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Tag Archivio per: bambini

Quando a scuola c’è un lutto, di Caterina di Chio e Cristina Vargas

28 Dicembre 2023/2 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Per i bambini e i giovani, scrive la psicoterapeuta Sofia Massia, la scuola rappresenta la prima casa-altra rispetto alla famiglia; un luogo in cui, parafrasando Rodari, ciascun allievo ogni giorno “fa la punta alle matite e corre a scrivere la propria vita”. In essa, infatti, si  apprendono saperi e competenze, si intrecciano legami importanti, si provano emozioni profonde, si trascorrono molte ore e si fa esperienza di comunità. A scuola dunque si affrontano tutte le sfide della crescita, comprese quelle più difficili come l’incontro con la morte e il lutto. Talvolta, l’incontro è indiretto e avviene attraverso il commento a letture condivise o a racconti che un singolo alunno porta nel contesto classe, ad esempio relativamente alla morte di un animale domestico, di un nonno o di un genitore. Talatra, invece, si verificano esperienze che toccano direttamente e da vicino l’intero gruppo: la morte di un compagno o di un insegnante, di un membro della comunità scolastica.

In questa prospettiva, possiamo considerare la scuola un ambiente ottimale per attuare interventi di prevenzione primaria nell’ambito dell’educazione alla morte. Autori come Stephen Strack, Robert Neimeyer e, in Italia, Ines Testoni, hanno strutturato e promosso progetti che si soffermano sia sul pensiero e sulla riflessione (attivando quindi la sfera cognitiva), sia sulla dimensione affettiva-relazionale, con l’obiettivo di rendere la morte un tema “dicibile”, qualcosa su cui è possibile confrontarsi, ascoltarsi e ascoltare.

Ci sono situazioni in cui gli interventi di prevenzione primaria sono sufficienti, ed altre in cui la prevenzione (qualora ci sia stata) non è sufficiente. Risulta necessario occuparsi di lutti veri e propri.  Gli scenari possono essere molteplici, ma nel presente articolo vorremmo soffermarci in particolare su ciò accade quando è un membro del gruppo classe a morire. In questi casi, la morte irrompe in modo spesso traumatico nella vita scolastica, coinvolgendo allievi, insegnanti e, più in generale, tutta la comunità.

In situazioni di questo tipo gli insegnanti si trovano davanti un compito complesso, e hanno un elevato grado di responsabilità rispetto  al  gruppo classe. Nel corso delle esperienze di supporto a docenti ed educatori che abbiamo avuto modo di seguire negli ultimi anni sono emerse numerose domande e preoccupazioni, che in molti casi si esprimono intorno a un grande quesito: come posso in qualità di docente gestire al meglio la situazione, ed essere di supporto, senza oltrepassare i confini e il mandato del mio ruolo, rischiando di sconfinare in territori non di mia competenza?

Un primo nodo importante, su cui può essere utile proporre alcune riflessioni, è quello di conoscere e comprendere le caratteristiche del lutto nelle varie fasi di età.

Il lutto è collegato a emozioni intense e difficili. Accanto al dolore,  in genere si sperimentano vissuti di rabbia, di senso di colpa, oltre che di confusione, di paura, di angoscia… Mentre nell’adulto queste emozioni tendono ad avere un carattere persistente, nei bambini e nei ragazzi esse hanno un andamento altalenante: in alcuni momenti possono arrivare con forza dirompente, mentre in altri possono attenuarsi, o addirittura sparire. Per un adulto può essere sconcertante vedere quanto siano diverse le modalità di reazione degli allievi e come nel gruppo si passi da un comportamento “come se niente fosse” al manifestarsi del pianto o a scatti di rabbia (apparentemente) eccessivi o ingiustificati. È importante considerare queste oscillazioni come del tutto normali. Esse si presentano con maggiore intensità in chi era più legato al compagno o alla compagna deceduti. Allenarsi a riconoscere queste emozioni aiuta a comprenderle e a gestirle con maggior sensibilità, a tollerare meglio i momenti di crisi senza andare sulla difensiva e a bilanciare accoglienza e contenimento nel rapporto con ciascuno dei propri studenti.

La morte di un membro del gruppo porta  gli altri a confrontarsi con  la consapevolezza della propria morte: “se è accaduto al mio compagno o compagna vuol dire che anche i bambini (o i ragazzi) possono morire e, quindi, può accadere anche a me”. Questo pensiero può essere formulato ad alta voce, oppure può essere espresso in modo indiretto: i più piccoli possono manifestare inquietudine o paura nel momento di addormentarsi, ad esempio, o mostrare preoccupazioni per il proprio stato di salute e sintomi psicosomatici. In ogni caso è importante intervenire tenendo insieme onestà e sensibilità. A seconda dell’età è possibile cercare fiabe, racconti, testi letterari o filosofici e altre suggestioni culturali che aiutino ad affrontare il tema. Molte discipline scolastiche, infatti, offrono vie e strumenti che possono essere utili nel percorso di elaborazione (come la scrittura o il disegno) e che possono rappresentare un canale espressivo per i singoli e per il gruppo.

Offrire uno spazio e un tempo per condividere i propri vissuti intorno alla perdita  è un compito prezioso del docente che, nel suo ruolo, può creare le condizioni affinché nel gruppo le persone possano parlare, essere ascoltate, sentirsi meno sole e avvertire che l’evento viene accolto dalla comunità di appartenenza.

Nei momenti di particolare difficoltà, si può fare riferimento allo sportello di ascolto psicologico, che rappresenta una risorsa importante quando si coglie la necessità di un supporto specifico.

Per quanto riguarda il gruppo classe, un  ambito di grande importanza è quello della comunicazione. Curare il modo in cui si trasmette la notizia alla classe, per quanto non esista  “il modo giusto”,  è essenziale.  Ogni insegnante può trovare le parole che sente più coerenti con il proprio carattere e con il tipo di relazione che ha con la classe, tuttavia, pur mantenendo il proprio stile, l’esperienza di lavoro in setting gruppali insegna che è d’aiuto usare un linguaggio chiaro, empatico e adeguato all’età. La parola “morte” non va temuta: pronunciarla aiuta il gruppo a prendere atto della drammatica irreversibilità di quanto accaduto, facilitando la comprensione di un concetto che, soprattutto per i più piccoli, può essere ancora astratto e difficile da afferrare nel suo pieno significato. Se si tratta di una situazione improvvisa o inattesa è probabile che ci siano delle domande, collegate a un normale bisogno di sapere che cos’è successo. A questo proposito ci sembra di poter dire che è necessario parlare dell’accaduto con tatto,  senza entrare in lunghe descrizioni e senza condividere dettagli intimi per soddisfare a tutti i costi la curiosità, ma fornire, in modo rispettoso e discreto, quelle informazioni essenziali che permetteranno ai compagni di comprendere l’accaduto. In genere, in alcuni casi in particolare, soprattutto se si tratta di morti violente, atti anticonservativi o incidenti, può essere opportuno concordare con la famiglia di chi non c’è più i contenuti da trasmettere.

Infine un tema su cui ci si sofferma poco, ma che invece è fondamentale, è quello degli oggetti. La scuola è piena di tracce del passaggio di ogni allievo o allieva. I quaderni, i disegni, le parole scritte, i compiti in classe, il banco stesso sono l’ancoraggio concreto alla memoria del gruppo e sono testimonianza della vita che in quel luogo ha trascorso chi l’ha lasciato. In quanto tali, tutti questi oggetti d’uso quotidiano, su cui di norma  sorvoliamo, acquisiscono un’importanza significativa sul piano simbolico. Come trattarli allora? Sapendo che sono preziosi per favorire l’integrazione dell’esperienza della perdita, il gruppo stesso può trovare la risposta a questa domanda, decidendo cosa tenere in aula, cosa valorizzare e come utilizzare gli oggetti stessi per creare una memoria condivisa. L’importante è che quest’opportunità  venga offerta, e che si dia la possibilità ai ragazzi stessi di scegliere il da farsi. Decidere insieme qual è il momento migliore per togliere il banco o per raccogliere il materiale da restituire alla famiglia offre l’occasione di condividere le emozioni e i pensieri che stanno circolando nel gruppo, trasformandoli in un gesto significativo. È possibile anche trovare forme condivise per ricordare: creare una scatola in cui ognuno può depositare un pensiero o, ancora, piantare un albero in onore del defunto sono atti che si avvicinano alla dimensione rituale, nel senso che permettono di dire addio attraverso l’azione e creano un senso di vicinanza e condivisione fra chi resta.

Cosa ne pensate? Avete esperienze che potete condividere? Grazie, come sempre, del vostro contributo.

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Il cimitero, luogo di vita, di Davide Sisto

13 Dicembre 2022/25 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Lo scorso ottobre, a Trieste, ho avuto modo di assistere al documentario intitolato “Il Girotondo” della regista Alice Palchetti. Il documentario, ambientato in uno dei cimiteri di Berlino, ha lo scopo di evidenziare il limite e il confine tra la vita e la morte attraverso la descrizione delle molteplici attività che, in Germania, si svolgono quotidianamente all’interno delle strutture cimiteriali. In mezzo alle tombe viene ripreso, infatti, un numero significativo di bambini intenti a giocare e a rincorrersi come se fossero all’interno di un qualsiasi parco cittadino, mentre gli adulti svolgono le più disparate attività ludiche: concerti, conferenze, spettacoli teatrali, ecc. Queste attività si integrano armonicamente con le processioni funebri, segnate dal dolore per la perdita. I primi piani sulle persone in lutto si alternano a quelli su chi sta, per esempio, recitando. La regista, una volta presentato il suo documentario, non ha nascosto il suo iniziale spaesamento: abituata alle convenzioni italiane, è rimasta dapprincipio perplessa a ricevere inviti da parte degli amici tedeschi per incontrarsi dentro il cimitero quale luogo di ritrovo in vista delle successive attività ludiche. La normalità con cui gli abitanti di Berlino sostano nei cimiteri – anche per leggere, per fare jogging, per fare pausa pranzo, ecc. – l’ha spinta tuttavia a ragionare sul senso del limite e del confine in maniera differente rispetto alle sue abitudini consolidate. Il girotondo, pertanto, rappresenta la metafora dell’ininterrotto passaggio da sopra a sotto la terra e viceversa che caratterizza la casa dei morti, mettendoli costantemente in contatto con i vivi. In altre parole, indica quel confine che unisce e separa, rendendo di fatto il cimitero una specie di dogana tra due differenti mondi. Le immagini dei bambini che corrono tra le tombe servono proprio per sottolineare la circolarità tra l’inizio e la fine.

Guardando il documentario, mi è venuta subito in mente una famosa affermazione di Luigi Lombardi Satriani, appuntata nel bellissimo libro “Il ponte di San Giacomo”: “I morti sono i segni sotterranei della vita”. Questa frase nella sua semplicità, se applicata alla natura del cimitero, non solo conferma le buone intenzioni del documentario di Alice Palchetti, ma indirettamente spiega l’errore principale che commettiamo di solito in Italia.

In Germania emergono soprattutto i limiti e i confini che, dentro al cimitero ubicato nel cuore delle città, uniscono e separano i vivi e i morti, l’inizio e la fine. Nel nostro paese invece ci si sofferma maggiormente sulle alte mura che, cintando strutture cimiteriali spesso collocate ai margini delle metropoli, determinano la rigida separazione tra chi è fuori e chi è dentro.

In tal modo, eliminano la comunicazione tra l’inizio e la fine. Il nostro atavico timore nei confronti dei cimiteri, percepiti come luoghi tristi e lugubri, ci spinge ad allontanarli il più possibile dalla vita di tutti i giorni, rendendoli una tappa obbligata per il solo e canonico giorno dei morti. Ed è veramente un peccato. Lo dico da appassionato di cimiteri. Quando mi reco al loro interno, la prima sensazione che provo è quella di essere dentro una realtà estremamente ricca di vitalità. Ogni cimitero ha, innanzitutto, una sua flora e una sua fauna specifiche, le quali prosperano tra i loculi e i cimeli delle persone decedute. Il silenzio predominante accompagna, quindi, il susseguirsi di informazioni e memorie su chi ha vissuto prima di noi, facendo percepire in maniera simbolica la loro presenza fantasmatica.

È ovvio che se associamo al cimitero soltanto il momento del rito funebre, dunque un evento terribilmente doloroso, non può che scaturirne una normale repulsione. Se, invece, impariamo a popolarlo a prescindere dai riti funebri, svolgendo al suo interno le attività che caratterizzano la nostra quotidianità, riusciamo forse a cogliere meglio il legame tra il presente e il passato, dunque la dialettica tra la presenza e l’assenza che tratteggia la natura del defunto. In tal modo, possiamo disporre di uno strumento prezioso in più per superare la rimozione sociale e culturale della morte e per maturare un atteggiamento meno traumatizzato nei confronti di quel tratto mortale che ci definisce. Proprio per tale ragione, sono convinto che le scuole dovrebbero portare i bambini nei cimiteri, per abituarli a una relazione meno traumatica tra l’aldiquà e l’aldilà.

Nel consigliare il documentario di Alice Palchetti, vi chiedo qual è il vostro rapporto con i cimiteri, se li frequentate o se li evitate. Attendiamo con curiosità le vostre risposte.


ps.le persone interessate a vedere il documentario possono contattare Alice tramite email: alicepalchetti@gmail.com

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2022/12/Bambini-che-giocano-al-parco-e1670849377612.jpg 264 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2022-12-13 16:21:112022-12-16 16:39:22Il cimitero, luogo di vita, di Davide Sisto

Cosa vuol dire morire? Riflessioni a partire da un fatto di cronaca, di Davide Sisto

3 Febbraio 2021/3 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

I quotidiani nazionali hanno dedicato, negli ultimi giorni di gennaio 2020, un ampio spazio alla notizia di una bambina siciliana – di appena nove anni – morta suicida in circostanze tutt’altro che chiare (perlopiù collegate all’uso del social network TikTok, per quanto sia ancora una supposizione priva di riscontro oggettivo). Al di là delle svariate analisi giornalistiche che si sono succedute per diversi giorni, mi ha colpito leggere più volte le seguenti parole: “molti ragazzini oggi non sanno cosa vuol dire morire”.

Questa affermazione implica una serie di ragionamenti, che sono – di fatto – alla base degli articoli che da anni fanno parte di questo blog. Innanzitutto, cosa vuol dire morire? Quando ciascuno di noi – adolescenti o adulti, poco importa – si pone questa domanda, si rende immediatamente conto che non vi è modo di andare oltre a quanto sostiene il filosofo tedesco Gadamer: «Un pensiero della morte, che lascia che io continui a vivere, non sembra essere molto diverso né essenzialmente differente da tutti gli altri sogni di vita che noi sogniamo e nei quali viviamo. Ci troviamo, a quanto pare, di fronte a un’aporia, la quale tiene separati la morte e il pensiero. Pare che il pensiero della morte trasformi di già la morte in qualcosa che essa non è». Una volta che ne facciamo esperienza non abbiamo ovviamente modo di descriverla e di spiegarne il significato; possiamo, molto banalmente, soltanto attribuire un significato all’esperienza che facciamo della morte altrui.

Ovviamente, l’affermazione summenzionata allude ad altro, cioè alla ipotetica scarsa consapevolezza che i bambini e gli adolescenti del XXI secolo hanno nei confronti della propria connaturata mortalità, aspetto che li porta – sempre ipoteticamente – a sottovalutare la fragilità e la precarietà della propria esistenza.

Non mi interessa sapere se ciò sia vero oppure no. Mi interessa semmai, facendo finta che sia plausibile tale pensiero, evidenziare un altro aspetto: se “molti ragazzini oggi non sanno cosa vuol dire morire”, non è forse colpa degli adulti impegnati costantemente a eludere ogni tipo di discorso relativo alla morte? Sono oramai decenni che parliamo di rimozione della morte e che sottolineiamo la necessità di percorsi educativi per mezzo dei quali “imparare a morire” (dunque, a vivere). Tuttavia, ancora oggi non riusciamo a superare l’imbarazzo che ci irretisce ogniqualvolta occorre prestare attenzione al limite della nostra esistenza e di quella dei nostri figli. Un imbarazzo che risulta poi fatale nella vita quotidiana.

Riprendiamo un attimo il discorso relativo alla pandemia da Covid-19: è palese che la maggior parte dei comportamenti negativi dei cittadini sia riconducibile al non voler pensare di essere mortali. Tra i tanti atteggiamenti oggettivamente riconducibili alla negazione del pensiero della morte e di cui abbiamo già parlato nel blog, uno mi ha, ultimamente, colpito in maniera particolare: diversi miei conoscenti, che sono stati contagiati (e che, per fortuna, sono guariti), si sono ammalati perché, se da una parte hanno chiaramente riconosciuto il pericolo della pandemia, dall’altra lo hanno applicato soltanto alle altre persone e non a se stessi. Vale a dire: ho notato un’enorme premura nel consigliare ai propri cari di prendere tutte le necessarie precauzioni e, al tempo stesso, una altrettanto grande sciatteria nel prenderle personalmente. Come se, di nuovo, si proiettasse il rischio di morte sugli altri, perché consci del dolore che deriva da una perdita, ritenendo però se stessi immuni da tale rischio. Della serie: io, comunque, non corro il pericolo di morire. Io sono immortale. Mi ha impressionato soprattutto un conoscente che, scoperto di essere positivo al Covid, mi ha chiesto: “tanto non si muore mica di Covid, vero?”. Non me lo ha chiesto a fine febbraio 2020, quindi in una fase in cui ne sapevamo ancora poco, ma nel periodo natalizio appena trascorso, dopo mesi di reportage giornalistici e di trasmissioni televisive dedicate al tema. Capisco molto bene la paura, la quale può spingerci a evitare i pensieri più drammatici (cfr. il famigerato “andrà tutto bene”), ma questo tipo di rimozione posteriore al contagio è lo stesso tipo di rimozione che ha reso possibile il contagio. Dunque, tornando alla domanda di partenza: come possono i ragazzini sapere cosa vuol dire morire se i loro punti di riferimento adulti non lo sanno o non lo vogliono sapere?

In conclusione, è fondamentale parlare della morte a tutte le età, a partire dall’infanzia. Ma per poterne parlare in maniera consona e vincente da un punto di vista educativo è necessario, in primo luogo, che gli adulti si sforzino di sottrarsi alla rimozione e al tabù. In caso contrario, non saranno mai capaci di educare attentamente i propri figli e i propri studenti, limitandosi poi – quando hanno luogo drammatici casi di cronaca – a fare affermazioni come quella indicata, dal sapore ipocrita e moralistico. In altre parole, ci si toglie di dosso ogni tipo di responsabilità, colpevolizzando chi – a soli 9 anni – dovrebbe lucidamente conoscere ciò che gli adulti stessi ignorano.

Cosa ne pensate? Attendiamo i vostri commenti e le vostre riflessioni.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2021/02/paura-della-morte-e1612274659485.jpg 264 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2021-02-03 10:11:312021-02-03 10:11:33Cosa vuol dire morire? Riflessioni a partire da un fatto di cronaca, di Davide Sisto

Bambini e dolore familiare, di Barbara Capellero

12 Giugno 2017/4 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Depositphotos_143373683_s-2015Spesso le famiglie, quando si trovano ad affrontare una malattia, in particolare se cronica, o un lutto, tendono a non coinvolgere i bambini.

Si cerca di proteggerli da situazioni in cui prevalgono sentimenti di tristezza e di dolore, convinti che i bambini non abbiano la capacità di reggere e gestire tali eventi. Purtroppo, però, tenere i bambini lontani da ciò che sta accadendo in famiglia non li salvaguarda dalla sofferenza. Da un lato, sottovalutiamo le potenzialità dei bambini messi di fronte a nuove esperienze e alla verità. Dall’altro lato è utile riflettere sulle nostre paure, preoccupazioni e speranze, che spesso limitano la capacità di noi adulti di far fronte al dolore. Fare finta che non stia accadendo nulla non è mai una buona scelta: crea nei piccoli ansia, preoccupazione e confusione, ed è probabile che si inducano in loro sentimenti di sfiducia e diffidenza nei confronti delle figure di riferimento.

La letteratura dedica troppo poca attenzione alla comprensione degli effetti della malattia e del lutto lungo l’asse dei rapporti intergenerazionali. L’attenzione per la famiglia allargata si è spesso ridotta a uno studio delle prime due generazioni: quella degli anziani e quella dei figli. La generazione dei nipoti o non viene presa in considerazione, oppure viene analizzata attraverso il filtro della generazione di mezzo. Eppure, è noto che la malattia e l’eventuale morte dell’anziano possono avere forti ripercussioni emotive di lunga durata sulla vita delle generazioni più giovani, e non si può dimenticare che il declino e la scomparsa della generazione anziana costituisce spesso la prima e fondamentale occasione di elaborazione del lutto per i nipoti.

In assenza della consapevolezza del dolore e della sua condivisione con persone che esercitano un’efficace funzione consolatoria, non facciamo altro che arrestare nei bambini la capacità di processare la perdita e di gestire ed elaborare i sentimenti negativi.

E’ quindi fondamentale parlare con i bambini anche delle emozioni negative legate alla malattia e al lutto, per evitare che ci siano “vissuti inaccettabili” e indicibili che devono essere nascosti. I “segreti” impossibili da condividere creano nei bambini un’ansia maggiore e un forte senso di isolamento. Affinché cresca un adulto equilibrato, il bambino deve poter esprimere le proprie emozioni e avere la libertà di fare domande inerenti la malattia e la perdita, e ricevendo risposte adeguate alla sua età e alle sue capacità.

L’importanza della comunicazione rispetto alla malattia o alla perdita non deve, tuttavia, essere confusa con una verità che va detta ad ogni costo nel momento scelto dagli adulti: i bambini potrebbero non desiderare di sapere e capire tutto e subito. E’ importante adeguare il livello e il contenuto della comunicazione alle necessità espresse, in quel determinato momento, dal bambino.

Sono i genitori ad avere un ruolo centrale nel favorire la comunicazione tra i membri della famiglia: per un bambino il modo peggiore di ricevere una notizia o di avere informazioni è intercettarla da scambi di informazioni tra gli adulti che lo circondano (e che lo ignorano). Le figure di riferimento, meglio di chiunque altro, possono e devono dare attenzione ai bisogni dei bambini individuando gli spazi e i tempi idonei per condividere le emozioni, i sentimenti e per rispondere alle domande.

È importante essere sinceri e avere con i figli una comunicazione “aperta”, usando denominazioni appropriate, per evitare che i bambini si diano da soli delle risposte che possono, ad esempio, far nascere sensi di colpa o di abbandono.

I genitori quindi possono far sì che, anche in situazioni difficili, in cui prevale il dolore, i bambini possano avere comprensione, si sentano legittimati nell’espressione dei propri sentimenti e vissuti e vivano in un ambiente dove è possibile la condivisione emotiva.

Gli adulti sani sono bambini che hanno avuto la consapevolezza che il dolore è esprimibile e mostrabile, che non sono stati soli a provare sofferenza e tristezza, e che è possibile supportarsi e sostenersi reciprocamente.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2017/06/Depositphotos_2338058_s-2015.jpg 333 499 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2017-06-12 12:46:092017-06-12 12:46:09Bambini e dolore familiare, di Barbara Capellero

Soli ma insieme: come aiutare bambini e adolescenti in lutto, di Davide Sisto

28 Luglio 2016/1 Commento/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Chico triste y pensativoOggi vi raccontiamo il sito web “Soli ma insieme.Un sito per bambini e ragazzi in lutto” ( http://solimainsieme.it/), nato dalla collaborazione tra due enti non profit, FILE (http://www.leniterapia.it/) e Gruppo Eventi (http://www.gruppoeventi.it/). Si tratta di uno dei primi siti web italiani dedicati a bambini e adolescenti in lutto e, di conseguenza, agli adulti – familiari e insegnanti – che li seguono in questo momento delicato della loro vita. L’idea a fondamento del sito è estendere anche alla Rete il lavoro che le due organizzazioni svolgono quotidianamente con i gruppi di Auto Mutuo Aiuto per le persone in lutto. Ne parliamo con la responsabile, Livia Crozzoli Aite.

Il sito internet è diviso principalmente in due sezioni, una dedicata ai bambini e una agli adolescenti. Quali sono le domande più frequenti dei bambini in lutto? Quali invece degli adolescenti in lutto? Come cambia la percezione della morte tra l’età infantile e quella adolescenziale?

I bambini, fin da piccoli, risentono profondamente dell’assenza della persona cara, anche se non sanno esprimere a parole le emozioni e i sentimenti che provano, né conoscono inizialmente il significato della parola “morte”. Man mano che cominciano a comprenderne il significato, in seguito alle proprie osservazioni interiori e alle sollecitazioni esterne, pensano che la persona morta possa magicamente tornare a vivere e domandano: “quando tornerà?”. Con il passare del tempo, si meravigliano pertanto che non torni: “la nonna è ancora morta?”, per citare il titolo di un libro di Alba Marcoli. Crescendo, i bambini capiscono il carattere definitivo dell’assenza e pongono domande molto semplici riguardanti sia la persona defunta (“dov’è?”, “dove dorme?”, “cosa mangia?”, “mi vede?”) sia se stessi e le proprie emozioni (“mi manca tanto, come farò senza?”, “non la vedrò più?”, “che ne sarà di me?”). Con la maturazione intellettiva e con una acquisita capacità di introspezione, formulano infine domande e osservazioni sempre più mature: “perché si muore?”, “tutti muoiono, quindi morirò anch’io?” e via dicendo.
L’adolescente, invece, appropriatosi dei concetti di irreversibilità, cessazione delle funzioni vitali e universalità dell’evento, ha una piena consapevolezza sia dell’inevitabilità della propria morte sia delle ripercussioni che la perdita del familiare avrà sulla sua vita. Come abbiamo scritto nel sito: “Il lutto nell’adolescenza è come una marea: porta con sé onde d’urto emozionali violente e impone un ripensamento di sé, delle relazioni con gli altri, del mondo e del senso della vita”. Ecco alcune delle domande degli adolescenti: “perché proprio a me?”, “quanto durerà questo dolore?”, “come farò senza la sua presenza?”, “perché mi sento così diverso dagli altri?”, “perché vivere se poi si muore?”.

Nelle richieste di aiuto dopo un lutto ci sono delle differenze di genere nei bambini e negli adolescenti?

È una domanda a cui è difficile rispondere. Per ora, nel sito, da poco online, non sono affluite domande dirette che possano chiarire questo aspetto. Ma l’esperienza clinica mi fa dire che i bambini, ma anche gli adolescenti, per motivi diversi non chiedono solitamente aiuto e cercano di evitare il dialogo e il confronto su eventi così dolorosi. Anche se poi emergono comportamenti, malesseri o malattie psicosomatiche che sono da considerarsi come equivalenti del lutto! Per tale ragione, abbiamo inserito nel sito una parte molto ampia dedicata agli adulti – familiari e insegnanti – per renderli consapevoli di ciò, di modo che vi possano porre attenzione.

Mi ha colpito molto la domanda, nella sezione degli adolescenti, se è sbagliato divertirsi o andare alle feste dopo un lutto. Questa domanda mi fa pensare al legame tra il lutto e il senso di colpa. Riguardo a questo legame, c’è una differenza sostanziale tra l’età infantile e l’età adolescenziale?

Provare rimpianti, scrupoli e sensi di colpa è un vissuto comune, sia nei bambini che negli adolescenti. È parte integrante del lutto: c’è timore di aver trascurato e fatto arrabbiare la persona che non c’è più, di averla odiata o di averle augurato la morte in un momento di rabbia. I bambini tendono a concentrarsi maggiormente sugli avvenimenti del passato, mentre gli adolescenti sulle problematiche del presente, dal momento che stanno già vivendo una fase delicata di crescita. In particolare, i più grandi si sentono in colpa per i sentimenti ambivalenti che provano nei confronti di chi non c’è più. A volte, desiderano non farsi troppo coinvolgere dal dolore che segna la famiglia, di modo da poter riprendere una vita normale con i coetanei e non sentirsi troppo diversi e in difficoltà. È bene aiutare i bambini a esprimere i loro vissuti, a rassicurarli e a far loro sperimentare momenti piacevoli di distrazione e divertimento, spiegandogli che la vita deve riprendere il suo corso. Sono in genere i grandi che organizzano le attività che alleggeriscono il peso della perdita e del dolore della famiglia in lutto, mentre dagli adolescenti ci si aspetta che trovino in se stessi l’energia per ricominciare a vivere.
Bambini e ragazzi, anche se vivono situazioni piacevoli di divertimento e di allargamento dei propri confini, non dimenticano chi non c’è più: il dolore della perdita e dell’assenza resta profondamente radicato dentro di loro, anche se non ne parlano e non lo danno a vedere.

Come ci si comporta con i bambini e i ragazzi in relazione al suicidio di un parente o di un amico?

Comunicare a un bambino e a un ragazzo che una persona della famiglia si è tolta la vita è una delle situazioni più difficili e delicate da affrontare, anche perché in famiglia tutti sono sconvolti e disorientati, impegnati in molteplici aspetti pratici e legali, nonché molto incerti se rivelare o meno la verità. In genere si tende a non darne notizia, rimandando il discorso soprattutto con i bambini. Si desidera, infatti, proteggerli e si teme di spaventarli e di provocare dolore, dal momento che il suicidio, per una molteplicità di motivi (soprattutto la vergogna sociale), è difficile da sopportare e comprendere anche in età adulta. In realtà, se ne dovrebbe parlare in maniera semplice e comprensibile, cercando una situazione di vicinanza affettiva, procedendo a tappe e rimanendo attenti e disponibili, in ascolto delle domande, delle osservazioni e delle reazioni che accompagnano il dialogo sia con il bambino sia con l’adolescente, che su questo tema è molto sensibile. È meglio che il bambino e il ragazzo apprendano la verità da una persona cara piuttosto che da un estraneo, magari per strada o nel cortile della scuola, luoghi nei quali può accadere che la verità sia detta senza cautela.

Il ricordo della persona morta. Come cambia l’esperienza del ricordo tra l’età infantile e quella adolescenziale?

I bambini piccoli hanno sicuramente meno ricordi rispetto agli adolescenti. Ma gli adulti, nominando la persona amata scomparsa e rievocando le esperienze vissute insieme, tengono vivo il ricordo e la “presenza” di chi non c’è più. La memoria della vita vissuta insieme è un aspetto importante che aiuta il processo di elaborazione del dolore e del lutto. Per questo motivo, nel sito si invitano i bambini a raccogliere e conservare oggetti significativi (biglietti d’auguri, foto, regali fatti e ricevuti, ecc.) a disegnare e descrivere i momenti vissuti insieme (nel gioco, in vacanza, al cinema, in moto, allo stadio, ecc.) e a fare una descrizione della persona, di modo che rimanga nel tempo, a livello interiore ed emotivo, il suo ricordo.
Gli adolescenti, invece, avendo avuto un’esperienza di contatto più lunga con chi è mancato, dispongono di maggiori strumenti personali e di maggiori possibilità per ricordare le esperienze condivise, i momenti piacevoli, dolorosi e difficili. Anche se, per l’età che stanno vivendo, sono interessati maggiormente a impegnarsi nelle proprie esperienze di vita. Certamente, col passare del tempo alcuni ricordi si affievoliscono e mutano; rimane l’essenza della relazione, in quanto la raffigurazione interiore della persona, a cui si era legati affettivamente, dura tutta la vita.

Quali sono le difficoltà maggiori degli adulti, in una società come la nostra in cui si fa fatica a parlare della morte, nei confronti delle domande dei bambini riguardo alla morte e alla perdita di un proprio parente o di un proprio amico? Quali consigli si possono dare agli adulti?

Gli adulti, essendo per primi impreparati a reggere l’impatto della morte, credono che non si debba condividere con i bambini il dolore per la perdita di un familiare. Pensano che siano troppo piccoli per capire o troppo impressionabili e fragili per reggere l’evento; temono, inoltre, le loro reazioni e pensano di non saperle gestire o di commettere errori o addirittura di danneggiarli provocando ulteriori sofferenze. Ma i bambini non vanno lasciati soli: meglio il pianto, il dolore e gli affetti condivisi che l’esclusione o il silenzio. Infatti, il silenzio degli adulti non protegge dalla sofferenza e non preserva dalla paura e dallo smarrimento, né fa diventare i bambini più maturi. Se il bambino partecipa agli eventi e viene informato in modo semplice e realistico, in linea con la sua età e con la sua capacità di comprensione, facendo sì che comunichi i suoi sentimenti e interrogativi all’interno di un rapporto di fiducia e di dialogo, egli avrà maggiori strumenti per esprimere e interpretare le emozioni e i sentimenti, propri e altrui.
L’adulto in grado di dare ascolto al bambino, di creare un contatto fisico e caloroso, di rassicurarlo e incoraggiarlo a esprimere i propri sentimenti offre la possibilità di ricordare la persona morta e di interiorizzare l’esperienza psichica della protezione ricevuta.

Molto interessante è il blog interno “La piazzetta”, dedicato ai ragazzi in lutto. Penso sia molto terapeutico per un adolescente scrivere del proprio dolore per la morte di una persona cara e quindi condividerlo con gli altri. Soprattutto, tenendo conto di come generalmente sia ritenuto sconveniente farsi vedere fragili dai propri coetanei. Cosa puoi dirmi a riguardo?

Il blog è il nostro tentativo di offrire agli adolescenti uno spazio moderato, ma non facilitato, in cui possano comunicare e interagire con altri coetanei oppure, semplicemente, dare libero sfogo a ciò che può risultare difficile esprimere in altri contesti. È necessario iscriversi per poter inserire un post, poi però il ragazzo può anche partecipare in forma anonima, se preferisce. Tutta la sezione destinata ai ragazzi tiene conto di quanto sia difficile per gli adolescenti esporsi in prima persona: é per questo che abbiamo inserito moltissime testimonianze, con lo scopo di non far sentire il singolo ragazzo solo e unico nella dura esperienza della morte di una persona cara.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2016/07/Fotolia_99782618_XS-1-e1469651447939.jpg 265 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2016-07-28 09:18:462016-07-28 09:18:46Soli ma insieme: come aiutare bambini e adolescenti in lutto, di Davide Sisto

Bambini e richiesta eutanasica

17 Febbraio 2014/10 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Premetto che non ho ancora letto il testo della legge che consente ai minori di chiedere l’eutanasia in Belgio. Mi pare di aver compreso che riguarda solo i bambini affetti da malattia oncologica. Niente eutanasia per i minori che hanno una qualità della vita molto penosa, ma che non sono in fin di vita. Non sono un pediatra, non so nulla di oncologia pediatrica, non ho mai visto un bambino in stato avanzato di malattia per cancro. E, se vogliamo aggiungere altre cose che non so, non conosco bene il Belgio, dove sono stata solo una volta, né la qualità della sua sanità.
Quindi, il mio non sapere non mi permette di fare affermazioni, ma solo domande.
Il primo quesito riguarda, naturalmente, le cure palliative per i minori. In Italia c’è solo un hospice pediatrico, e pochissime sono le associazioni di cure palliative che accolgono anche bambini e ragazzi. Come mai invece di investire per approfondire le conoscenze sul miglior modo per togliere il dolore ai bambini che hanno una malattia terminale, si propone di concedere loro l’eutanasia?
La seconda domanda ha a che fare con le affermazioni dei pediatri belgi. Questi ultimi negano di aver mai ricevuto richieste d’eutanasia da un bambino, come si può facilmente immaginare. Quando il dolore è insopportabile e la fine della vita è ormai vicina, perché non si usano gli strumenti delle cure palliative, già legali in Belgio come in Italia: ad esempio la sedazione terminale, che sopprime la coscienza (e quindi anche il dolore) senza togliere la vita?
Interrogativo ai cittadini: quelli che esultano di fronte a leggi come queste, non hanno una visione molto ideologica delle cose? O non temiamo di non riuscire a sostenere, noi adulti, la sofferenza dei bambini?
Terza e ultima domanda rivolta ai politici belgi: l’approvazione di questa legge non è per caso un diversivo, che evita di discutere le vere priorità della sanità belga? Se di eutanasia ai minori si dovesse parlare, il problema non riguarderebbe piuttosto quei bambini nati con disabilità talmente gravi da rendere la loro vita simile a quella di un vegetale? Ma di questi bambini non si parla, per fortuna, perché saremmo di fronte a un’esplicita operazione di eugenetica (né questi minori sarebbero in grado di chiederla, l’eutanasia).
Domande, quelle che ho posto, cui ciascuno dovrebbe provare a rispondere nel suo foro interiore, a bassa voce. E allora, qual è il senso di una legge che riguarda la fine della vita dei piccoli pazienti oncologici?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2014/02/images.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2014-02-17 13:25:592014-02-17 13:25:59Bambini e richiesta eutanasica

Minori: chi si occupa del loro dolore?

6 Dicembre 2013/15 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

La maggior parte dei quotidiani ha dedicato nei giorni scorsi uno spazio alla discussione belga sull’eutanasia per i minori. Un testo di legge approvato dalle commissioni Affari Sociali e Giustizia del Senato ha stabilito infatti la possibilità di praticare l’eutanasia ai bambini affetti da «sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale e con l’accordo dei genitori». Il testo deve ancora passare in parlamento, ma pare sia appoggiato dalla maggioranza politica. La richiesta dovrà provenire direttamente dal minore, e uno psicologo dovrà accertare la consapevolezza di quest’ultimo al momento della decisione. Il Belgio si avvicinerà quindi ai Paesi Bassi, dove è legale chiedere l’eutanasia a partire dai dodici anni.

Le perplessità per me riguardano naturalmente, da laica, il grado reale di maturità e di autonomia di giudizio di ragazzi molto giovani e posti sotto il giogo della sofferenza fisica e mentale. Essere malati e non poter fare la stessa vita dei coetanei; comprendere la sofferenza dei genitori, di cui un fanciullo potrebbe sentirsi causa; e inoltre avere, per ragioni intrinsecamente legate all’età, una conoscenza della vita (e quindi del morire) molto approssimativa.
Io ho molti dubbi (anche se non preclusioni) sull’eutanasia attiva da praticare agli adulti, a maggior ragione ai bambini. Talvolta non è possibile considerare maturo e libero il volere di chi, adulto o anziano, teme di essere di peso ai familiari, e ha orrore per la “dipendenza” da altri.

Ma non voglio addentrarmi in questa riflessione che ho già proposto varie volte. Voglio aggiungere un aspetto. Cito il parere negativo della Federazione degli Ordine dei medici italiani, che afferma giustamente, attraverso la voce del suo presidente Amedeo Bianco, che oggi “sono disponibili efficaci terapie anti-dolore che permettono di alleviare anche le situazioni di sofferenza maggiori, quelle che possono spingere verso l’eutanasia”.
Non posso non stupirmi, tuttavia, del silenzio, in questo dibattito, su un tema che invece è scottante nel nostro paese. Chi si occupa con competenza del dolore dei bambini che sono affetti da malattie inguaribili (purtroppo accade!), talvolta fin dalla nascita? Non solo del loro dolore fisico, ma della sofferenza provocata dai limiti drammatici che impone la malattia alla loro vita e alla loro crescita psicologica, cognitiva e relazionale?
Sapevate che in Italia esiste, allo stato attuale delle cose, solo un hospice pediatrico, a Padova (http://www.desistenzaterapeutica.it/hospice-pediatrico-di-padova.html), supportato dall’Associazione l’Isola che c’è? (www.lisolachece-cpp.org/hospice.asp)
Perché dunque non rivendicare innanzitutto una diversa qualità di cura del dolore dei minori?
Come potremmo secondo voi fare pressione sui nostri amministratori e governanti affinché completino i programmi già varati di cure palliative, e mantengano le promesse della legge 38/2010 sulle cure palliative, che devono essere garantite a tutti i cittadini, di tutte le età, e per tutte le patologie?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/12/bambino-tumore.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-12-06 12:19:162013-12-06 12:19:16Minori: chi si occupa del loro dolore?

Cosa dire della morte ai nostri figli?

4 Febbraio 2013/18 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Ricevo e pubblico con piacere un post di Francesca Ronchetti (www.francescaronchetti.it), che si occupa dell’elaborazione del lutto nei bambini:

“Una delle difficoltà che incontrano molti genitori nell’educazione dei propri figli è spiegare cosa sia la morte. Le mamme e i papà muoiono? Io morirò? Molti adulti evitano il tema, che li mette a disagio, pensando di proteggere i bambini…perché svelare loro l’amara verità? Tuttavia, i bambini non vivono in un mondo protetto, la morte tocca anche le loro famiglie e il loro ambiente: un insegnante, un compagno, un nonno, o anche solo un animale domestico. Cosa dire al bambino? La nonna è partita per un lungo viaggio? In questo modo, si lascia il bambino inutilmente in attesa del suo ritorno, aumentando il suo spaesamento e la sua sofferenza. D’altronde, la vita acquisterebbe più senso se riuscissimo a vedere la morte come dimensione umana per eccellenza, come limite, come finitezza, come il concludersi naturale dell’esistenza. La morte è soprattutto un momento per intensificare i legami: non priviamo dunque i bambini, e noi stessi come genitori, della condivisione di un’esperienza dolorosa ma importante. Spieghiamo loro mediante parole semplici che l’esistenza umana, al pari di qualsiasi altra forma di vita, è destinata ad avere una conclusione, così come un inizio. E’ importante educarli alla finitezza, parlare loro della morte, del ciclo di vita, del cammino che tutti dovremo percorrere, alcuni prima, altri dopo: fin dalla prima infanzia, e non solo come risposta a eventi dolorosi, a una perdita da elaborare. I bambini sono in grado di accettare anche le esperienze più difficili se accompagnati per mano.”

Vi chiedo:
Siete d’accordo? Volete raccontarci le vostre esperienze? Come avete parlato della morte ai vostri figli? Cosa consigliereste a altri genitori?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/02/imgres-7.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-02-04 09:07:342013-02-04 09:07:34Cosa dire della morte ai nostri figli?

Narrare il lutto

21 Gennaio 2013/4 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Nella nostra cultura, dove pochi e smorti riti vengono celebrati, dove ciascuno vive la propria vita individuale, la narrazione del dolore ha preso il posto della sua condivisione, e dal narrare nascono nuove comunità elettive.
Così funzionano i gruppi di auto mutuo aiuto dedicati al lutto, i cui partecipanti si riuniscono per raccontare il proprio male di vivere con la perdita, e poco per volta sono meno soli, ritrovano solidarietà, vicinanza e amicizia.
C’è chi invece di parlare, decide di scrivere. Per scrivere la propria esperienza di perdita occorre saper trovare le parole giuste. Non necessariamente letterariamente efficaci, ma corrispondenti a quel che vive nella memoria, nel cuore e nella mente di chi soffre (cfr. anche il sito dell’Associazione Maria Bianchi, che dedica una parte del suo lavoro di sostegno al lutto proprio alla narrazione, www.mariabianchi.it )
Ci sono eccellenti libri sull’esperienza del lutto, ne ricordo qualcuno per chi abbia piacere di ritrovare propri sentimenti nelle parole altrui: Philippe Forest ci ha raccontato la perdita della sua bimba di quattro anni in Tutti i bambini tranne uno, e scrive “Ho fatto di mia figlia un essere di carta”. Louise Candlish in Da quando non ci sei parla della sua fuga in Grecia e della lenta, sofferta ripresa della speranza di poter vivere, dopo la morte della figlia Emma. Ray Kluun, Senza di lei, narra la sua terribile esperienza di un lutto bloccato dopo la morte della moglie, di come si è perso per mesi nella droga e nel sesso. Joan Didion in L’anno del pensiero magico, percorre il primo anno dopo la morte del marito, un anno in cui tutto viene rimesso in discussione. Brigitte Giraud in E adesso? narra la perdita del marito in un incidente d’auto e la fatica di continuare a vivere, C. S. Lewis, Diario di un dolore, evoca il suo lutto per la moglie e il suo sgomento di fronte al vacillare della fede. Ce ne sono molti altri. Molti di questi autori non erano scrittori professionisti, eppure hanno avuto l’esigenza di trovare le parole “giuste”. Giuste per mettere una distanza tra sé e il proprio dolore, giuste per ricordare la persona perduta e l’amore provato, giuste per scoprire che ogni lutto è un dolore diverso, e nessuno stereotipo può servire.
Vorrei parlarvi anche di un blog, bellissimo a partire dal nome, Tra2mondi. E’ un padre che scrive a proposito della perdita della propria bambina: “Nostra figlia, Agathe, se ne è andata all’età di tre anni, tre anni fa. Vorrei poter scrivere qui la nostra storia e condividerla. Non so se ci riuscirò. Finalmente mi sono detto che la sola cosa che un uomo può fare, su questa Terra, è testimoniare della propria vita, qualunque essa sia, senza mentirsi. La storia di nostra figlia ci ha fatto cambiare. Cambiare significa iniziare a vedere il mondo, la vita, in modo diverso. Anche per questo ho pensato di chiamare questo blog ‘tra2mondi’.”
Due mondi esplorati con le parole “giuste” da Stefano, papà di Agathe. Stefano vuole mettere la sua esperienza a disposizione di tutti coloro che lo desiderano, e creare una difficile comunicazione con altri sul tema più occultato e impronunciabile tra tutti i silenzi che circondano la morte: la morte di un bambino.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/01/Narrare-la-perdita.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-01-21 12:31:552013-01-31 21:58:55Narrare il lutto

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