Necrologi e eufemismi
Cari amici, giunti quasi alle vacanze estive, vorrei dirvi arrivederci introducendo un argomento lieve, e anche un gioco. Lo faccio attraverso lo scritto di un giovane drammaturgo, Marco Pozzi. Il dialogo, ironico eppure struggente, s’intitola Trapasso fai da te, e fa parte di un libro intitolato Tre dialoghi (potete acquistarlo a questi link: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=967801
http://www.lafeltrinelli.it/products/9788891046611/Tre_dialoghi/Pozzi_Marco.html
Dunque, leggiamo in anteprima:
MEDICO Quello che voglio farle capire è che sono finiti i tempi in cui si moriva a casa senza assistenza medica, con famigliari senza conoscenze sanitarie.
PAZIENTE I miei genitori morirono così. Non era così brutto morire a casa propria, sarà d’accordo spero.
MEDICO Ma ora lei ha la fortuna di poter stare in un ospedale ben attrezzato, con medici e infermieri competenti. Pensi all’Africa.
PAZIENTE È una terapia psicologica?
MEDICO Pensi a quanti africani darebbero chissà cosa per essere al suo posto.
PAZIENTE Per essere in punto di morte?
MEDICO Ma no, per essere curati com’è curata lei.
PAZIENTE Un novantenne è un novantenne ovunque, in Africa come in Italia.
MEDICO (breve pausa) Che poi, morire: perché mai deve chiamarlo così? Al massimo si diparte, si scompare, ci si spegne, si manca all’affetto dei propri cari, si va in un posto migliore.
PAZIENTE Diparto…? Manco all’affetto…?
MEDICO …all’affetto dei suoi cari, certo.
PAZIENTE Ma io sono sola, neanche uno dei miei figli è venuto.
MEDICO Non facciamo sottigliezze.
PAZIENTE Le sembra una sottigliezza morire da soli?
MEDICO Insomma, è un modo di dire.
PAZIENTE Ma esiste già una parola per dire questo e questa parola è morire.
MEDICO Non la pronunci, porta male.
PAZIENTE Porta male?
MEDICO Sì, deprime.
PAZIENTE Deprime?
MEDICO Non fa bene.
PAZIENTE Non fa bene?
MEDICO Insomma, sono io il medico, mi ascolti per favore.
PAZIENTE La ascolto.
MEDICO Bene, cosa le stavo dicendo?
PAZIENTE Che proprio lei, uomo di scienza, non vuol guardare in faccia i fatti.
MEDICO Quali fatti?
PAZIENTE Che sto per morire. Questa si chiama morte! Guardi le mia labbra: m-o-r-t-e.
MEDICO La smetta! Non pronunci quella parola. Ora la curo.
La riflessione che il dialogo suggerisce (ma non è certo l’unica) riguarda il modo che noi abbiamo di parlare della morte, o meglio di non parlarne.
Avete mai pensato quanta attenzione si faccia a non pronunciare la parola “morte”? Basta dare un’occhiata ai necrologi, cosa che certo anche Marco Pozzi ha fatto: che circonvoluzioni! Il defunto è tornato alla casa del Padre (ossia, secondo la speranza cristiana, è andato in Paradiso); oppure, è prematuramente scomparso (detto molto più laico, che vede la morte non come passaggio ma come semplice sottrazione al mondo dei vivi): sono solo modi di dire? Eppure, c’è tutto il nostro terrore in queste parole allusive, in questi eufemismi che prendono il posto della cruda fattualità della morte.
Nella cultura cinese, la morte è tabù, ed è vietato nominarla, non solo nelle situazioni che hanno a che fare con la fine della vita, ma anche nella vita quotidiana: non si potrebbe mai dire “ho una fame da morire” senza venire rimproverati. La morte porta sfortuna.
E noi? Noi che sorridiamo delle “superstizioni”, che viviamo pieni di fede nella scienza e nella medicina? Noi secolarizzati?
Nonostante i danni causati dall’atteggiamento tecnicista della medicina durante i decenni trascorsi, nonostante la solitudine che provoca a noi e agli altri la fuga dalla mortalità, ancora non vogliamo saperne di affrontare la morte. Non vogliamo nominarla, non vogliamo guardarla in faccia, non vogliamo invecchiare, non vogliamo dire ai nostri cari che stanno morendo (dottore, per carità, lui non sa niente!). Se dobbiamo dunque imparare a parlare della morte, facciamolo per una volta con un sorriso. Vi propongo un gioco, anzi due:
1) raccogliamo tutti gli eufemismi che vi vengono in mente per dire “è morto”, o “sta morendo”? Valgono tutti i dialetti, purché con il significato a lato.
2) andiamo a scoprire i necrologi più strani che vi è capitato di leggere.