Ho il cancro ma non è colpa mia
David Jay, The Scar Project
Nella torrida estate che stiamo attraversando, sempre sperando in un alito di brezza, io nel mio eremo campagnolo leggo e rifletto sul cancro.
Leggo di tutti i fattori che aumentano il rischio di ammalarsi, specie se si sommano l’uno all’altro: la dieta errata, il fumo, il consumo eccessivo di alcol, la sedentarietà, l’obesità.
Se questi fattori costituiscono l’eziologia del cancro, io proprio non ci rientro: mangio vegetariano da anni, niente junk food, niente patatine e cocacola, la mamma non mi lasciava neanche da piccola, non fumo dal 1991, da quando aspettavo mia figlia, bevo al massimo uno/due bicchieri di vino rosso a cena, faccio ginnastica e yoga da quando ho 18 anni, cammino parecchio, peso meno di 47 kg, indice di massa corporea 18.
Curiosamente, l’Italia ha una frequenza di neoplasie, sia per gli uomini sia per le donne, simile o più elevata rispetto ai Paesi Nord-europei e agli Stati Uniti. Eppure a junk food e obesità stiamo senz’altro meglio noi… non dev’essere tutto qui.
Leggo anche opere di psicosomatica, che mi spiegano che forse ho una personalità che predispone al cancro, di tipo C, repressa, incapace di esprimere le emozioni e in particolare la rabbia. Mi ci riconosco perfino un po’, poi rifletto sul fatto che l’esperienza del cancro è attraversata in Italia, nel corso della vita, da un uomo su due e da una donna su tre (fonte: www.airc.it). Possono avere tutti la stessa personalità? No, naturalmente, sarebbe come credere nell’oroscopo…come se tutti quelli nati nel segno della Vergine, tra agosto e settembre, fossero pedanti e ordinatissimi.
E dunque? Cosa si sa esattamente delle cause del cancro? Il sito dell’AIRC descrive con la massima chiarezza lo stato dell’arte.
Si parla di multifattorialità: “Il cancro ha molte cause, che in ogni persona concorrono tra loro (…) a determinare il rischio individuale di ammalarsi.” Correttamente, tra le concause elencate, troviamo il fattore ambientale: inquinamento, agenti fisici e chimici, agenti infettivi.
Tuttavia, in conclusione, l’AIRC si sofferma in particolare sulle cause modificabili dall’individuo: “quasi un terzo delle morti per cancro si potrebbero evitare solo abolendo l’uso di tutti i prodotti a base di tabacco, e con una dieta sana, accompagnata da una regolare attività fisica”.
Ragioniamo un po’ su queste affermazioni: quasi un terzo delle morti per cancro dipendono da errori dei malati nello stile di vita. Bene. E gli altri due terzi abbondanti? Dipendono dalla familiarità genetica? Non sembra proprio. Ad esempio, solo il 5% – 10%, dei tumori al seno dipende dai geni ereditati.
Forse val la pena, allora, soffermarci su questi fattori ambientali dei quali si parla così poco (e che così poco sono studiati). La ricerca sul cancro oggi lavora soprattutto sul meccanismo genetico che determina l’insorgere della malattia. Di prevenzione, invece, si parla solo quando, appunto, si tratta di comportamenti evitabili dagli individui. Hai il cancro? Colpa tua. Questo atteggiamento si chiama negli Stati Uniti “blame the victim”, colpevolizzare la vittima. Da noi si direbbe: cornuto e mazziato!
Invece, prevenzione sarebbe anche eliminare quelle sostanze chimiche di cui si conosce l’azione cancerogena: non solo l’amianto e il radon, ma i pesticidi, gli idrocarburi: sono più di cento le sostanze accertate come cancerogene identificate dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC, http://www.iarc.fr/index.php ), e altre centinaia sono sospettate di esserlo. Questa prevenzione, detta anche prevenzione primaria, richiederebbe seri investimenti nello studio delle sostanze cancerogene (mentre solo l’1% della ricerca è dedicata a questo aspetto del problema cancro).
E’ ingenuo pensare, ad esempio, che solo i lavoratori che sono esposti a pesticidi (perché li impiegano) siano a rischio, mentre coloro che si nutrono di cibi che sono venuti a contatto con pesticidi non lo siano. L’accumulo, dicono gli esperti, è decisivo. Così, il cosiddetto cancro “occupazionale” diventa prima o poi “ambientale”, e riguarda tutti.
Occorrerebbe potenziare anche la ricerca su prodotti alternativi, meno tossici per l’uomo, in tutti gli ambiti. Si pensi al motore a scoppio (ottocentesco) e al suo potere inquinante. Perché la ricerca per sostituire efficacemente lo spostamento mediante “automobile con motore a scoppio” con un altro metodo procede con passo da formica?
Non è certo rivoluzionario, ma semplicemente realistico, constatare che il sistema capitalistico che abbiamo creato non prevede che gli interessi e i profitti delle multinazionali (con potere sovrastatale) siano messi in forse. Laura Corradi, nel suo bel libro Nuove Amazzoni, cita il caso di una multinazionale a polo statunitense che produce al contempo solventi cancerogeni per la pittura delle auto, e Tamoxifene, un farmaco antitumorale per il cancro al seno. Paradossale, no? E va aggiunto che sono spesso le aziende farmaceutiche che finanziano la ricerca sul cancro.
Essere consapevoli di questi fatti ci permette di essere più attenti, e anche più critici ed agguerriti: forse è ora di cominciare a uscire dall’inerzia, e a considerare il cancro non solo come tragedia privata, ma come problema sociale e politico complesso.
Che cosa ne pensate?
….forse non trovo il senso di accanirsi a cercare un colpevole o una colpa per forza e spesso mi viene da pensare che sia semplicemente la fine di un percorso segnato dal destino, indipendente da fattori “terreni”. Da quando mia mamma mancò di tumore, con nessun tipo di comportamento favorevole al produrlo, confesso che mi limito ad abbandonarmi ad un fatalismo ed un cinismo fin troppo facile, ma che ringrazio perché mi consente di vivere “leggero”. In quanto al considerare la “malattia” come un problema sociale e politico da affrontare, sono convinto che i “poteri forti” non abbiano nessuna intenzione di risolvere o tentare di ridurre una delle maggiori cause di mortalità dei nostri tempi, nei quali la popolazione mondiale cresce in maniera irrefrenabile e in potenza mancherà benessere per tutti. Le grandi guerre e le grandi epidemie scarseggiano, contenere i decessi per malattia significherebbe stare bene in troppi. M
Pur non avendo approfondito i dati, e quindi basando il mio pensiero solo sull’osservazione (non scientifica) della realtà, ero arrivata anch’io alle stesse conclusioni, Marina. C’è un grande movimento a favore di uno stile di vita sano, mentalmente e fisicamente. Ultimamente leggo di approcci alla disintossicazione che non è mai solo fisica ma anche mentale, della necessità dell’accettazione del proprio vissuto e sul perdono, del “lasciare andare” come approccio alla vita sana.
Sono d’accordo, naturalmente. Probabilmente siamo un po’ tutti intossicati, forse arrabbiati.
Però poi qualcosa non mi torna . E faccio una piccola digressione personale. Perché le mie piccole malattie – l’asma, le allergie – peggiorano, e quello su cui sto lavorando (come volontaria con una organizzazione di pazienti) è l’approccio sociale e politico al tema. La qualità dell’aria non è un problema degli asmatici, è un problema sociale, perché il numero di pazienti aumenta e le misure prese a livello complessivo spesso sono insufficienti.
L’approccio che colpevolizza le vittime lo trovo sconcertante, francamente, anche se – purtroppo – ne comprendo le (assurde) ragioni.
Il lavoro di advocacy, il mettere da parte l’inerzia, come scrivi tu, significa far salire di qualità il livello della discussione, generare informazione e rendere possibile il cambiamento, seppur piccolo/tardivo/accettato a malincuore da chi non lo vorrebbe. In diverse realtà – e parlo sempre di “malattie” che conosco dal punto di vista personale – ha funzionato, e io credo che bisognerebbe parlarne, di questo approccio politico alla malattia.
Non riesco ad approfondire di più, tu sai che ho vissuto con la morte addosso per almeno 16 anni, questo mi ha tolto la voglia di vivere. Mi sento terribilmente in colpa ad avere questi pensieri…soprattutto nei confronti di coloro che lottano per vivere!!! L’unica cosa che sento di dirti è ….che ….dal giorno in cui ti ho telefonato….sei nei miei pensieri quotidianamente e cerco di trasmetterti tutta la positività che mi resta!!!!! Un caro forte abbraccio Anna
Cara Simona, grazie per il tuo commento, hai perfettamente compreso il nucleo di ciò che ho voluto dire, e che, certo, non vale solo per il cancro. Un abbraccio.
vi consiglio di leggere il libro “mille fili mi legano qui , vivere la malattia” di silvia bonino , edizioni laterza 2006
come al solito mi trovo d’accordo su quello che leggo in questo blog! Io sono portata ad interpretare i fenomeni sempre sotto la luce politica e sociale. Grazie dell’indicazione del libro! Paola
Grazie, Paola.
qui non è questione di colpa, ci sarà sempre il tizio che fuma due pacchetti al giorno e campa novant’anni senza che gli venga il tumore al polmone e il vegetariano non fumatore che fa jogging e si ammala di cancro o gli viene un infarto, in realtà il rischio zero non c’è per nessuno..questo non vuol dire negare i fattori di rischio per la salute: obesità, fumo, alcool, junk food sono alcuni fattori di rischio per la salute, espongono a rischi maggiori come conferma finora la medicina occidentale (l’unica di cui mi fido) certo non sono gli unici..c’è anche l’inquinamento atmosferico.
Forse il motivo per cui si dovrebbe smettere di fumare, fare movimento ecc..è perchè fa genericamente bene e non perchè così sono sicuro che non mi verrà mai il tal malanno, perchè la sicurezza al 100% non esiste
ciao Marina
è vero sarebbe ora di uscire dall’inerzia. La consapevolezza che la malattia in generale (non solo il cancro) è anche un problema sociale e politico complesso non è molto diffusa nemmeno tra gli addetti ai lavori. Storicamente la medicina o meglio i medici hanno preferito trascurare gli aspetti sociali e politici della malattia, troppo faticoso farsene carico. Anche per una malattia come la tubercolosi per esempio, su cui si è scritto molto e di cui si conosce bene l’agente eziologico, ebbene anche sulla diffusione della tubercolosi gli aspetto sociali e politici hanno avuto un peso enorme. Tant’è che le morti per tubercolosi hanno cominciato a diminuire (esistono dati statistici) molto prima che entrassero in uso gli antibiotici, cioè quando sono gradualmente migliorate le condizioni di vita (salubrità delle case, dei luoghi di lavoro, alimentazione più ricca, ecc.). Gianfanco Domenighetti, un dirigente sanitario del Canton Ticino, sostiene che incidono sulla salute delle persone molto di più le politiche del Ministero del Lavoro, dell’Economia, dell’Industria, dell’Ambiente ecc. che non le politiche del ministero della Sanità (o della Salute!!! come lo chiamano ora). I medici di questi aspetti se ne sono sempre scarsamente interessati (naturalmente vi sono delle eccezioni); qualcuno è arrivato anche a teorizzare che non è un compito della medicina interessarsi degli aspetti sociali e politici della malattia. Bisogna arrivare alla seconda metà dell’Ottocento perché cominci a farsi strada la sensibilità verso i fattori “non biologici” della malattia. Molto spesso si tratta di medici socialisti. Più recentemente mi vengono in mente due nomi importanti Giulio Maccacaro che negli anni settanta dirigeva una collana “medicina e potere” e Alessandro Liberati, medico, morto recentemente per una neoplasia. Alessandro Liberati si è occupato molto di ricerca in campo medico e tanto ha scritto sulla necessità di orientare la ricerca tenendo conto anche del contributo dei pazienti, di cosa pensano i pazienti che possa essere utile per loro. L’essere consapevoli di quanto tu argomenti è molto importante, bisognerebbe trovare il modo di fare, come si suol dire, rete, costruire alleanze per cambiare la realtà, non dimenticando,come dice Paolo, che la sicurezza al 100% di non avere il cancro non ce l’avrò mai.