La giornata dell’Alzheimer e i media
Forse perché il 21 settembre è la giornata mondiale dedicata all’Alzheimer, nelle ultime settimane abbiamo assistito a un infittirsi, su quotidiani, testate online e agenzie, di notizie riguardanti questa e altre forme di demenza.
Ottimo, direte voi. Purtroppo (con alcune pregevoli eccezioni), non si può fare a meno di commentare la qualità, a essere generosi scadente, di queste notizie. Facciamo un breve itinerario attraverso titoli e sottotitoli, tanto per darvi l’idea, nel caso in cui non vi fossero capitati sotto gli occhi.
La Gazzetta dello Sport: “Fitness, l’Alzheimer si può prevenire con l’attività fisica”. Adnkronos: “La prevenzione dell’Alzheimer comincia a tavola, se si segue la dieta mediterranea” (di questo pare si sia parlato all’Expo di Milano). Online-News: “L’obesità over 50 accelera l’Alzheimer”, e qui val la pena leggere anche la prima frase dell’articolo: “Ogni punto in più dell’indice di massa corporea corrisponde ad un anticipo dell’insorgenza della demenza di circa 7 mesi” (la notizia si trova anche su Affari Italiani). Humanitas Salute: “Alzheimer, dal caffè un aiuto contro demenza e declino cognitivo?” L’articolo poi dice che una tazzina al giorno riduce il rischio di deterioramento cognitivo lieve, mentre chi ne beve troppo corre più pericoli. Chissà qual è il giusto mezzo?
La Stampa salute: “Le noci contro la malattia di Alzheimer” e, sempre sullo stesso giornale, ecco in sintesi i consigli per la prevenzione (dato che, come è noto, la cura ancora non c’è): 1. Esercizio fisico, 2. Seguire la dieta mediterranea, 3. Gestire altre condizioni di salute, in particolare il diabete, 4. Evitare di fumare, 5. Usare il cervello. Non mancano notizie sulla minore incidenza dell’Alzheimer nelle classi sociali superiori e più istruite (sarà, ma come dimenticare Ronald Reagan e la Margaret Thatcher?).
Ora, vi ricordate le raccomandazioni per prevenire il cancro? Se si esclude l’uso del cervello, sono esattamente le stesse. E’ senz’altro lodevole che si voglia indurre la popolazione ad adottare uno stile di vita sano, anche se il metodo risulta essere un maldestro tentativo di risparmiare sulla sanità, con poca attenzione al reale benessere degli individui. Non credo infatti sia lecito farlo spargendo il panico sulle malattie che fanno più paura: Il Sole 24ore ci parla di una diagnosi di demenza (nel mondo) ogni 3 secondi, di una vera e propria epidemia. Un caso ogni tre secondi su una popolazione mondiale di 7,36 miliardi, significa lo 0,00014% circa. Scritto così, inquieta certo molto meno: il modo in cui vengono date le notizie è senz’altro scandalistico.
Curioso, peraltro, che l’Italia non faccia per nulla eccezione nell’incidenza dell’Alzheimer. La dieta mediterranea non era decisiva per la prevenzione?
Tutte queste notizie fanno naturalmente riferimento a ricerche o a ipotesi di ricerche sfuggite agli studiosi, studi sovente non ben impostati, non sufficientemente sperimentati o confermati dalla comunità scientifica internazionale. Così gli articoli, invece di fare informazione, aumentano la confusione. Un esempio particolarmente opportuno? La recente ipotesi di una trasmissibilità della malattia, dovuta alla scoperta di depositi di proteina beta-amiloide (tipici dell’Alzheimer) in pazienti che avevano contratto la malattia in seguito a somministrazione di ormone della crescita tratto dalla ghiandola pituitaria di cadaveri.
Mentre scrivo di questa ipotesi, io, che non sono un ricercatore né un medico, fatico a capire bene. Mi è chiaro, però, che se ne sa ancora molto poco, e che c’è polemica intorno a questa presunta scoperta (peraltro si parla di otto casi su 30.000 esaminati).
Perché allora decine di giornali in tutto il mondo hanno titolato L’Alzheimer è contagioso? (contagioso è tutt’altra cosa che trasmissibile attraverso materiale contaminato), facendo crescere il panico in coloro che accudiscono un malato di demenza?
Sappiamo che le malattie che sono ancora poco chiare, come il cancro e l’Alzheimer, spaventano. Sappiamo anche che i cittadini sono spesso pronti ad accogliere notizie improbabili, pur di non restare nel dubbio. Proprio per questo è riprovevole che le testate giornalistiche, per creare la “notizia”, cerchino di colmare le lacune della scienza, producendo illusioni o terrori.
Inoltre, sfogliando i giornali in questi giorni, sorge un’ultima ma centrale domanda: perché così pochi articoli su chi si occupa di assistenza? Sulle difficoltà delle famiglie che hanno un malato tra i loro congiunti? Sui problemi della sanità pubblica e delle amministrazioni nel sostenere i malati e i loro caregiver? Sul fatto che esistono numerose situazioni in cui i malati di demenza vivono soli, costituendo un enorme pericolo non solo per sé, ma anche per i loro vicini?
Perché non si parla delle associazioni che compiono un importante lavoro di sostegno? Perché non si danno informazioni alle famiglie sui loro diritti e sulle opportunità di aiuto?
Facciamolo noi, insieme, cari amici.
Se avete avuto esperienze di aiuto efficace nell’assistere un malato di demenza, raccontatela, così come vi chiedo di narrare le vostre difficoltà.
Io mi impegno, in una serie di articoli che seguiranno questo, a dare indicazioni sulle risorse presenti sul territorio della provincia di Torino.