I riti degli altri. L’islam, di Marina Sozzi
In un contesto politico come l’attuale, dove si è estremizzato il problema dell’immigrazione ben oltre la sua reale portata per il paese, apparirà controcorrente parlare di riti funebri degli immigrati. Eppure, questo è un aspetto dell’integrazione auspicabile, che non ha perso valore perché se ne parla meno di anni fa.
Molti hanno letto il bellissimo libro Naufraghi senza volto, di Cristina Cattaneo, medico legale impegnata a dare un nome, un’identità e se possibile un rito ai cadaveri ritrovati nel Mediterraneo. Ma non tutti muoiono in mare, per fortuna, e il nostro paese ha un’immigrazione composita, sia dal punto di vista della provenienza geografica, sia da quello delle molteplici “fattispecie”: immigrati regolari residenti, richiedenti asilo, e clandestini. In totale, comprendendo anche gli immigrati comunitari, si giunge a un numero approssimativo di 6 milioni di persone, il 10% della popolazione.
Anni fa il tema della morte degli immigrati era meno attuale, essendo l’immigrazione costituita da giovani venuti in Italia per lavorare, e che spesso avevano il sogno del ritorno in patria. Ma poco per volta le cose stanno cambiando, anche per via dei ricongiungimenti familiari che hanno mutato il progetto migratorio e visto giungere nel nostro paese anche degli anziani. E, purtroppo, muoiono anche i giovani.
Le strutture sanitarie e gli hospice, infatti, si interrogano sovente sui costumi che varie culture rappresentate nel nostro paese hanno intorno al tema della morte e dei rituali, perché temono di non essere all’altezza di accompagnare persone di altre culture o religioni. Per questo vorrei riprendere su questo sito una ricerca che condotta anni fa, nel 2010, da Alessandro Gusman in collaborazione con altri antropologi, che ha dato vita al volume Gli Altri Addii, e che certo avrebbe bisogno, oggi, di essere ripetuta e ampliata. Tuttavia, alcune indicazioni di carattere generale sono probabilmente ancora valide.
Cominciamo dal rito islamico, senza mai dimenticare che, come ci sono tanti cattolicesimi quanti sono i cattolici nel mondo, lo stesso vale per la religione musulmana. Non solo le forme di religione musulmana variano con il paese di origine, la corrente religiosa (sunniti o sciiti), ma anche (questo non va mai dimenticato) le esperienze degli individui, la loro storia di migrazione, la loro personalità.
Per quanto riguarda i riti funebri, in particolare, solo poche prescrizioni essenziali giungono dal Corano. La maggior parte si ritrovano nella Sunna, raccolta di insegnamenti etici e giuridici per la comunità musulmana, originariamente orali. E per il resto, conta la tradizione popolare, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti sociali del rito e il periodo del lutto. Questa è la ragione per cui si trovano nel mondo musulmano forme molto diverse tra loro di svolgimento del rito funebre, ispirate a una differente religiosità popolare a seconda della zona di provenienza.
L’essenziale, però, è semplice e asciutto. E’ importante che intorno al morente siano presenti parenti e amici, per fagli coraggio ed essere testimoni della sua ultima professione di fede.
Quando una persona di religione islamica muore, deve essere sepolta entro ventiquattro ore. L’elemento irrinunciabile del processo funebre è però il lavaggio rituale della salma, che ha il significato di una purificazione, e i cui gesti sono codificati nella Sunna. Il lavaggio deve essere fatto da familiari o amici del defunto, dello stesso sesso (tranne nel caso del coniuge), partendo dalle estremità superiori del corpo e procedendo verso quelle inferiori. La testa deve essere un po’ sollevata, così che l’acqua scorra dall’alto verso il basso. Alla fine del lavaggio, il corpo morto è avvolto da un numero dispari di teli bianchi, tre per gli uomini e cinque per le donne. L’integrità del corpo è molto importante.
Prima della sepoltura occorre anche recitare delle orazioni, in una moschea o in un altro luogo di preghiera. Alla glorificazione di Allah, alla benedizione del suo profeta, seguono le invocazioni in favore del defunto. Non è indispensabile che sia presente un imam, la preghiera può essere guidata da un familiare.
Poi ci si reca al luogo dell’inumazione, trasportando il morto su una lettiga. Il corpo deve essere calato nella fossa tradizionalmente senza bara, su un fianco, con la testa orientata verso la Mecca. La tomba è di estrema semplicità, senza foto né fiori, delimitata solo da pietre, mentre ogni altro tipo di sepoltura, la cremazione ma anche la tumulazione, sono vietate. I musulmani dovrebbero essere sepolti tra altri musulmani, il che richiede, nel paese di accoglienza, la disponibilità dei Comuni a riservare agli islamici aree specifiche del cimitero.
A questo essenziale processo funebre si aggiungono, in diverse zone del mondo musulmano, pasti offerti dalla famiglia ai partecipanti al funerale, per ribadire che la vita continua dopo la morte e che la comunità dei vivi è coesa intorno a chi ha subìto una perdita; inoltre, talora sono in uso visite alla tomba nel quarantesimo giorno dopo la morte, accompagnate da distribuzione di elemosine e cibo (pane e fichi) agli indigenti e ai custodi del cimitero.
La presenza delle donne ai funerali è tollerata in alcuni luoghi ed esclusa in altri: occorre non disperarsi per la morte, è necessario ostentare misura nei gesti, per testimoniare la fede nella resurrezione. Ma anche questa indicazione non è universale nel mondo islamico.
Ora, descritto sinteticamente l’essenziale del rito islamico, che cosa accade quando i musulmani vivono in terra d’accoglienza, e in particolare in Italia?
Il lavaggio rituale della salma viene in genere eseguito nelle sale autoptiche degli ospedali o degli obitori, da volontari della comunità islamica che ne conoscono i gesti. La sepoltura entro un giorno non è quasi mai possibile in Italia: le nostre leggi chiedono che la sepoltura avvenga dopo un minimo di 24 ore (che diventano 48 in caso di morte improvvisa), ma tradizionalmente i tempi sono più dilatati. Inoltre, per la legge italiana occorre seppellire con la bara, per ragioni di igiene pubblica. Se poi la scelta ricade non su una sepoltura in terra d’accoglienza, ma sul rimpatrio della salma, la deritualizzazione della morte musulmana è inevitabile: la spedizione del corpo del defunto deve avvenire mediante bara foderata di zinco, una bara che non potrà più essere aperta nel paese di origine. Sovente infatti la spedizione richiede un certo numero di giorni, affinché sia possibile sia raccogliere la cifra necessaria per il volo aereo della bara, sia espletare le pratiche burocratiche.
Altra questione è quella del cimitero. I nostri cimiteri sono organizzati con una rotazione delle fosse, ogni circa dieci anni (e i resti vengono posti negli ossari comuni), mentre gli spazi, anche privati, sono assegnati in concessione al massimo per 99 anni. Per i musulmani, invece, la sepoltura è definitiva, e non è prevista alcuna esumazione.
In genere gli islamici con cui ho parlato nel corso degli anni non si sono mai lamentati dello squallore delle sale autoptiche, con le loro gelide apparecchiature, dove viene loro permesso di fare il lavaggio rituale. Comprendono, inoltre, che non è possibile derogare rispetto alle leggi, per cui nessuno ha mai chiesto di seppellire senza bara o prima del tempo stabilito. I principali problemi, che negli anni scorsi sono emersi, riguardano le aree islamiche nei nostri cimiteri, presenti non in tutte le città.
Sarei molto interessata a sapere la vostra opinione sugli “altri addii”: è importante offrire agli appartenenti a religioni minoritarie, o a minoranze etniche, le condizioni per poter compiere i riti della loro tradizione? Avete episodi da raccontare in merito? O vostre riflessioni?