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Cosa ci dicono gli eufemismi che usiamo per parlare della morte? di Marina Sozzi

12 Giugno 2025/10 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Per molto tempo abbiamo detto (io stessa l’ho fatto, con una certa leggerezza) che l’uso di eufemismi fosse uno dei sintomi della perniciosa negazione della morte della nostra cultura. In altri articoli di questo blog ho già cercato di spiegare perché non condivido più la tesi della negazione della morte.
Ora, a proposito di eufemismi, se si approfondisce un po’ la questione, risulta chiaro che quasi tutte le culture, in modi loro propri, hanno considerato la morte un tabù, e hanno utilizzato eufemismi per parlarne.
Innanzitutto: cos’è un eufemismo? La Treccani ci dice che l’eufemismo “consiste nell’attenuare un’espressione che potrebbe risultare troppo cruda o sconveniente, sostituendo una parola o una locuzione con un’altra meno forte o addirittura contraria.” La morte è una realtà misteriosa e molto dura da accettare per gli esseri umani, e questa è la ragione per cui vengono usati eufemismi. Contrariamente a quello che abbiamo creduto negli scorsi decenni, usare eufemismi per parlare della morte non è certo appannaggio della nostra cultura. Se si studiano i necrologi del XIX secolo, emerge che in un’epoca in cui l’attenzione per la morte e il lutto era molto forte, si parlava comunque della morte per eufemismi: alcune esperienze sono troppo intime e rendono gli uomini troppo vulnerabili per essere menzionate senza una copertura linguistica. Uno studioso di eufemismi, Denis Jamet, li ha definiti come una sorta di “deodorante del linguaggio”.
Quello che è rilevante notare, tuttavia, non è solo che vengano usate espressioni eufemistiche, ma quali metafore siano usate, in ciascuna epoca, per parlare della morte e dei morti.
Ad esempio, in epoca vittoriana predominavano le metafore religiose, orientate a immaginare una vita ulteriore per i defunti: la morte è vista come un evento positivo, un riposo o un premio dopo una vita virtuosa (e sovente faticosa) sulla terra. A proposito della metafora del viaggio (partire, andarsene, tornare alla casa del Padre) è interessante notare che la persona morta è pensata come capace di intraprendere il viaggio. Quindi, negando la totale cessazione del movimento corporeo nella morte, questa metafora nega la stessa morte. Analogamente, nella metafora della morte come riposo, essendo il sonno temporaneo, la morte è vissuta come transitoria (talvolta in attesa della resurrezione dei morti), quindi negata (la persona è solo sprofondata nel sonno).
Se si analizzano i necrologi del nostro tempo, appare evidente che i nostri eufemismi utilizzino prevalentemente la metafora della sparizione.
Notevole è la frequenza, nei necrologi, di espressioni come “è mancato”, o “è mancato all’affetto dei suoi cari”, “è scomparso”, o “è prematuramente scomparso”. Altra metafora ricorrente, quella dell’abbandono: “ci ha lasciati”, “ha lasciato il mondo”. Meno sovente leggiamo ancora metafore del viaggio, come partire, tornare alla casa del Padre, terminare il proprio cammino terreno, prevalentemente utilizzati dalle persone credenti.
Mi pare interessante l’uso della metafora della sparizione per parlare della morte ai giorni nostri. Mi sembra che indichi l’effetto (la persona defunta non è più nel mondo) e non la causa, astenendosi dall’indicare un luogo dei morti al quale oggi molti nostri contemporanei hanno smesso di credere. E’ come una sospensione del giudizio. Mi sembra anche un modo per accogliere il mistero in tutta la sua portata. Dove sono i morti? Non lo sappiamo, forse da nessuna parte. Spariscono, appunto, dall’unica realtà che conosciamo. Non sono più qui, e ci mancano.
Che ne pensate? Quali metafore usate per parlare della morte? Vi siete mai interrogati sul significato di queste metafore?

Tags: eufemismi, Morte, necrologi, negazione della morte
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/06/eufemismi.jpg 265 353 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-06-12 10:01:532025-06-12 10:01:53Cosa ci dicono gli eufemismi che usiamo per parlare della morte? di Marina Sozzi
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10 commenti
  1. Davide Sisto
    Davide Sisto dice:
    12 Giugno 2025 in 10:37

    Cara Marina, come sai ho qualche dubbio a riguardo su due questioni, che pongo anche qui per aprire il dibattito. I verbi che indicano la sparizione generalmente presuppongono la possibilità di riapparire. “Scomparso” è il termine su cui si regge la trasmissione “Chi l’ha visto?”, proprio nella speranza che la persona ritorni. Dunque, temo che tanti utilizzino questo verbo perché non accettano l’idea che il morto non tornerà mai più. E questo apre l’altro appunto: non è che tutti questi eufemismi nascondono l’infantile, seppur comprensibile, incapacità di accettare che la persona amata non ci sarà mai più? A volte penso, da essere umano disincantato e terribilmente lucido, che sia meglio non credere che i morti sono andati in altri luoghi ma limitarsi all’idea che non ci sono e non ci saranno più. Idem per sé stessi: una volta morti, il mondo farà serenamente a meno della nostra prescindibile presenza, perché ci riteniamo tanto unici e speciali ma non lo siamo affatto. Scusa per lo spazio occupato e grazie per il contributo!

    Rispondi
    • sipuodiremorte
      sipuodiremorte dice:
      12 Giugno 2025 in 11:35

      Grazie mille Davide per aver ben espresso il fulcro del dibattito che probabilmente si svilupperà intorno a questo articolo. Che dire nel merito? In parte, sì, certo, hai ragione. É proprio la funzione degli eufemismi attenuare la crudezza della realtà. Infantile? Non più e non meno dell’idea del riposo o del viaggio. E tuttavia, mi pare, c’è in questa idea del morto che manca e scompare qualcosa di descrittivo, seppur metaforicamente, del vuoto che lasciano.

      Rispondi
  2. Sergio Manna
    Sergio Manna dice:
    12 Giugno 2025 in 11:24

    Cara Marina, sono sempre interessanti le tue osservazioni. A me hanno sempre dato un po’ fastidio termini come “è mancato”, quasi fosse una colpa morire. Da pastore valdese trovo sempre bello quando nei manifesti funebri i familiari della persona defunta decidono di pubblicare un versetto biblico, soprattutto quando si tratta di un testo che era importante per la persona e che diventa anche il testo della predicazione per il suo funerale. Non trovo affatto che l’uso di una certa terminologia sia sempre un modo di negare la realtà della morte. Si può (e si deve) accettare pienamente l’assoluta concretezza della morte e ciononostante si può credere in una vita oltre la morte o nella risurrezione. Le diue cose non sono necessariamente in contraddizione. Questo non è affatto negare la realtà della morte e non credo sia necessariamente un indice di infantilismo. Una fede autentica non è fuga dal mondo e negazione della realtà della finitudine, ma spinta a vivere pienamene questa vita proprio nella consapevolezza che siamo a tempo (we are timed!, come diceva il teologo protestante Paul Tillich). Lutero, non a caso, diceva: “Se il mondo finisse domani io oianterei ancora oggi il mio alberello di mele”. E poi trovo anche interessante il fatto che la Bibbia spesso non usi troppi eufemismi e parli apertamente della morte. Uno dei testi più amati nei nostri necrologi è: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Salmo 23,4). Per chi ha fede non si tratta di un eufemismo. E’ un sentirsi accompagnati anche nella assoluta realtà della morte, cui nessuno può sfuggire. Un grande abbraccio! Sergio

    Rispondi
    • sipuodiremorte
      sipuodiremorte dice:
      12 Giugno 2025 in 11:39

      Caro Sergio, non intervengo nel merito della Bibbia, perché la mia ignoranza è abissale, e neppure a proposito della fede, che come sai io non ho la fortuna di avere. Ciò su cui non sono più molto d’accordo è questa frase: “Si può (e si deve) accettare pienamente l’assoluta concretezza della morte”. Io credo che forse, in alcuni rari casi, si possa (ma che sia un compito che trascende le capacità della maggior parte degli esseri umani). Grazie mille per il tuo commento e un abbraccio affettuoso.

      Rispondi
  3. Fabrizio Dalla Villa
    Fabrizio Dalla Villa dice:
    12 Giugno 2025 in 12:03

    Buongiorno, relativamente ai verbi che indicano movimento al momento della morte del corpo fisico, io credo che attore del viaggio ultraterreno non è il corpo che, essendo fatto di chimica e fisica si decompone, si trasforma in altro. Secondo me a compiere il viaggio successivo alla morte del corpo fisico è l’Anima (forse anche lo Spirito e la mente). Tra le frasi che si trovano sui necrologi, ultimamente sta prendendo piede “è morto/a cristianamente” ma non ho ancora capito in che senso.

    Rispondi
    • sipuodiremorte
      sipuodiremorte dice:
      12 Giugno 2025 in 12:07

      Grazie Fabrizio. Certamente, ciò che si muove è l’anima. Tuttavia, poiché nulla sappiamo di ciò che accade dopo la morte, si tratta pur sempre di riaffermare il movimento di fronte all’immobilità. Non crede?

      Rispondi
  4. Giovanni Sanvitale
    Giovanni Sanvitale dice:
    12 Giugno 2025 in 13:12

    Cara Marina, credo che persistano ancora varie modalità di rimozione della morte, ma, nel linguaggio pubblico dei media “è scomparso”, “è mancato”, “addio a…” penso che sia solo un modo in “ingentilire” un fatto che tutti comprendono. Faccio un’analogia col termine “cancro”: una volta si sussurrava “il brutto male”; ora, più sovente si parla di “tumore” (specie quelli che ci sono passati, più schiettamente usano la parola cancro): ma tutti capiscono. Gentili metafore, come le definisci tu.
    Vedo piuttosto che il tema che hai posto tende a trasformarsi nello stucchevole dibattito fra chi ha una fede e chi no. Mi definisco un “agnostico pessimista”: pur rispettando tutte le fedi, la mia razionalità mi porta a credere che la nostra vita finisca qui e amen. Ho simpatie per il buddhismo (una religione che sa fare a meno di un Dio incomprensibile: chapeau!), ma, anche se credessi nella reincarnazione, inconsapevole mi reincarnerei, del tutto dimentico della vita “prima” – e quindi senza più un’identità – , in un altro essere del tutto diverso.
    Un saluto affettuoso.

    Rispondi
    • sipuodiremorte
      sipuodiremorte dice:
      12 Giugno 2025 in 14:07

      Ciao Giovanni. Grazie, come sempre. Io non credo che questo dibattito riguardi il tema religiosità/irreligiosità, quanto, piuttosto, l’idea che ci facciamo della nostra cultura. Io mi sono stancata di vederla sempre con la lente dell’invettiva, non credo che questa lente renda conto del nostro atteggiamento nei confronti della morte. In primo luogo perché proprio la nostra cultura, unica nella storia dell’umanità, ha prodotto le cure palliative, ovvero la capacità di elidere la sofferenza legata alla morte.

      Rispondi
  5. Roberto Tadei
    Roberto Tadei dice:
    13 Giugno 2025 in 15:43

    Ringrazio molto Marina Sozzi per avere avviato questo interessante dibattito.
    Concordo con lei che la negazione della morte caratterizza, sebbene in modo diverso, tutte le culture, le quali rispondono a tale negazione costruendo scenari a volte religiosi e a volte laici.
    Capisco l’utilità che, in questo contesto, possono avere gli eufemismi relativi alla morte. Personalmente, cerco però di non usarli. Trovo, infatti, che parlare esplicitamente di morte possa contribuire a trasformare la paura della morte stessa in un’emozione amica e quindi a gestire più serenamente la nostra finitudine.
    Mi piace, comunque, pensare che resti qualcosa di noi dopo la morte, gli affetti, le relazioni, i ricordi, le influenze (una sorta di nostra continuazione negli altri), e trovo che nessuno degli eufemismi oggi più utilizzati salvaguardino effettivamente questo aspetto.
    Un caro saluto a Marina e a tutti i partecipanti al dibattito.

    Rispondi
    • sipuodiremorte
      sipuodiremorte dice:
      16 Giugno 2025 in 10:09

      Caro Roberto, grazie mille per il tuo commento, che sposta un pochino il focus del dibattito su un piano più personale. Come preferiamo parlare della morte? Cosa ci fa meglio o meno male? E qui entriamo in un ambito soggettivo, non meno importante! Un abbraccio affettuoso a te!

      Rispondi

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