuna di loro ha un seguito di decine di migliaia di followers, a dimostrazione dell’interesse nei confronti del tema e della loro attività. Il primo nome che mi viene in mente è quello di Giulia Depentor, creatrice di contenuti digitali per aziende e brand, dunque non tanatologa in senso proprio. Tuttavia, è divenuta alquanto nota per il podcast Camposanto, dedicato agli amanti dei cimiteri e a chi è interessato a conoscere le storie e le immagini fotografiche più curiose delle lapidi. Depentor gira per il mondo alla ricerca dei cimiteri più peculiari, ricostruendo le storie degli abitanti delle città e dei piccoli borghi che sono passati a miglior vita. L’attenzione per Camposanto è stata tale che oggi possiamo leggere un sunto delle sue esperienze nel libro “Immemòriam. I cimiteri e le storie che li abitano”, edito da Feltrinelli. Un secondo nome che merita menzione è quello di Lisa Martignetti, il cui nickname su Instagram è “la ragazza dei cimiteri”. Martignetti è una funeral planner, cioè aiuta le famiglie a organizzare i funerali dei propri cari. Ha circa 25.000 followers e utilizza Instagram per parlare dei principali temi che riguardano la morte: il tabù e il processo di rimozione sociale e culturale, il ruolo dei riti funebri e dei cimiteri nelle nostre vite, nonché ogni aspetto che permetta di razionalizzare la paura della morte e di prendere così coscienza della propria mortalità. Tanatolady, alias Irene Nonnis , è invece una tanatoesteta intenta, anche lei, a servirsi dei social media per raccontare storie legate al suo lavoro, al nostro rapporto culturale con la morte e con i riti funebri. Cito ancora, tra i diversi nomi che si occupano di diffondere idee sulla morte tramite le piattaforme digitali, Carolina Boldoni, antropologa culturale dallo spiccato senso dell’umorismo, la quale si definisce “la Chiara Ferragni dell’antropologia” nonché “l’influencer della morte”. Oltre a utilizzare Instagram per divulgare in modo estremamente acuto e intelligente gli studi su cui si è formata da un punto di vista accademico, ha creato un format intitolato “Lutto alle 8” e condotto insieme a Laura Campanello, il quale affronta ogni tipo di tema che riguarda il fine vita.

Depentor, Martignetti, Nonnis e Boldoni sono solo alcuni esempi di un fenomeno che sta lentamente crescendo e che italianizza, in linea generale, lo splendido lavoro compiuto da Caitlin Doughty negli Stati Uniti. Ciò che è interessante notare, almeno dal mio punto di vista di studioso del tema della morte, è il mix di creatività e di acume con cui le influencer della morte confezionano i loro video, i loro testi scritti, le loro immagini fotografiche. In altre parole, dimostrano come si possano utilizzare in maniera matura gli strumenti offerti dalle piattaforme digitali, veicolando messaggi socialmente e culturalmente rilevanti attraverso i linguaggi che vanno per la maggiore, soprattutto tra le nuove generazioni. Il contributo offerto alla causa dei Death Studies è piuttosto prezioso, ragione per cui le influencer della morte sono coinvolte negli eventi pubblici che riguardano il fine vita (festival, conferenze, dibattiti, ecc.). In un’epoca storica in cui stiamo lentamente scardinando il tabù, riportando la morte e il morire all’interno del dibattito pubblico, i processi culturali tanatologici messi in moto tramite i social media controbilanciano la ritrosia, ancora assai presente, da parte dei mass media tradizionali di trascendere con forza la rimozione. Forse, le influencer della morte sono l’ennesimo esempio di un cambiamento profondo dei linguaggi e delle espressioni pubbliche, figlio della progressiva disintermediazione generata dall’epoca dei social media. Mi azzardo a dire che rientrano all’interno del campo della tanatologia digitale o Digital Death, quali testimonianze oggettive di come il mondo online offra spazi per affrontare esplicitamente ciò che si evita, di solito, nel mondo offline.

Conoscete qualche influencer della morte? Le seguite? In tal caso, cosa pensate della loro attività? Fateci sapere.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2023/12/maxresdefault-e1702285724814.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2023-12-11 10:10:542023-12-13 19:37:42Instagram e le influencer della morte, di Davide Sisto

Il cimitero, luogo di vita, di Davide Sisto

13 Dicembre 2022/25 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Lo scorso ottobre, a Trieste, ho avuto modo di assistere al documentario intitolato “Il Girotondo” della regista Alice Palchetti. Il documentario, ambientato in uno dei cimiteri di Berlino, ha lo scopo di evidenziare il limite e il confine tra la vita e la morte attraverso la descrizione delle molteplici attività che, in Germania, si svolgono quotidianamente all’interno delle strutture cimiteriali. In mezzo alle tombe viene ripreso, infatti, un numero significativo di bambini intenti a giocare e a rincorrersi come se fossero all’interno di un qualsiasi parco cittadino, mentre gli adulti svolgono le più disparate attività ludiche: concerti, conferenze, spettacoli teatrali, ecc. Queste attività si integrano armonicamente con le processioni funebri, segnate dal dolore per la perdita. I primi piani sulle persone in lutto si alternano a quelli su chi sta, per esempio, recitando. La regista, una volta presentato il suo documentario, non ha nascosto il suo iniziale spaesamento: abituata alle convenzioni italiane, è rimasta dapprincipio perplessa a ricevere inviti da parte degli amici tedeschi per incontrarsi dentro il cimitero quale luogo di ritrovo in vista delle successive attività ludiche. La normalità con cui gli abitanti di Berlino sostano nei cimiteri – anche per leggere, per fare jogging, per fare pausa pranzo, ecc. – l’ha spinta tuttavia a ragionare sul senso del limite e del confine in maniera differente rispetto alle sue abitudini consolidate. Il girotondo, pertanto, rappresenta la metafora dell’ininterrotto passaggio da sopra a sotto la terra e viceversa che caratterizza la casa dei morti, mettendoli costantemente in contatto con i vivi. In altre parole, indica quel confine che unisce e separa, rendendo di fatto il cimitero una specie di dogana tra due differenti mondi. Le immagini dei bambini che corrono tra le tombe servono proprio per sottolineare la circolarità tra l’inizio e la fine.

Guardando il documentario, mi è venuta subito in mente una famosa affermazione di Luigi Lombardi Satriani, appuntata nel bellissimo libro “Il ponte di San Giacomo”: “I morti sono i segni sotterranei della vita”. Questa frase nella sua semplicità, se applicata alla natura del cimitero, non solo conferma le buone intenzioni del documentario di Alice Palchetti, ma indirettamente spiega l’errore principale che commettiamo di solito in Italia.

In Germania emergono soprattutto i limiti e i confini che, dentro al cimitero ubicato nel cuore delle città, uniscono e separano i vivi e i morti, l’inizio e la fine. Nel nostro paese invece ci si sofferma maggiormente sulle alte mura che, cintando strutture cimiteriali spesso collocate ai margini delle metropoli, determinano la rigida separazione tra chi è fuori e chi è dentro.

In tal modo, eliminano la comunicazione tra l’inizio e la fine. Il nostro atavico timore nei confronti dei cimiteri, percepiti come luoghi tristi e lugubri, ci spinge ad allontanarli il più possibile dalla vita di tutti i giorni, rendendoli una tappa obbligata per il solo e canonico giorno dei morti. Ed è veramente un peccato. Lo dico da appassionato di cimiteri. Quando mi reco al loro interno, la prima sensazione che provo è quella di essere dentro una realtà estremamente ricca di vitalità. Ogni cimitero ha, innanzitutto, una sua flora e una sua fauna specifiche, le quali prosperano tra i loculi e i cimeli delle persone decedute. Il silenzio predominante accompagna, quindi, il susseguirsi di informazioni e memorie su chi ha vissuto prima di noi, facendo percepire in maniera simbolica la loro presenza fantasmatica.

È ovvio che se associamo al cimitero soltanto il momento del rito funebre, dunque un evento terribilmente doloroso, non può che scaturirne una normale repulsione. Se, invece, impariamo a popolarlo a prescindere dai riti funebri, svolgendo al suo interno le attività che caratterizzano la nostra quotidianità, riusciamo forse a cogliere meglio il legame tra il presente e il passato, dunque la dialettica tra la presenza e l’assenza che tratteggia la natura del defunto. In tal modo, possiamo disporre di uno strumento prezioso in più per superare la rimozione sociale e culturale della morte e per maturare un atteggiamento meno traumatizzato nei confronti di quel tratto mortale che ci definisce. Proprio per tale ragione, sono convinto che le scuole dovrebbero portare i bambini nei cimiteri, per abituarli a una relazione meno traumatica tra l’aldiquà e l’aldilà.

Nel consigliare il documentario di Alice Palchetti, vi chiedo qual è il vostro rapporto con i cimiteri, se li frequentate o se li evitate. Attendiamo con curiosità le vostre risposte.


ps.le persone interessate a vedere il documentario possono contattare Alice tramite email: alicepalchetti@gmail.com

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La mappatura digitale dei cimiteri, di Davide Sisto

26 Novembre 2021/7 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Il 2 novembre 2021 l’Osservatore Romano ha riportato la notizia del recente e ambizioso progetto tecnologico della Church of England: vale a dire la mappatura digitale dei suoi quasi ventimila cimiteri sparsi in tutto il territorio britannico. Il progetto, la cui realizzazione necessita di circa sette anni di lavori, ha preso il via presso l’antica chiesa di Saint Bega, all’interno della Diocesi di Carlisle, ed è il frutto della collaborazione tra la Church of England e la Atlantic Geomatics, una società che si occupa specificamente di rilevamento topografico. Il primo obiettivo è quello di inaugurare durante la primavera 2022 il sito web che permetterà agli utenti provenienti da tutto il mondo di accedere liberamente alla topografia di ogni cimitero. Si prevede che ogni operatore impegnato in questo innovativo progetto sarà in grado di rilevare circa nove o dieci siti cimiteriali al giorno, usufruendo di apparecchiature di scansione laser montate su uno zaino, nonché GPS e telecamere. In tal modo, i topografi dovrebbero velocemente mappare i vari luoghi cimiteriali, fotografando ogni singola lapide. L’Osservatore Romano evidenzia, quindi, come tutti i dati, a mano a mano che verranno raccolti, saranno uniti ad altre informazioni, «come quelle del National Biodiversity Network Atlas, per presentare quello che intende essere il quadro più completo dei cimiteri fino ad oggi redatto in Inghilterra».

Come viene indicato all’interno del sito web ufficiale della Church of England, la mappatura digitale dei quasi ventimila cimiteri inglesi è funzionale ai bisogni tanto delle piccole comunità locali, nel caso in cui vogliano ricostruire la loro storia, quanto delle singole persone, offrendo loro la possibilità di ritrovare informazioni utili sui propri cari defunti e sugli antenati, stando comodamente davanti allo schermo del proprio computer o del proprio smartphone. Ogni utente del sito web potrà visitare tutti i cimiteri del paese, potendo vedere in tempo reale la posizione dei loculi. Appositi registri digitali renderanno possibili ricerche di natura storica senza dover recarsi fisicamente all’interno dei vari cimiteri. Infine, la collaborazione con diverse società che si occupano di ricerca genealogica online dovrebbe rende particolarmente preciso il lavoro di mappatura, alleviando pertanto il lavoro amministrativo delle varie parrocchie.

Questo progetto della Church of England è l’ultimo di una lunga serie di singole iniziative volte a mettere a frutto le tecnologie digitali in vista di una visita interattiva ai cimiteri di tutto il mondo. Nel corso degli anni sono nate numerose applicazioni per smartphone (penso – per esempio – a Find A Grave) il cui obiettivo è permettere di viaggiare virtualmente tra le tombe dei cimiteri di tutto il mondo, magari ritrovando le tombe dei personaggi storici. Ma, finora, queste iniziative sono risultate alquanto sporadiche e imprecise, dal momento che presuppongono un lavoro di mappatura lungo e complesso, che non può essere realizzato senza i necessari finanziamenti. La Church of England pare, invece, intenzionata a rivoluzionare in modo concreto le caratteristiche delle ricerche e delle visite ai cimiteri, ampliando quell’idea di vivere dentro spazi oramai digitalmente integrati che connota l’epoca contemporanea. Tra QR Code sulle tombe, che permettono di accedere a un numero sempre più cospicuo di informazioni relative al defunto, le enciclopedie dei morti, con cui si identificano già oggi i social media come Facebook, e la mappatura digitale dei cimiteri ci ritroveremo, molto probabilmente, in un futuro prossimo in cui le storie personali degli individui deceduti saranno ricche di dati e descrizioni biografiche, poste all’interno di ricostruzioni genealogiche in grado di contrastare gli effetti naturali dell’oblio.

Dal mio punto di vista, questo tipo di iniziative sono molto affascinanti e non tolgono assolutamente nulla al piacere individuale di recarsi a far visita fisicamente ai propri cari nel singolo cimitero locale. Semmai, ampliano le possibilità di conservare la memoria di chi non c’è più, offrendo l’ennesima dimostrazione di come la rivoluzione digitale stia intercettando quasi più la presenza spettrale dei morti che quella delle persone in vita.

Voi, cosa ne pensate della mappatura digitale dei cimiteri? Attendiamo, come sempre, i vostri commenti.

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I riti funebri e la pandemia, di Marina Sozzi

15 Maggio 2020/10 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

A chi segue questo blog da un certo numero di anni, sarà familiare il concetto di crisi rituale: da diversi decenni, nel nostro Paese (ma non solo) siamo di fronte a un diffuso disagio. Più volte abbiamo notato, prima della pandemia, come i riti della tradizione cattolica, in un mondo molto secolarizzato, abbiano perso l’efficacia e il potere consolatorio che avevano in passato, quando la preoccupazione per la vita ultraterrena era più rilevante. Viceversa, si è sentita molto l’esigenza di commemorare in modo più personale coloro che ci hanno lasciati, ricordando il loro ruolo, i loro affetti, il loro lascito, il loro contributo alla vita terrena.

Alcuni parroci hanno accolto questa istanza dei parenti, alcuni crematori hanno costruito cerimonie laiche, e il profilo di una nuova figura professionale, il cerimoniere, comincia a farsi strada. In tutto questo, una sottile vena antiritualista si era comunque infiltrata nelle menti dei nostri contemporanei, soprattutto relativamente all’usanza di recarsi al cimitero. «Preferisco ricordarlo com’era in vita» è una frase frequentemente ascoltata nelle interviste su questi temi, e si è parlato di una memoria della mente e del cuore.

La nostra non è certamente la prima crisi rituale della storia europea. Una molto più violenta si è avuta alla fine del Settecento, quando lo spostamento dei cimiteri fuori le mura per la scelta igienista di alcuni sovrani illuminati aveva impedito a chi aveva perduto un congiunto di seguire il feretro fino alla sepoltura. In quel periodo, inoltre, la nascita dell’individuo moderno aveva messo in crisi la prassi della fossa comune. Fu Napoleone a dare una spinta importante per la risoluzione della crisi funebre, istituendo la sepoltura individuale e dando origine ai cimiteri monumentali.

Ora, che cosa sta accadendo durante l’epidemia di Covid-19? Il divieto, per mantenere il distanziamento sociale, di celebrare riti funebri e di recarsi al cimitero ha avuto un impatto fortissimo sui cittadini italiani. Unito all’impossibilità di accompagnare i propri cari alla fine della vita, ha determinato sovente dei lutti pieni di rabbia e disperazione, che ci inducono a ripensare il panorama funebre contemporaneo alla luce del Covid -19.

La prima osservazione da fare riguarda la sottovalutazione dell’importanza del rito funebre che è stata fatta. Occorre ricomprendere l’insostituibile funzione del rito. Il rito lenisce la ferita che la morte infligge nel corpo sociale, ribadendo che la vita può continuare nonostante la morte; il rito mette ordine, laddove la morte minaccia la vita in quanto irruzione in essa del caos; il rito ci ricorda che la morte di un membro della società è un evento sociale, non un avvenimento individuale o familiare che si vive in solitudine; il rito assegna una collocazione al defunto (qualunque sia questa collocazione, tra gli antenati, in un altro mondo, o nel ricordo di chi l’ha conosciuto); il rito ci permette di smaltire il corpo morto, ma senza venir meno alla consapevolezza che quel corpo è stato persona, ancora presente nella mente dei suoi cari. Il rito, infine, dà origine al periodo del lutto, legittimandolo.
E accanto al rito occorrono luoghi funebri accoglienti, rassicuranti, pieni di bellezza (un tema, anche questo, che abbiamo trattato e che tratteremo in futuro)

E’ quindi più chiaro perché la mancanza di un rito funebre e l’impossibilità di recarsi al cimitero abbia sconvolto il rapporto con la morte dei nostri connazionali. Forse l’impatto del dolore senza nome che è entrato nelle famiglie in lutto è stato sottovalutato dalle autorità chiamate a stabilire le regole in questo terribile momento di pandemia. Forse si sarebbe potuto cercare di trovare un modo per non cancellare i riti funebri. E tuttavia, del senno del poi…

La prima considerazione che viene in mente è che il Covid – 19 abbia acceso la luce sul bisogno di riti che abbiamo. E forse potrebbe essere questa dolorosa contingenza a spingerci a modificare i nostri riti per renderli più efficaci, più adeguati ai bisogni contemporanei. Senza lasciarci trascinare dalle mode, dalla dimensione “inventiva” e creativa, in cui ciascuno costruisce il proprio addio da bricoleur.
Restando ancorati a ciò che ha una storia e radici nella coscienza collettiva, religioso o laico che sia, occorre dare spazio alla dimensione personale e individuale. Nella nostra cultura la visione dell’individuo come un unicum è molto forte, e nel commiato c’è bisogno di raccontare chi è stata la persona che è morta, cosa ha realizzato nella vita, se ha saputo amare, quale lascito etico e affettivo ci consegna.

E proprio ragionando su questa esigenza, si può riflettere a cosa si può fare per lenire il dolore di coloro che non hanno potuto celebrare riti funebri.

Ci vorrà una grande cerimonia collettiva, è indubbio. Mantenendo le debite differenze, qualcosa di simile a ciò che è stato fatto dopo la Prima guerra mondiale, con la celebrazione del milite ignoto. Tuttavia, non solo grazie a Dio non siamo in guerra, ma conosciamo i nomi di coloro che sono morti. Dovremo pronunciarli, questi nomi. Mi viene in mente a Gerusalemme, a Yad Vashem, l’edificio che conserva la memoria dei bambini morti nella Shoah. Si entra in una camera oscura attraverso un cunicolo che ci fa sprofondare nella terra, la stanza è fiocamente illuminata da lumini che si accendono nell’oscurità, e per ventiquattro ore al giorno una registrazione pronuncia i nomi dei bambini uccisi: il nome, il paese di provenienza, l’età. Si esce con un’emozione travolgente. La forza dei nomi. La pandemia non ha nulla a che fare con la Shoah, ma dovremo ricordarci la forza commemorativa del pronunciare i nomi.

Inoltre, accanto a una grande cerimonia commemorativa, ci vorranno tante piccole occasioni locali di condivisione della memoria. Alcune istituzioni, come l’associazione Maria Bianchi, ne stanno già proponendo alcune, che potete leggere qui, anche per organizzarne e immaginarne altre, in altri luoghi del Paese, soprattutto i più colpiti dal Covid-19.

Cosa ne pensate? Ritenete anche voi che sia il momento di imprimere un cambiamento nella nostra ritualità funebre? Pensate che ci voglia una cerimonia collettiva per coloro che abbiamo perso nella pandemia? Come la fareste?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2020/05/candel2-e1589452845661.jpg 264 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2020-05-15 10:21:562020-05-15 10:21:56I riti funebri e la pandemia, di Marina Sozzi

A che punto siamo con la negazione della morte? Prima puntata: i riti, di Marina Sozzi

1 Novembre 2018/10 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

A che punto siamo con la negazione della morte? E’ una domanda che un tanatologo, di tanto in tanto, deve porsi. Questa volta l’interrogativo è stato stimolato anche dalla lettura dell’ultimo libro del sociologo Marzio Barbagli, Alla fine della vita, che afferma che la società moderna non nega e nasconde la morte più di quelle che l’hanno preceduta. Non sono per niente d’accordo con lui, e ho l’impressione che il libro voglia essere una provocazione, ma non sia del tutto equo nei confronti del profluvio di studi e riflessioni che, in tutto il mondo occidentale, hanno esaminato i molteplici significati dell’impasse dei nostri contemporanei non solo di fronte al morire, ma anche dinanzi al soffrire. Sembra che Barbagli voglia un po’ “liquidare” la tesi della negazione della morte, più di quanto non intenda riesaminarla.

Io vorrei, invece, affrontare la domanda sulla negazione della morte come se fosse una domanda nuova, senza dare per scontate le risposte che ho dato in passato. Sono ormai venticinque anni che mi occupo di questi temi, e vi propongo di guardare a ciò che è accaduto nell’ultimo ventennio. La situazione è migliorata? E’ peggiorata? Il discorso è lungo, e comincio oggi proponendovi un tema specifico, quello dei riti funebri.

I riti funebri sono semplicemente cambiati, come dice Barbagli, o c’è una povertà rituale oggi in Italia? Che le modalità di sepoltura siano cambiate è un dato: nel 2016 (ultimi dati disponibili) è stata scelta la cremazione dal 23% delle persone, l’inumazione dal 33% e la tumulazione dal 44%. La scelta cremazionista cresce, per ragioni in parte culturali e in parte economiche. Non credo né ho mai creduto che l’aumento della cremazione, in Italia come in altri paesi, sia sintomo di una deritualizzazione.
Al contrario, nei luoghi in cui è stato proposto un rito del Commiato per accompagnare l’affidamento della salma al crematorio, si è fatta un’importante operazione culturale: far riflettere i familiari sull’esigenza di un addio che abbia una struttura rituale, ma che corrisponda anche al desiderio di personalizzazione molto diffuso in Occidente: una poesia, una musica, qualche parola in memoria del defunto pronunciata da chi lo ha amato. Nei crematori dove c’è stata l’offerta di un rito, la popolazione ha maturato anche la capacità di celebrarlo a immagine e somiglianza del morto. Stiamo parlando, però, di una minoranza. C’è un’altra minoranza che pensa per tempo al rito funebre: quella di coloro che, avendo avuto accesso per tempo a buone cure palliative, hanno potuto conciliarsi con la propria morte e hanno dato istruzioni ai loro cari sulla cerimonia che desiderano.

La maggioranza delle persone, invece, si trovano in una situazione di impoverimento rituale. Pensano al rito funebre quando la morte di un congiunto è già avvenuta o sta per sopraggiungere. Allora chiamano le onoranze funebri e delegano loro quasi ogni decisione.
Così accade che molti non credenti si trovino impelagati in un rito cattolico. E forse anche la Chiesa cattolica si sta rendendo conto di quanti problemi ci siano nella celebrazione dei funerali religiosi con persone non religiose o blandamente credenti. I sacerdoti si accorgono che gli astanti non conoscono le formule di rito, non sanno quando alzarsi e sedersi, non conoscono le preghiere. Gli stessi operatori funebri si scandalizzano, inoltre, nel constatare che i partecipanti a molti funerali non riescono a sentire la solennità della morte, e si comportano in modo inappropriato.
Un problema a parte è costituito dalla scarsa offerta di spazi interculturali, dove sia possibile celebrare riti di altre culture o religioni. Ne ho parlato in alcuni miei libri e non vorrei dilungarmi su questo. Certo le cose non vanno meglio di qualche anno fa, né il clima di intolleranza che si va diffondendo nel paese fa presagire nulla di buono su questo fronte. Un’unica notazione positiva: la possibilità (che si sta cominciando a proporre) di assistere in streaming a funerali che si svolgono a migliaia di chilometri dal luogo dove si vive può essere uno strumento importante in un mondo globalizzato, anche se non sostituisce la presenza di persona.

Non è vero, come afferma Barbagli, che tutti i riti hanno perso terreno, e non solo quelli funebri. Forse in alcune nicchie intellettuali della mia generazione di baby boomers c’era un atteggiamento antiritualista, ad esempio ci si sposava in tono minore: era considerato più di buon gusto.
Oggi però i giovani sono tornati con entusiasmo al matrimonio tradizionale, anche quando si sposano civilmente, abito bianco, banchetto e torta nuziale, album di fotografie, bomboniere, (a testimonianza del loro/nostro bisogno di riti), e organizzano feste per il battesimo dei figli. Ma lo stesso non si può affermare per i funerali. Nessuno pensa di onorare la memoria di un defunto con un funerale importante.

Per quanto riguarda i cimiteri, continuano a essere luoghi poco frequentati, con l’esclusione delle persone in lutto e delle celebrazioni dei primi di novembre. Certo, nell’ultimo ventennio sono stati molto valorizzati i cimiteri monumentali, ma soprattutto dal punto di vista artistico-museale.
Invece le proposte innovative, che dovevano modificare il volto ai nostri luoghi dei morti (ad esempio i cimiteri arborei e altri progetti di parchi cimiteriali) non sono riusciti a sfondare, nonostante l’idea piaccia molto a tanti cittadini. Fiacchi i cimiteri virtuali, che pareva dovessero rappresentare il futuro, ma che non esistono quasi più. L’idea codice del Qr da mettere sulle tombe, per accedere a una realtà aumentata, e poter conoscere la storia della persona sepolta, benché interessante, ancora ha fatto poca strada. Intanto, continuiamo a avere cimiteri di loculi.

La commemorazione viaggia soprattutto sui social, Facebook in primo luogo. E’ accaduto che la rievocazione si sia spostata nel mondo virtuale, abbandonando parzialmente quello reale. Ma non mi spingerei a parlare di una nuova cultura funebre. Perlomeno, non ancora. La memoria veicolata dai social network è una memoria troppo carica di informazioni, troppo privata, e che privilegia l’aspetto della consolazione dei vivi rispetto a quello della memoria storica e sociale. E anche da questo punto di vista, manca l’aspetto concreto della presenza fisica degli altri nella vita di chi ha perso un congiunto. Certo, la presenza su Facebook è meglio di nulla. Ma è un succedaneo.

Non abbiamo, a mio modo di vedere, ancora trovato un rito che possa essere condiviso in una società complessa e plurale come la nostra. Cosa ne pensate? Vi sembra invece che nuovi riti si stiano sedimentando? Come vorreste che fosse il vostro rito funebre? I cimiteri sono ancora importanti?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/11/Depositphotos_47611967_s-2015-e1541069976729.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-11-01 12:05:042018-11-01 12:05:04A che punto siamo con la negazione della morte? Prima puntata: i riti, di Marina Sozzi

Perché comprare casa accanto ai cimiteri ci fa risparmiare fino al 50%? di Davide Sisto

29 Giugno 2017/11 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Silhouette Of Creepy Zombie Rising At Spooky Graveyard Against MoonlightNon sapete come affrontare la terribile crisi economica di questi anni? Comprate casa vicino a un cimitero e risparmierete fino al 50% rispetto alle altre zone cittadine. Questo dato emerge da un’analisi dell’andamento del costo degli immobili nei pressi dei cimiteri delle più importanti città italiane svolta da Mitula, un motore di ricerca che possiede più di 170 portali con annunci immobiliari, lavorativi, ecc.

A Torino, il prezzo medio di una casa, dagli 80 ai 100 metri quadri, situata accanto al magnifico Cimitero Monumentale, in un quartiere non così distante dal centro cittadino, si aggira intorno ai 145.000 euro. Nei quartieri limitrofi la stessa casa con le stesse dimensioni ha, invece, un prezzo di circa 485.000 euro. A Roma, per vivere in un appartamento vicino al Cimitero Monumentale del Verano, quindi sito nei pressi della città universitaria de La Sapienza e all’interno di un quartiere centrale come Tiburtino, bastano 244.000 euro, un costo inferiore del 45% rispetto a quello di un’abitazione in centro città (dai 600.000 euro in su). Stesso discorso vale per Napoli, il cui cimitero delle Fontanelle, prestigioso luogo storico e meta obbligata del turismo internazionale, garantisce un sostanzioso risparmio a chi vuole ammirarlo dalle finestre della propria abitazione.

Questa curiosa notizia mette bene in luce come sia tutt’altro che superato il nostro rapporto problematico con il pensiero della morte e con l’immagine dei morti. Escludo – spero – l’ipotesi che la ritrosia a vivere accanto a un cimitero sia riconducibile al timore di incontrare, in tarda notte, i claudicanti zombie ballerini del videoclip di “Thriller” di Michael Jackson o quelli meno maldestri e più minacciosi dei film di Romero (tirate un sospiro di sollievo: Bela Lugosi è sepolto, sì, con l’abito di Dracula ma in California, quindi a debita distanza). O, in alternativa, “li mortacci (tua o vostra)” di nota tradizione romanesca. Escludo anche che tale scelta dipenda dal fatto che il quartiere in cui vi sono i cimiteri sia, per definizione, un “mortorio”: ciò, infatti, se allontana il popolo rumoroso della movida, potrebbe attirare invece chi predilige il silenzio e la pace (eterna, obviously) nella propria abitazione.

A parte gli scherzi, le chiavi di lettura di questo particolare fenomeno immobiliare sono, semmai, le seguenti. In primo luogo, il senso di profondo disagio nei confronti dell’idea di avere l’ingombrante presenza della morte davanti agli occhi ogniqualvolta torniamo a casa dal lavoro o, in alternativa, ci affacciamo alla finestra. L’angoscia nel poter pensare, macabramente e in continuazione, che a pochi metri di distanza dalla cucina o dalla camera da letto, tra piatti prelibati ed effusioni amorose, ci siano i resti scheletrici di chi ha lasciato il mondo dei vivi, magari tra immani sofferenze. La vita accanto a un cimitero viene percepita, in altre parole, come triste e lugubre, fonte di sentimenti negativi o, addirittura, di depressione, specie per coloro che non sono abituati a ragionare sulla propria mortalità.

In secondo luogo, la tipica scaramanzia del nostro Paese, la quale genera tanto il timore nei proprietari dell’abitazione di poter essere irrisi da amici e conoscenti, quanto l’idea che sia squalificante e di cattivo gusto condurre una vita quotidiana serena accanto a un luogo che riproduce, almeno superficialmente, il non plus ultra del dolore e della disperazione.

Soprattutto, la vita quotidiana accanto a un cimitero rappresenta lo scacco matto per chi non vuole assolutamente fare i conti con la propria morte. Ed ecco, quindi, che ritornano le note parole di Jean Baudrillard, il quale ci ricorda come i morti abbiano cessato di esistere accanto a noi, come siano stati respinti fuori della circolazione simbolica del gruppo dei vivi. Essi non sono più partner degni di scambio. Proprio per questa ragione, occorrerebbe fare come Charles Bukowski: «Io mi porto la morte nel taschino – scrive – a volte la tiro fuori e le parlo: “Ciao bella, come va? Quand’è che vieni a prendermi? Sono pronto”».

Va beh, Bukowski esagera come suo solito. Ciò non toglie che sarebbe il caso di imparare da quei popoli, specie del Nord Europa, che vivono il cimitero come un normale luogo pubblico, facendo jogging, leggendo i libri o semplicemente passeggiando tra le tombe, dunque non ponendosi molti problemi ad abitare lì accanto (me lo potessi permettere, comprerei al volo casa accanto al Brompton Cemetery di Londra, a due passi dallo stadio del Chelsea F.C., meta prediletta di tutti i tifosi inglesi prima e dopo la partita di calcio).

Il cimitero, lungi dall’essere solo un luogo di comprensibile sofferenza, rappresenta il simbolo dell’integrazione tra la vita e la morte, della naturale circolarità tra le due. Non c’è luogo migliore in grado di aiutarci a superare la rimozione sociale e culturale della morte. Se poi permette pure di risparmiare il 50% dei costi di acquisto della propria abitazione…

Come avrete capito, io non ho alcun timore a vivere accanto a un cimitero: e voi? Ritenete che sia una cosa sconveniente o addirittura lugubre? Attendo – curioso – i vostri commenti.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2017/06/Depositphotos_5132885_s-2015.jpg 332 500 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2017-06-29 10:18:452017-06-29 10:18:45Perché comprare casa accanto ai cimiteri ci fa risparmiare fino al 50%? di Davide Sisto

Al Qarafa, Il Cairo: dove morti e vivi vivono gomito a gomito

4 Giugno 2013/6 Commenti/in Vecchiaia/da sipuodiremorte

Voglio raccontarvi una storia, che parla al contempo di una donna e di un cimitero. Sabato pomeriggio Anna Tozzi Di Marco, un’antropologa romana conosciuta vari anni fa, si trovava a Torino, e si è offerta di farmi da guida per vedere la mostra delle fotografie relative al suo soggiorno nella Città dei morti del Cairo: luogo di sepoltura che, poco per volta, è divenuto una delle zone più popolose della capitale egiziana. Case e tombe, vivi e morti, convivono gomito a gomito.
Luogo della mostra (che è rimasta aperta dal 27 giugno a oggi, 4 giugno), sono i famosi Bagni Pubblici di via Aglié, a Torino, in occasione del mese di attività culturali dedicato all’Africa. I Bagni sono un luogo affascinante: hanno mantenuto la loro funzione originaria, divenendo inoltre un vivace centro culturale e interculturale.
Anna ha vissuto quasi dieci anni all’interno di Al Qarafa, la Città dei morti del Cairo, un’area di circa dodici kmq, divisa in diciassette quartieri, oggi luogo di vita e commercio da un lato, e di sepoltura dall’altro. Anna è rimasta dieci anni nel cimitero per cogliere dall’interno le dinamiche dell’inurbamento in quel luogo, ed esaminarle anche in rapporto ai rituali funebri e religiosi.
Le prime fotografie della mostra (documenti fortunosamente ricuperati da Anna) risalgono ai primi del Novecento, e mostrano uno spazio vuoto, con alcune sepolture qua e là. Da inizio Novecento ad oggi, l’area di Al Qarafa è completamente cambiata: si sono costruite le case, e oggi la densità di popolazione è molto alta, ma non per questo si è smesso di seppellire.
Anna ha già scritto un libro su quest’esperienza unica: Egitto inedito. Taccuini di viaggio nella necropoli musulmana del Cairo, acquistabile su un sito dedicato al Centro di ricerche e documentazione di tanatologia culturale, da lei fondato e diretto, eccellente per chi voglia approfondire il suo punto di vista antropologico, www.lacittadeimorti.com. Anna pratica infatti un’antropologia militante, come lei la definisce: “la prospettiva antropologica deve essere acquisizione di consapevolezza del contesto in cui si andrà a operare, e fornire gli strumenti per muoversi nel territorio interagendo con i locali. Deve gettare le basi di una cooperazione allo sviluppo sostenibile che veda coinvolti gli abitanti nei processi di decisione”.
Le foto, in parte scattate da lei, in parte da altri antropologi, giornalisti o fotografi professionisti, sono eccellenti testimonianze di questa prospettiva: l’obiettivo è restituire una rappresentazione dignitosa degli abitanti del cimitero cairota (più di un milione), valorizzandone la vita quotidiana, i mestieri (spesso legati alle sepolture), le espressioni religiose e culturali, e facendo piazza pulita delle immagini stereotipate, negative e esotizzanti. Gli scatti rappresentano interratori e scultori del marmo, venditori di verdura e di tappetini, interni di case, coloratissimi, e bambini che giocano, donne che cucinano, tombe situate nei cortili, becchini, visite alle tombe, facciate dipinte per testimoniare l’avvenuto pellegrinaggio alla Mecca, perfino una cerimonia in cui una donna entra in trans per placare gli spiriti.
La mostra sarà itinerante, continuerà a viaggiare in Italia, e magari potrà fare una seconda puntata torinese. E Anna Tozzi? Sta per ripartire, verso Cipro e la Turchia, per studiare la leggenda dei Sette Dormienti, pronta per nuove esperienze.
Se la storia di Al Qarafa vi ha interessati o incuriositi, guardate anche il documentario di Alessandro Molatore: http://vimeo.com/18992377, e su flickr, ricercate Al Qarafa. Vedrete splendide fotografie, tra le quali alcune sono di Anna.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/06/becchino-1-e1370334293286.jpg 311 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-06-04 10:28:542018-10-23 18:42:14Al Qarafa, Il Cairo: dove morti e vivi vivono gomito a gomito

La morte buddhista in Sri Lanka

13 Maggio 2013/10 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte


Cari amici, il silenzio delle ultime settimane è dovuto a un interessante viaggio che ho fatto in Sri Lanka, lussureggiante e affascinante isola a sud est dell’India, con una popolazione a maggioranza buddhista (di tradizione Theravada, la più antica, risalente all’insegnamento del Budda), e con meravigliosi siti archeologici e templi.

Siccome mi è parso che apprezziate le descrizioni dei modi di celebrare la morte diversi dai nostri, vi racconto quel poco che ho potuto vedere e capire in questo primo viaggio singalese, accompagnato dagli scatti che è stato possibile fare. Procedendo faticosamente con uno sgangherato pulmino per le strade dell’isola, scorgevo lungo il tragitto diversi gruppi di semplici tombe, a volte simili, a volte diverse l’una dall’altra. Ho scoperto che in Sri Lanka, nei villaggi, si seppellisce vicino alla propria casa, o in zone identificate come cimiteriali da piccole comunità, senza particolari vincoli. Solo nelle città di maggiori dimensioni ci sono veri e propri cimiteri. In genere, i gruppi religiosi separano le proprie aree da quelle appartenenti a altre confessioni, ma non è raro vedere accostate tombe di defunti di credo differenti.
I cristiani raggruppano le loro semplici croci intorno alle chiese, i buddhisti ornano di drappi bianchi i mucchi di terra fresca che ricopre il corpo dei loro morti. Non tutti i buddhisti, infatti, cremano. La cremazione è costosa e sovente il corpo morto è semplicemente inumato; altre volte, invece, sono le ceneri a essere sepolte e non disperse (nei fiumi, o nella foresta, o nel mare).

E il funerale? Sono riuscita a vederne due di sfuggita, affollati, entrambi buddhisti, che si svolgevano nella casa del defunto, addobbata con bianchi paramenti a lutto. Alcune letture sul buddhismo in Sri Lanka e qualche parola con la nostra guida (un cristiano sposato con una donna buddhista) mi hanno dato qualche elemento in più per comprendere quello che avevo visto. Quando qualcuno muore, la famiglia si reca nel tempio e informa i monaci, invitandoli al funerale. Il corpo resta in casa per un paio di giorni, perché parenti e compaesani possano far visita al defunto. Sri Lanka è un paese prevalentemente rurale, e ha mantenuto tradizioni comuni a molte culture, non ultima anche la nostra in epoca moderna. La famiglia è sostenuta dai vicini, che portano cibo, caffè e the non solo per i familiari, ma anche per i visitatori. Né il defunto né la famiglia vengono lasciati soli. La strada verso il crematorio o il luogo di sepoltura, percorsa a piedi con la bara in spalla, è decorata con foglie di palma da cocco. La cerimonia funebre si svolge prima, in casa.

Dopo la cremazione comincia il periodo del lutto, durante il quale i membri della famiglia indossano semplici abiti bianchi (il colore preposto al cordoglio), non guardano la televisione né ascoltano la radio.
Sette giorni dopo la morte, ci si riunisce nuovamente tutti nella casa del defunto, dove un monaco pronuncia un sermone sul tema buddhista dell’”impermanenza” (il flusso continuo e il cambiamento di tutte le cose) e della morte. Descrive che cosa accade dopo la morte e perché è importante prestare ascolto all’insegnamento del Buddha ed essere generosi in memoria del defunto. I buddhisti ritengono che morire con pensieri sereni crei un’energia positiva che accompagna il defunto nella reincarnazione successiva. Anche la liberalità della famiglia verso gli altri aiuta il defunto a non mancare del necessario nella sua vita futura.

Ciò che caratterizza l’approccio buddhista alla morte è inoltre la pratica della piena consapevolezza di cosa sia veramente la vita, cui ci si allena fin da bambini mediante l’educazione e la meditazione. Buddha ha insegnato la dottrina delle quattro nobili verità. La prima è la constatazione che l’esistenza umana è segnata da insoddisfazione, disagio, dolore: “Questa, monaci, è la nobile verità del dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non è caro è dolore, la separazione da ciò che è caro è dolore, non ottenere ciò che si desidera è dolore”. La seconda nobile verità individua la causa della sofferenza: l’attaccamento, il desiderio. La sofferenza è provocata dalla brama di godere degli oggetti dei sensi, dalla brama di esistere, o anche dalla brama di cessare di esistere. La terza nobile verità descrive la cura contro il dolore: l’estinzione di questa stessa brama, l’abbandono e il distacco dal desiderio e dall’attaccamento. La quarta verità illustra il sentiero impervio per raggiungere la cessazione della sofferenza: mantenere la giusta visione, la retta intenzione, la retta parola, l’azione giusta, perseguire i corretti mezzi di vita, adottare il retto sforzo, la giusta attenzione e la giusta concentrazione.
La morte, quindi, nella dottrina buddhista, è la più evidente prova dell’impermanenza delle cose e dell’uomo stesso: la migliore medicina contro il dolore che essa provoca è la piena consapevolezza della sua ineluttabilità. Non esiste, infatti, nel buddhismo, un principio personale che persista oltre il cambiamento incessante: nessuna sostanza, nessun io immutabile. L’io dell’uomo è soltanto un’identità convenzionale per attraversare l’esistenza, ma, di fatto, è totalmente mutevole. La saggezza consiste nel “lasciar andare” ciò che è sottoposto alla legge eterna del cambiamento.
Credete che possiamo trarre spunti, noi occidentali, da questa prospettiva? La consapevolezza del continuo mutare di tutti gli esseri possono aiutare, nel tempo del dolore, a non fuggire, e ad accogliere la morte con maggiore naturalezza?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/05/Sri-Lanka1_220.png 233 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-05-13 08:15:462013-05-13 08:15:46La morte buddhista in Sri Lanka

Quali cimiteri vorreste?

28 Gennaio 2013/22 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Tra le molte notizie che leggo per tenermi aggiornata sui temi di questo blog, ci sono quelle sui cimiteri. Nessuna è così rilevante da valere una riflessione isolata. Prese in sequenza, però, queste notizie, spesso locali, tracciano un quadro del nostro culto dei defunti che val la pena fotografare.
Se escludiamo le segnalazioni che riguardano i cimiteri monumentali, ormai considerati musei e tutelati, le altre notizie sono sconsolanti. Ladri di rame fanno continuamente incursione nei cimiteri del Paese, rubando coperture di tetti, vasi, basi di statuette della Madonna. Altrove i furfanti preferiscono il bronzo; in altri casi, come al cimitero di Ponte a Elsa (Firenze) si accontentano di sottrarre i fiori portati in omaggio ai defunti. Ma c’è anche chi, come al cimitero di Prima Porta a Roma nord, ha organizzato una banda di scippatori (arrestati).
Per il resto, degrado e carenza di manutenzione un po’ ovunque, parenti che si perdono tra i palazzi di loculi e non trovano i loro morti, opere edili abusive nel Cimitero degli Inglesi a Napoli. A Chioggia e ad Arsano (Napoli) i loculi sono finiti: se si vuole seppellire i propri cari bisogna cambiare cimitero, oppure optare per la cremazione.
La notizia più terribile? Una salma in attesa di cremazione sparita al crematorio di Bari. Furenti, i parenti tempestano di calci e pugni le porte (chiuse) degli uffici degli impiegati e del direttore, barricati all’interno. Alla fine la salma salta fuori, era a Torre del Mare, a Bari era finito lo spazio nelle celle frigorifere.
La più graziosa? Una donna sostiene di aver visto un uomo nudo in meditazione davanti ad alcune immaginette. Appena vede la donna, si riveste e fugge. Arriva la polizia, dell’uomo nessuna traccia.
L’affresco che emerge dalle notizie sui cimiteri è quello di un luogo pericoloso e ostile, abbandonato, selvaggio: si può fare ironia o scandalizzarsi. Certo, è arduo coltivare un culto dei defunti in luoghi del genere. Voi come immaginate il luogo del riposo delle vostre spoglie?
Io vorrei leggere di migliorie, di costruzione di sale del commiato, di spazi di condivisione del dolore, di spettacoli e poesia, di nuovi progetti architettonici, di dibattito, di idee, come sarebbe normale in un paese civile. Credo che occorra ridare identità, sicurezza e importanza ai cimiteri.
Che cosa proporreste?

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Cimiteri islamici in Italia?

7 Novembre 2012/8 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

In tutta Italia si sta discutendo se sia opportuno creare lotti dedicati agli islamici e ad altre religioni nei cimiteri comunali. Alcune città resistono alle richieste degli islamici, come Pordenone. Altre, in modo più attento e realistico, costruiscono risposte, come è accaduto due anni fa a Fossano in seguito alla morte sconvolgente di un bimbo di nove anni, e come succede oggi a Torino.
A Torino, infatti, la Giunta comunale ha approvato una delibera (presentata dal vicesindaco Tom Dealessandri e dall’assessore Ilda Curti) che consentirà alle comunità immigrate (il 17% della popolazione), di dare sepoltura ai loro cari in città, nel rispetto delle loro tradizioni religiose, istituendo spazi per ogni religione nel cimitero monumentale.
Cos’è in gioco in queste decisioni?
L’obiettivo dell’integrazione non è certo raggiungibile solo attraverso i cimiteri. Tuttavia, si tratta di un’importante dimostrazione di rispetto e di attenzione. La nostra Costituzione, peraltro, prevede la libertà di culto. Accogliere in un paese significa anche creare le condizioni perché chi arriva possa sentirsi – se non proprio a casa – quantomeno radicato e integrato.
Le discussioni sui cimiteri islamici sono un segno dell’era contemporanea, che obbliga ciascuno di noi, credente o non credente, a tener conto della complessità e della pluralità culturale. Parlo proprio anche ai laici come me. In fondo un laico potrebbe affermare che i cimiteri in Italia sono comunali, non religiosi, e che non si vede perché sia necessario costruire dei lotti islamici o dei cimiteri dedicati a loro (ma quante croci stanno dentro i nostri cimiteri comunali?). Ho sentito dire molti laici che per gli islamici sarebbe sufficiente orientare la bara verso la Mecca e mettere i simboli della religione musulmana. E che questo dovrebbe valere per tutti.
Nonostante questa sia una posizione che mi ha fatto riflettere, oggi sono convinta che chi è veramente laico deve saper ascoltare anche le differenti comunità religiose e comprendere le loro esigenze. Che sono diverse da quelle dei cattolici e dei laici autoctoni, a partire dalla durata della sepoltura. Vi sono comunità che hanno bisogno di ripiegarsi sulle proprie usanze rituali. E un laico dovrebbe, secondo me, non fermarsi a una tolleranza distaccata, ma aprirsi all’interesse e alla collaborazione. Lo stesso dovrebbe fare ogni religione, che ha diritto di desiderare la separatezza, fino a quando quest’ultima non diventa esclusione e integralismo. E questo sì, vale per tutti.
Fino a non molti anni fa, gli immigrati propendevano per il rimpatrio delle salme, nonostante il costo molto alto. Si trattava di una prima fase, caratterizzata dall’immigrazione di giovani, la cui famiglia restava nel paese d’origine. Il progetto di migrazione era partire, lavorare e tornare a casa. Oggi sono molti i ricongiungimenti familiari nel nostro paese, e i figli di chi muore sono spesso nati in Italia. Il rimpatrio, così, che era già un evento problematico e traumatico, diviene sempre più privo di significato. Alcuni studiosi, ad esempio gli algerini Yassine Chaïb e Atmane Aggoun hanno messo in luce, per la Francia, le difficoltà poste dai rimpatri. Difficoltà in primo luogo economiche, e poi rituali. Il lungo periodo richiesto dalla colletta per racimolare il denaro necessario per il rimpatrio impone l’uso della bara di zinco per il trasporto, bara che non è più apribile dalla famiglia che riceve la salma. La tradizione vorrebbe, invece, la sepoltura del corpo, avvolto nel solo sudario, nella nuda terra. Una deritualizzazione è di fatto imposta ai migranti, che non possono svolgere il rito tradizionale né in terra d’origine né in terra d’accoglienza. Tale situazione rende più rispondente alle necessità la soluzione di seppellire i propri cari in terra d’accoglienza, anche per via del succedersi delle generazioni d’immigrazione.
Credo che, oltre all’importante tema delle concessioni di aree islamiche presso i cimiteri, occorra garantire ai musulmani che vivono nel nostro Paese il rispetto del lavaggio rituale dei corpi in luoghi adeguati, meno freddi e tecnici delle sale settorie delle camere mortuarie, dove oggi avvengono. A tal fine, è necessaria anche un’adeguata formazione interculturale per gli operatori sanitari e funerari che spesso, di fronte al morente o al defunto di un’altra cultura, sono in difficoltà e non sanno che pesci pigliare, provocando a volte disagio e rabbia.
Per questo auspico che la municipalità di Torino, che ha ben cominciato l’opera, non si fermi e proceda anche all’identificazione di una sala del Commiato multiculturale in città, priva di simboli (o con simboli amovibili) che possa servire sia ai laici che a religioni diverse da quella cattolica.
Vorrei concludere citando e sottoscrivendo le parole di Daniele Rocchetti, vice presidente di Acli Bergamo e responsabile di Molte fedi sotto lo stesso cielo, che invita chi ha paura dello straniero (e chi questa paura la sfrutta politicamente) a “ragionarci sopra, e soprattutto ragionarci insieme: nel confronto serio delle posizioni, non solo con la ripetizione di slogan facili e popolari. Non è così che si costruisce una sana democrazia. Tanto meno una democrazia inclusiva. E ancor meno una città in cui è bello e piacevole vivere. Questo modo di porre i problemi complica la vita di tutti noi. E la rende meno sicura, non di più.”

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/11/cimitero-islamico-verona.750.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-11-07 18:17:382012-11-14 10:15:20Cimiteri islamici in Italia?

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