Il cimitero, luogo di vita, di Davide Sisto
Lo scorso ottobre, a Trieste, ho avuto modo di assistere al documentario intitolato “Il Girotondo” della regista Alice Palchetti. Il documentario, ambientato in uno dei cimiteri di Berlino, ha lo scopo di evidenziare il limite e il confine tra la vita e la morte attraverso la descrizione delle molteplici attività che, in Germania, si svolgono quotidianamente all’interno delle strutture cimiteriali. In mezzo alle tombe viene ripreso, infatti, un numero significativo di bambini intenti a giocare e a rincorrersi come se fossero all’interno di un qualsiasi parco cittadino, mentre gli adulti svolgono le più disparate attività ludiche: concerti, conferenze, spettacoli teatrali, ecc. Queste attività si integrano armonicamente con le processioni funebri, segnate dal dolore per la perdita. I primi piani sulle persone in lutto si alternano a quelli su chi sta, per esempio, recitando. La regista, una volta presentato il suo documentario, non ha nascosto il suo iniziale spaesamento: abituata alle convenzioni italiane, è rimasta dapprincipio perplessa a ricevere inviti da parte degli amici tedeschi per incontrarsi dentro il cimitero quale luogo di ritrovo in vista delle successive attività ludiche. La normalità con cui gli abitanti di Berlino sostano nei cimiteri – anche per leggere, per fare jogging, per fare pausa pranzo, ecc. – l’ha spinta tuttavia a ragionare sul senso del limite e del confine in maniera differente rispetto alle sue abitudini consolidate. Il girotondo, pertanto, rappresenta la metafora dell’ininterrotto passaggio da sopra a sotto la terra e viceversa che caratterizza la casa dei morti, mettendoli costantemente in contatto con i vivi. In altre parole, indica quel confine che unisce e separa, rendendo di fatto il cimitero una specie di dogana tra due differenti mondi. Le immagini dei bambini che corrono tra le tombe servono proprio per sottolineare la circolarità tra l’inizio e la fine. Guardando il documentario, mi è venuta subito in mente una famosa affermazione di Luigi Lombardi Satriani, appuntata nel bellissimo libro “Il ponte di San Giacomo”: “I morti sono i segni sotterranei della vita”. Questa frase nella sua semplicità, se applicata alla natura del cimitero, non solo conferma le buone intenzioni del documentario di Alice Palchetti, ma indirettamente spiega l’errore principale che commettiamo di solito in Italia. In Germania emergono soprattutto i limiti e i confini che, dentro al cimitero ubicato nel cuore delle città, uniscono e separano i vivi e i morti, l’inizio e la fine. Nel nostro paese invece ci si sofferma maggiormente sulle alte mura che, cintando strutture cimiteriali spesso collocate ai margini delle metropoli, determinano la rigida separazione tra chi è fuori e chi è dentro. In tal modo, eliminano la comunicazione tra l’inizio e la fine. Il nostro atavico timore nei confronti dei cimiteri, percepiti come luoghi tristi e lugubri, ci spinge ad allontanarli il più possibile dalla vita di tutti i giorni, rendendoli una tappa obbligata per il solo e canonico giorno dei morti. Ed è veramente un peccato. Lo dico da appassionato di cimiteri. Quando mi reco al loro interno, la prima sensazione che provo è quella di essere dentro una realtà estremamente ricca di vitalità. Ogni cimitero ha, innanzitutto, una sua flora e una sua fauna specifiche, le quali prosperano tra i loculi e i cimeli delle persone decedute. Il silenzio predominante accompagna, quindi, il susseguirsi di informazioni e memorie su chi ha vissuto prima di noi, facendo percepire in maniera simbolica la loro presenza fantasmatica. È ovvio che se associamo al cimitero soltanto il momento del rito funebre, dunque un evento terribilmente doloroso, non può che scaturirne una normale repulsione. Se, invece, impariamo a popolarlo a prescindere dai riti funebri, svolgendo al suo interno le attività che caratterizzano la nostra quotidianità, riusciamo forse a cogliere meglio il legame tra il presente e il passato, dunque la dialettica tra la presenza e l’assenza che tratteggia la natura del defunto. In tal modo, possiamo disporre di uno strumento prezioso in più per superare la rimozione sociale e culturale della morte e per maturare un atteggiamento meno traumatizzato nei confronti di quel tratto mortale che ci definisce. Proprio per tale ragione, sono convinto che le scuole dovrebbero portare i bambini nei cimiteri, per abituarli a una relazione meno traumatica tra l’aldiquà e l’aldilà. Nel consigliare il documentario di Alice Palchetti, vi chiedo qual è il vostro rapporto con i cimiteri, se li frequentate o se li evitate. Attendiamo con curiosità le vostre risposte.
ps.le persone interessate a vedere il documentario possono contattare Alice tramite email: alicepalchetti@gmail.com