Si può dire morte
  • HOME
  • Aiuto al lutto
  • La fine della vita
  • Ritualità
  • Vecchiaia
  • Riflessioni
  • Chi Siamo
  • Contatti
  • Fare clic per aprire il campo di ricerca Fare clic per aprire il campo di ricerca Cerca
  • Menu Menu

Tag Archivio per: sostegno al lutto

I gruppi “condotti” di supporto al lutto: una risorsa nel lutto complicato, di Cristina Vargas

24 Agosto 2024/3 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

I gruppi di supporto sono una risorsa fondamentale nell’accompagnamento alle persone in lutto. In questo blog ci siamo più volti soffermati sull’Auto Mutuo Aiuto, evidenziando la validità di questo approccio, che punta sul reciproco supporto fra pari, sulla condivisione e sulla (ri)costruzione di una rete sociale intorno ai dolenti. Esistono, però, altre tipologie di gruppo: ci sono quelli a orientamento analitico o psicodinamico; quelli sistemico-relazionali; quelli psicodrammatici; quelli a orientamento gestaltico, esistenziale o cognitivista e molti altri ancora. Queste diverse metodologie sono accomunate dalla presenza permanente di uno psicoterapeuta di gruppo che conduce il percorso. Infatti, non a caso, essi spesso vengono chiamati informalmente “gruppi condotti”.

In questo articolo vorrei soffermarmi sulle caratteristiche e sulle potenzialità di questi gruppi, partendo dal ruolo del conduttore o conduttrice. La parola “ruolo” non è casuale: essa sta a indicare una specifica posizione di responsabilità verso i partecipanti e un funzione ben precisa, di cura e coordinamento, rispetto al gruppo.

Nei gruppi condotti, il terapeuta ha innanzitutto la funzione di costruire e mantenere un gruppo coeso, in cui tutti i membri provino un senso di appartenenza, accettazione e valorizzazione. Secondo Irvin Yalom, la coesione del gruppo è uno dei principali fattori che permettono il verificarsi di un cambiamento individuale nei percorsi di terapia di gruppo.

La morte di una persona cara, in particolare in una società come la nostra, che tende a confinare il lutto nella sfera individuale, genera un forte senso di isolamento e un dolore profondo di cui non sempre si può parlare. Un gruppo coeso permette il confronto autentico con gli altri e attiva la possibilità di riconoscersi nelle esperienze comuni, cosa che è essenziale per sentirsi meno soli e sperimentare un senso di condivisione e reciprocità.

Il conduttore ha inoltre il compito di garantire un clima di sicurezza, che permetta a ciascuno la libera espressione di sé. A tal fine, egli stabilisce un “patto” che fonda il lavoro del gruppo: la riservatezza, il rispetto della verità soggettiva, l’ascolto reciproco e il non giudizio sono alcuni degli ingredienti essenziali di questo accordo, che consente di lavorare insieme verso il comune obiettivo di stare meglio. Talvolta succede che le persone portino con fatica vissuti carichi di un angosciante senso di colpa (quella volta che, sopraffatta, ho strattonato mio marito malato; quella volta che a mio figlio ho detto “vattene”), e che provino un grande sollievo quando nel gruppo si attiva una modalità orientata al non giudizio e, anziché puntare il dito accusatore o dire “avresti dovuto…”, gli altri partecipanti colgono l’occasione per condividere i loro momenti di rabbia e i loro sensi di colpa.

Il ruolo del conduttore  si differenzia da quello dell’osservatore; da quello dell’esperto tematico (che può portare informazioni ed esperienze al gruppo sulla base delle sue competenze in uno specifico ambito) o da quello del facilitatore. Quest’ultima figura è forse quella con cui ci sono maggiori ambiti di sovrapposizione, ma, in essenza, un facilitatore (soprattutto quando non è un professionista in ambito psicologico) dovrebbe avere il compito di agevolare i processi comunicativi e relazionali, senza però intervenire direttamente sul piano terapeutico.

Un ulteriore aspetto che contraddistingue i gruppi condotti è la costante attenzione che il terapeuta rivolge alla dinamica gruppale. Prendendo spunto dalla teoria dei sistemi complessi possiamo affermare che un gruppo è sempre qualcosa in più della somma dei singoli individui che ne fanno parte. Un gruppo si trasforma con il tempo in una sorta di microcosmo sociale. Fra le persone che appartengono al gruppo si creano relazioni, si intrecciano legami, si sviluppano vicinanze e lontananze: è  compito del conduttore monitorare e gestire al meglio queste dinamiche, restituendole quando opportuno al gruppo, in modo che gradualmente ognuno possa diventare più consapevole delle proprie modalità relazionali.

Nella mia esperienza di ricerca o di lavoro con diversi tipi di gruppi di supporto al lutto,  mi è capitato di imbattermi in numerosi fraintendimenti relativi alla figura del conduttore. A volte si teme si teme che il suo sguardo possa essere giudicante e orientato a stabilire ciò che è “normale” e ciò che è “patologico”.  Sul versante opposto, può nascere l’aspettativa irrealistica che il terapeuta sia una sorta di figura messianica che, in qualche modo, “risolverà” le difficoltà dei partecipanti. Credo invece sia importante ricordare che ogni storia personale è unica e che non esistono modalità prestabilite per elaborare un lutto. Il compito del terapeuta è dunque quello di mettere la propria competenza e la propria esperienza al servizio di ciascun particolare gruppo, in modo da poter ascoltare i bisogni (espliciti e impliciti) dei partecipanti e proporre di conseguenza stimoli che possano favorire il percorso di elaborazione della perdita.

Il lutto non è una patologia, ma un’esperienza esistenziale che ognuno di noi è chiamato ad affrontare. Proprio per questo, con o senza l’intervento di uno psicoterapeuta, ogni gruppo in cui c’è un clima accogliente e orientato alla condivisione, in cui membri possono sentirsi ascoltati e aiutarsi a vicenda, può dimostrarsi un efficace strumento di supporto.

Tuttavia, ci sono situazioni in cui il lutto può complicarsi, destabilizzando l’assetto identitario della persona; il progetto di vita può destrutturarsi; possono slatentizzare disturbi psichici pregressi oppure possono comparire sintomi gravi di disagio psicologico.

In questi casi la presenza di uno/una psicoterapeuta di gruppo rappresenta una risorsa fondamentale per consentire un’adeguata attenzione alle parti più problematiche dei partecipanti e creare un contesto in cui è possibile lo svelamento e la successiva integrazione delle angosce più intime e terrificanti, come il desiderio di morire oppure i pensieri ricorrenti che fanno temere di impazzire.

Infine, una potenzialità spesso trascurata, dei gruppi condotti, è che essi permettono l’uso di metodologie attive, che coinvolgono il corpo e la comunicazione non verbale. Lo psicodramma, per esempio, si avvale dei fattori terapeutici tipici del gruppo, ma anche di quelli dell’azione e della scena teatrale e a mio avviso ha notevoli potenzialità nel campo del lutto.

E voi, avete avuto esperienze l’interno di gruppi condotti? Che ne pensate di questa metodologia di lavoro?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/08/immagine-lutto.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-08-24 11:14:522024-08-26 18:19:22I gruppi “condotti” di supporto al lutto: una risorsa nel lutto complicato, di Cristina Vargas

Il pensiero magico e le parole immutabili nel lutto, di Nicola Ferrari

3 Aprile 2023/33 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo articolo di Nicola Ferrari, responsabile del servizio di sostegno al lutto dell’associazione Maria Bianchi. (Le immagini sono di Catrin Welz-Stein).

Le tre amiche salgono sul pulpito, alla fine del funerale.

Sono coetanee della ragazza di 20 anni morta nel sonno, di notte, nella casa dei genitori del suo fidanzato. Verrà trovata cadavere la mattina successiva dalla mamma del suo compagno, uscito presto senza svegliarla per andare a lavorare. Una ragazza atletica, appassionatissima di ballo moderno, che non aveva mai manifestato problemi fisici.

La chiesa del piccolo Comune è ovviamente gremita: c’è tutto il paese, sento dire da un vigile che cerca di gestire la viabilità davanti al sagrato. La bara, di legno semplicissimo e chiaro, è ricoperta di frasi scritte da tutte le persone sue amiche: ora balla lassù, ti amerò per sempre, insegnami a vivere, prenditi cura di noi, il cielo ora ha un’altra stella, quando ci rivedremo sarà meraviglioso, nell’attesa piango. 

L’emozione, come accade ogni volta nella fase conclusiva del rito funebre, è palpabile tra la folla che riempie la chiesa e chi è rimasto fuori per mancanza di spazio. Una dopo l’altra le sue amiche leggono i pensieri che nei giorni successivi al decesso hanno affollato i loro cuori e le loro menti.

Sono al 90% le stesse parole che si leggono o si ascoltano in casi simili: cielo, stelle, cuore, amore, per sempre, ogni giorno, destino…; l’amica è stata fonte di gioia e affetto ineguagliabili, un essere umano meraviglioso e amabilissimo, i difetti e i limiti erano un niente se paragonati al resto, i ricordi sono indimenticabili, le esperienze vissute hanno indissolubilmente segnato la vita che c’è stata e tutta quella che verrà, l’aiuto ricevuto non sarà mai paragonabile a nessun altro, lo strazio della perdita resterà sempre dentro.

Non si tratta, ovvio, né di valutare né di mettere in discussione quello che ognuno di noi sente e pensa quando vive un lutto; ma è altrettanto ovvio che le parole che utilizziamo per esprimere quello che ci accade fanno la differenza. E la fanno nella misura in cui sono più o meno cor-rispondenti alla nostra personalissima vita interiore. Narrare ad esempio il dolore intimo con un linguaggio che è lo specchio fedele (o il più fedele possibile) di ciò che proviamo, significa riuscire a definirsi, a dare confini e caratteristiche al tormento e iniziare così ad affrontarlo.

Purtroppo è ancora molto presente in Italia un pensiero magico che attribuisce totale verità, assoluta immodificabilità a ciò che una persona in lutto narra scrivendo o parlando, come se da un lato fosse mancanza di rispetto per il suo dolore aiutarlo a trovare espressioni che comunicano con più precisione ciò che vive e dall’altro sostanzialmente inutile perché le parole sono, appunto, solo parole. Sperimento direttamente invece, da alcuni decenni, quanto una vera, precisa, dettagliata, approfondita scelta dei termini che si usano per raccontare, e quindi raccontarsi, durante il lutto crei una reale possibilità di cambiamento. Ciò che può fare la differenza è la correlazione tra vissuto e linguaggio che deve essere appunto vero, preciso, dettagliato e approfondito non per chi lo riceve ma per chi lo esprime.

Quando la forma, che tutto è meno che involucro, prima somiglia poi coincide con le emozioni profonde, può diventare poi un’opportunità importantissima per ridefinire la personale condizione senza la persona amata e attivare una riprogettazione esistenziale.

Ma perché tutto questo accada, serve interagire con il linguaggio che la persona in lutto utilizza considerandolo passibile di modifiche e approfondimenti.

Non posso più sentirti, non posso più vederti, non posso toccarti, dichiara a voce alta una delle sue amiche dal pulpito continuando a leggere quello che aveva scritto per l’occasione.

E allora cosa posso fare perché tu non te ne vada da me? Me lo sono chiesta tante volte in questi giorni, continua, e ho capito una cosa: posso vivere io la vita al posto tuo.

Dopo queste frasi ho visto nettamente dal fondo della chiesa dove avevo trovato posto, la reazione della folla che gremiva ogni spazio: teste che improvvisamente si alzavano, un’aggiunta di silenzio al silenzio già imperante, coppie e amici vicini che si toccavano lievemente e si scambiavano sguardi complici; all’esterno poi, in attesa dell’uscita della bara, quell’espressione era diventata il primo argomento di scambio. Ecco, a volte basta davvero poco: parole cor-rispondenti, sostantivi, aggettivi e verbi che restituiscono ciò che si sta provando e/o si desidera che accada perché, in queste come in tante altre situazioni della vita meno dolorose, si apra una sorta di nuova visuale, all’inizio incerta, appena accennata ma che può diventare in seguito una méta da perseguire.

Nella pratica però è molto più complesso da realizzare: ci sono pregiudizi e ostacoli di natura intellettuale, abitudini radicate dall’esperienza individuale, regole sociali non scritte assolutamente attive in tanti di noi che convergono tutte verso un unico centro: quello che una persona esprime durante la sofferenza è intoccabile, sacro, immodificabile.

Eppure esiste un’altra strada da perseguire: avvalersi delle situazioni che si incontrano nella vita, impegnarsi in un’attività costante di sensibilizzazione, creare occasioni formative, diffondere con strumenti diversi l’importanza e la straordinarietà di un approccio specifico al linguaggio che non si rifugia, come purtroppo accade, nelle analisi generiche, non si esaurisce nelle riflessioni esistenziali di natura filosofica, antropologica e sociale, non si limita a registrare e analizzare i fenomeni ma cerca di appartenere totalmente e fedelmente al suo proprietario. Perché il linguaggio, quando è la reale e certa espressione di ciò che siamo e vogliamo che accada, non solo consente alla sofferenza di evolversi ma incentiva e sostiene le azioni concrete da mettere in campo per continuare a vivere, non a sopravvivere.

Opporsi al pensiero magico, cioè al tabù che impedisce di intervenire sul linguaggio di chi soffre, è certamente arduo e per molti versi di scarsa efficacia immediata se paragonato a ciò che è dominante, ma ne vale la pena; vale la pena, con tutte le conseguenze annesse, dedicarsi a ciò che aiuta l’amore ad esserci quaggiù.

Cosa ne pensate?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2023/04/1456010_478369402277966_493360419_n-e1680518327498.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2023-04-03 12:41:002023-04-03 12:41:00Il pensiero magico e le parole immutabili nel lutto, di Nicola Ferrari

A che punto siamo con la negazione della morte? Seconda puntata, Il lutto, di Marina Sozzi

14 Dicembre 2018/11 Commenti/in Aiuto al lutto, Riflessioni/da sipuodiremorte

Prendo spunto da una lettera pubblicata recentemente su Famiglia Cristiana. Il titolo era: Mandata in vacanza per nascondere la morte di papà. È la storia di una famiglia che ha subìto la grave perdita di un giovane padre, morto in un incidente in montagna. La bambina è stata allontanata da casa e inviata da amici, per tenerla distante dal momento doloroso dei riti e della disperazione. Ora la bimba tornerà a casa, ignara, non troverà più il padre, e la madre, devastata dal lutto, non sa come parlare alla figlia. La lettera era di un’amica di famiglia, che chiedeva consiglio ad Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta.  C’è infatti spaesamento sul comportamento da tenere in tragedie come questa, e l’esigenza di affidarsi a competenze psicologiche. Abbiamo delegato la gestione della morte alla medicina, e quella del lutto alla psicologia.

La bella risposta di Pellai è riassumibile in queste parole: “La mamma deve progressivamente sentirsi in grado di far arrivare alla sua bambina il messaggio: anche se ci è successa una cosa bruttissima, io e te abbiamo un futuro. La vita rimane aperta davanti a noi.”

Su questa storia triste resta però un’analisi da fare che non è psicologica: dobbiamo riflettere sulla difficoltà che abbiamo a condividere il dolore, la morte, il lutto, in famiglia e nella maggior parte degli ambienti sociali. La cosa che più colpisce è che sia stato ritenuto giusto impedire a questa bambina di salutare suo padre e di piangere insieme a sua madre, a causa di un malinteso sentimento di protezione, che forse ha creato a quella bimba ancora più sofferenza.

Ciò che ci interessa, però, al di là del caso specifico, è che lo spettacolo della morte sia ancora troppo spesso pensato come impossibile da sostenere, per gli adulti e a maggior ragione per i bambini. La situazione non pare migliorata negli ultimi vent’anni, a causa forse del processo di frammentazione sociale, o forse dei martellanti valori della nostra epoca, benessere, dinamismo, giovinezza, salute, spensieratezza.

Chi subisce una perdita continua a sentirsi molto isolato. Le relazioni precedenti spesso si allentano, e solo talvolta accade di costruirne di nuove. Tuttavia, chiedere aiuto è difficile, sia perché menzionare il tema della perdita è poco accettato, sia per il diffuso ritegno ad ammettere di non riuscire a superare da soli lo sconquasso che il lutto porta nella vita. Peraltro, l’aiuto disponibile è scarso, assente in molte realtà del nostro paese. Le poche associazioni che si occupano di sostegno al lutto, con gruppi condotti o di auto mutuo aiuto, difficilmente sono finanziate e non sempre riescono a offrire risorse di qualità. Erroneamente, i progetti sul lutto sono ritenuti a scarso impatto sociale sia dagli enti pubblici sia dalle fondazioni di erogazione. Eppure, non si tratta solo del dolore individuale (e non sarebbe irrilevante), ma di giornate di lavoro saltate, di maggiori rischi per la salute, di grave solitudine soprattutto per molti anziani.

Il nostro disagio nei confronti del lutto si rende evidente anche attraverso l’assimilazione del lutto a una patologia: chi non riesce a tornare al lavoro si fa scrivere dal suo medico un periodo di mutua (che è un’istituzione che copre gli episodi di malattia); il lutto è stato inoltre inserito nel DSM, ossia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. E, secondo uno dei paradossi da cui è attraversata la nostra cultura, il dolente viene visto come un malato, ma nulla viene fatto per prevenire i lutti bloccati o patologici.

C’è chi sostiene, come ad esempio Marzio Barbagli (Alla fine della vita), che oggi l’elaborazione del lutto avvenga attraverso i social network e i siti dedicati. Davide Sisto (La morte si fa social) si interroga sul significato e sull’utilità delle comunità virtuali di sostegno, e con cauto ottimismo segnala il forte incremento delle interazioni, sulla pagina Facebook dei dolenti, di messaggi volti a sostenerli.

Dal mio punto di vista, pur cogliendo questi segnali che provengono dal mondo virtuale, occorre comprendere perché si riesca a manifestare vicinanza a una persona in lutto solo da dietro lo schermo del proprio computer o smartphone, e che si provi invece un forte senso di inadeguatezza (cosa gli dico, come mi comporto?) quando si incontra per strada quello stesso dolente al quale si sono scritte parole di cordoglio e supporto.

Il fenomeno di una comunicazione che passa soprattutto attraverso il web e i social network è, mi rendo conto, generalizzato, e non è certo applicabile solo al lutto. E’ vero senz’altro che queste iniziative online possono essere utili, come succedanee delle comunità reali che si sono frantumate e non funzionano più. Purtroppo, nel dolore, nella solitudine di chi ha perso un congiunto, la modalità virtuale non è sufficiente, perché, al contrario, ciò che aiuta è la presenza fisica degli altri, i loro visi e sorrisi, il tempo dedicato, le emozioni, il contatto.

Occorre, probabilmente, un nuovo codice comunicativo, una sorta di nuovo galateo, che permetta agli individui l’incontro con chi soffre nella società reale, e riduca il timore di essere fuori luogo o di non avere nulla da dire. Bisogna infrangere l’idea che la sofferenza non sia affrontabile, sia esorbitante le capacità umane, perché tutti possano averne meno paura, e trovare un modo per stringersi l’un altro nella cattiva sorte, come richiede la nostra stessa storia evolutiva.

Cosa ne pensate? Vi è capitato di sentirvi particolarmente soli dopo una perdita? Avreste desiderato maggiore vicinanza dai vostri familiari o amici? Utilizzate molto i social network per fare le condoglianze? E per parlare del vostro lutto?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/12/donna-con-bambina-copia-e1544721271905.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-12-14 10:25:262018-12-14 10:25:26A che punto siamo con la negazione della morte? Seconda puntata, Il lutto, di Marina Sozzi

Il dolore non va in vacanza. Intervista a Enrico Cazzaniga, di Marina Sozzi

2 Agosto 2018/5 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Enrico Cazzaniga è psicologo e psicoterapeuta, esperto di tematiche del lutto, fondatore di molti gruppi di Auto Mutuo Aiuto sul lutto in Italia e in Canton Ticino, autore, tra gli altri, di un prezioso testo che tratta tutti gli aspetti del lutto e della perdita, intitolato Il lutto. Gli chiediamo di aiutarci a capire perché, per chi ha perso una persona cara, sia così difficile affrontare l’estate.

Quali sono secondo te le ragioni di questa difficoltà che viene ad aggiungersi al dolore?

Intanto una premessa. Vivere il lutto oggi, più di ieri, è difficile per la perdita dei rituali collettivi e l’impoverimento della rete relazionale d’appartenenza, ottimi contenitori del dolore e preziosi sostegni alla quotidianità di chi, spesso, si ritrova con la vita completamente stravolta. E, d’estate, le relazioni sono ancora più allentate del solito. Anche per il solo fatto che molti parenti, amici e vicini vanno in vacanza.

Quindi in primo luogo c’è la solitudine. E poi?

L’estate rappresenta per la maggior parte degli italiani un momento di stacco dalla vita quotidiana, di fuga dalla “normalità” e dalla routine, quel momento che quasi tutti aspettano per rilassarsi, distrarsi, riposare e rinvigorirsi in previsione del ritorno al lavoro e/o alla vita in città.
Il tempo del lutto è invece un tempo “speciale”, intriso di dolore, almeno inizialmente, spesso ancora più arduo poiché si fatica a riconoscerlo come tale, a permettersi di soffrire. E’ un tempo in cui ci si è lasciati alle spalle la vita che ci è familiare, e ci si ritrova immersi in una esistenza che non si riconosce più, e che spaventa, soprattutto se si guarda al futuro. Per le persone in lutto la routine non esiste (se non nella dimensione del dolore). Sono due modi completamente diversi di vivere il tempo, che accentuano la solitudine di chi ha perso una persona cara.
Inoltre, l’estate talvolta acuisce i sentimenti di tristezza legati alla perdita: spesso è infatti gravata anche dai ricordi del tempo di vacanza trascorso con la persona che non c’è più.

Quindi è difficile pensare che una persona in lutto possa distrarsi dal dolore?

Dal dolore del lutto ci si distrae generalmente, durante l’anno, con quelli che ho definito “i grandi distrattori”, cioè il lavoro, lo sport, i nipotini, gli hobby eccetera. E questi d’estate vengono meno. Non è poi infrequente che ci sia un’istanza sociale, e anche familiare, che richiede a chi è in lutto tempi più veloci di costruzione di una nuova dimensione esistenziale. E d’estate questa richiesta si fa più pressante ancora, e chi soffre per una perdita spesso si sente “assediato” dai consigli forniti da chi parte per le vacanze.

Esiste qualche strategia per vivere meglio questo periodo dell’anno, che a volte diventa arduo per diversi anni consecutivi dopo la perdita?

Il lutto non ha solo una dimensione temporale, ma anche spaziale. I “luoghi” del lutto sono importanti quanto il tempo del lutto. Molti preferiscono rimanere a casa e, a volte, sentono che la tristezza aumenta; ma possono anche scoprire, paradossalmente, che proprio dalla solitudine può giungere un insperato aiuto. Dipende a che punto si è con quella che definirei “la dimensione spazio-temporale del lutto”. Ricordo, per spiegare cosa intendo, una donna che mi raccontò che la solitudine vissuta quell’estate (tre settimane in totale) le fu di grande aiuto per “toccare il fondo” e, a livello emotivo, sentire che suo marito non c’era proprio più. Prima di allora era stata “saturata” dalla presenza di amici e familiari, che non le aveva consentito di realizzare che lui non c’era “veramente” più. Era come se, dalla morte del marito in poi, non avesse più avuto un tempo e uno spazio per rimane sola con se stessa. Fu solo allora che riuscì a cominciare a ricostruire la propria vita.
A chi invece decide di partire potrebbe succedere di vivere momenti difficili, se avvertirà una discrepanza tra il tempo della vacanza, che dovrebbe essere lieve, e il peso della mancanza. Tuttavia, i momenti difficili potrebbero alternarsi con altri percepiti come buoni e costruttivi. Tornare nei luoghi vissuti con chi non c’è più può avere effetti ambivalenti: per alcuni versi può facilitare il manifestarsi della nostalgia (sentimento importantissimo che permette la chiusura del lutto), ma per altri versi, in alcuni momenti, potrebbe acuire il dolore dell’assenza.
Penso che non ci siano approcci strategici al lutto. L’unica cosa da tenere presente è che il lutto richiede tempo e luoghi adeguati per poter fare, come ha scritto Philippe Forest, il “sacrificio” del lutto.

Cosa possiamo invece fare come familiari o amici di chi è in lutto, per evitare che l’estate si trasformi in un incubo?

Familiari e amici dovrebbero rispettare i tempi di chi è in lutto, senza forzare chi non ha nessuna intenzione di divertirsi per forza. Allo stesso modo occorre rispettare la scelta dei luoghi del lutto, sostenendo i propri cari e accogliendo la loro decisione del dove vivere questo periodo. Ho conosciuto persone in lutto che d’estate vanno più spesso al cimitero…
È importante mantenere i contatti, anche telefonicamente, per far sentire la propria vicinanza.
Un utile aiuto d’estate può arrivare anche dai gruppi AMA (Auto Mutuo Aiuto). Spesso i gruppi in estate si fondono (nella nostra zona da una decina di gruppi se ne costituiscono 4/5) perché molte persone vanno in vacanza. Capita però che diverse richieste di contatto arrivino proprio in questo periodo, specie nelle grandi città. Il dolore non va in vacanza.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/08/Depositphotos_3232862_s-2015-e1533213598681.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-08-02 14:47:092018-08-02 14:47:09Il dolore non va in vacanza. Intervista a Enrico Cazzaniga, di Marina Sozzi

Stare vicini a chi è in lutto, di Marina Sozzi

30 Ottobre 2017/16 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Elderly Woman and pictureIl lutto è un momento di cambiamento difficile, forse l’esperienza più dura di fronte alla quale si trova un essere umano. E’ un tempo rischioso: il legame profondo e costitutivo che ci lega alle altre persone implica il pericolo di smarrire noi stessi perdendo chi ci è caro. Al contempo, il lutto è un periodo potenzialmente fecondo, come tutte le situazioni che richiedono un cambiamento importante, una riflessione e una revisione della propria vita, delle proprie priorità, delle proprie relazioni e delle proprie scelte.

Vivere nella società occidentale non è di aiuto a chi è in lutto. La nostra cultura ha provato a eliminare la sofferenza (in generale) e la sofferenza legata al lutto in particolare. Richiede a chi ha subito una perdita di fare in fretta a risolvere il proprio lutto e stare di nuovo bene, tornare a produrre e soprattutto a consumare. Sul lavoro si possono prendere tre giorni per lutto, poi – se non è ancora possibile tornare a lavorare – occorre mettersi in mutua. E, dal punto di vista simbolico, mettersi in mutua significa essere malati.
La maggior parte dei riti legati alla morte sono scomparsi, soprattutto nello spazio urbano. La nostra civiltà non elabora, non riflette, non inventa rituali e usanze sociali sull’esperienza della morte, e ha relegato nell’interiorità dell’individuo la difficoltà del lutto. Il dolore per la perdita è diventato un problema interno alla psiche degli individui, che coinvolge solo in minima parte le reti sociali dei cittadini. La psicologia ha avuto in gestione il lutto, così come alla medicina è stato delegato il trattamento della fine della vita.

Non stupisce quindi che la maggior parte delle persone in lutto si trovino in una profonda solitudine, poco accolte, poco accettate da una cultura imbarazzata dal dolore umano e ancor più dalla morte.
Questa è la ragione per cui si è creata l’esigenza di offrire strategie per sostenere chi è in lutto.

La proposta di aiuto si sta diffondendo, anche se solo a macchia di leopardo sul territorio italiano (se vi interessa approfondire, andate qui). Gruppi di Auto Mutuo Aiuto, gruppi condotti da un terapeuta, colloqui individuali, anche via Skype, metodi basati sulla narrazione o sulla corrispondenza, blog o forum. Chiedere un aiuto strutturato o professionale, quando si soffre per una grave perdita, può essere decisivo. Siamo animali sociali e non siamo fatti per risolvere complessi cambiamenti esistenziali in solitudine.

Inoltre, non va sottovalutato l’aiuto che proviene dal nostro entourage amicale e sociale. Se riuscissimo a mettere da parte il disagio e il timore di essere invadenti, per stare vicini a chi ha perso un familiare nella nostra cerchia, eviteremmo di creare in lui la sensazione dolorosa di essere schivato e allontanato, che lo induce a ripiegarsi su se stesso.
Come? In primo luogo offrire il nostro ascolto e la condivisione dei ricordi concernenti il defunto, talvolta la narrazione reiterata della morte: un sostegno emotivo empatico, che deve però saper continuare nel tempo. E’ frequente oggi che tutti si stringano intorno al sopravvissuto subito dopo il funerale, per poi prendere le distanze. Un tempo esisteva, nei primi giorni e settimane dopo la morte, il cónsolo, ossia l’usanza di portare cibo a casa del defunto, affinché i familiari potessero nutrirsi, anche se non avevano la forza di occuparsi di sé.

Anche oggi questo tipo di sostegno pratico è particolarmente gradito. Non solo preparare una torta o una cena, ad esempio, ma anche aiutare a sbrigare burocrazie, informarsi sul sostegno disponibile, telefonare a istituzioni e associazioni: nella maggior parte dei casi chi è in lutto si sente spossato e privo di energia, e fa fatica a prendere iniziative.

Occorre anche rispettare i tempi del dolente, senza spingerlo ad abbreviarli troppo, evitando le frasi fatte, tipo “il tempo guarisce tutto” o “chi vive si dà pace”. Evitare di dare consigli, specialmente sul processo e sui tempi di elaborazione del lutto, e in generale limitarsi a suggerimenti esplicitamente richiesti. La relazione d’aiuto che si viene a creare in questi casi è particolarmente preziosa e arricchente, sia per chi ha subito la perdita, sia per chi offre la sua disponibilità.

Avete esperienze in merito, sia per lutti che avete vissuto, sia per l’aiuto che avete dato a vostri amici o parenti? Potete raccontare le difficoltà che avete incontrato? Di cosa avreste avuto bisogno?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2017/10/IMG_1602-e1509295763121.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2017-10-30 11:02:422017-10-30 11:02:42Stare vicini a chi è in lutto, di Marina Sozzi

Il lutto perinatale è un vero lutto? di Erika Zerbini

28 Novembre 2016/1 Commento/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

24apr-perdita-figlio-1932-photo-from-webRiceviamo questa importante testimonianza da Erika Zerbini, e ci fa piacere suggerire il suo blog sul luttoperinatale, “ovvero sul lutto”, come scrive Erika.

Il lutto perinatale è un dolore profondo causato dalla morte di un figlio, avvenuta durante i mesi della sua attesa o nel primo periodo dopo la sua nascita. E’ un’esperienza che ho affrontato due volte e che ho avuto bisogno di esplorare a fondo.

“Mi dispiace, il battito non c’è più”. In genere è con queste parole che è dato l’annuncio della morte. Una frase che ho compreso essere ormai di rito in queste circostanze. Non è pronunciata la parola morte. Non è pronunciata la parola figlio, né mamma, né papà, inesistente la parola famiglia.

Sulle prime è un colpo durissimo, come se si venisse fisicamente percossi ripetutamente, fino in fondo all’anima. Stordimento, vertigine, disorientamento, sono le iniziali sensazioni che ho avvertito. “E ora?”, la prima domanda che ho posto. Mia figlia era nel mio grembo da 21 settimane, non mi restava che partorirla, così come era. No, non partorirla in effetti, piuttosto espellerla. Ho atteso tre giorni per poter espellere il materiale abortivo, intanto ho portato in giro una pancia piena di morte: sono stata una tomba.

Lo stordimento del principio è diventato il dolore acuto e potente delle ossa rotte dopo le botte. Finché mia figlia è uscita da me in una sala parto vera, mentre mio marito mi teneva la mano e l’ostetrica l’aspettava là, con le braccia pronte, lo sguardo attento e la testa che spuntava fra le mie ginocchia.

Il giorno seguente siamo usciti da soli dal luogo in cui la vita nasce, mentre la nostra era svanita. “Dove la metto?”, me lo chiedevo mentre mi aggiravo fra le stanze della mia casa. “Tutto questo silenzio, queste cose che non servono più a nessuno, questo corpo che non ha saputo far vivere, questo figlio che non c’è più… ma questo figlio c’è mai stato?”

Ho cercato sul web una traccia di quel che ci era accaduto, speravo di trovare una formula scaccia dolore. Ho trovato queste due parole: lutto perinatale. Un vero e proprio mondo a parte, fatto di figli speciali e madri speciali; giorni del ricordo che scorrono sulle home page, nuovi figli, detti arcobaleno, che portano in loro lo scotto del lutto. Non un lutto qualunque, bensì il lutto perinatale. Un lutto particolare che viene da una morte indicibile, irraccontabile, per i più inesistente.

In effetti una morte con alcune peculiarità: è la morte di un figlio che non è nato, o se è nato non è vissuto, o se è vissuto lo ha fatto per talmente poco tempo che la società non lo ha ancora investito dello status di figlio vero. E’ una morte che talvolta avviene dentro: dentro il corpo della mamma. Un corpo che tradisce, una madre che non assolve al suo compito, una donna che perde il suo valore perché non sa fare ciò per cui è nata.

E’ una morte che non ha le parole della morte, forse sembra che usando le parole della morte si procuri perfino più dolore. Così questa morte assume le parole della malattia: va risolta, guarita. Ed è sistemata quando la donna esce dall’ospedale senza il corpo estraneo che poteva mettere in pericolo la sua esistenza. Quando in verità una famiglia esce dall’ospedale mutilata nel suo intimo e nella sua struttura.

Quale fatica è stata concederci di abbandonare noi stessi al dolore che provavamo. Un dolore incompreso, solitario, invisibile. Quale fatica è stata concederci di accedere al percorso della morte e i suoi riti, per i quali abbiamo dovuto fare precisa richiesta, come se stessimo usurpando la scena ai decessi, quelli veri. Quale fatica è stata, per noi, mettere insieme le sensazioni e in atto i gesti, per poi scoprire che tutti quei gesti hanno permesso alle sensazioni di fluire e ci hanno condotto verso la ricostruzione della nostra famiglia mutilata, eppure viva, poi addirittura speranzosa, ancora dotata del coraggio e la spinta vitale necessari per proseguire nella nostra esistenza con piena soddisfazione.

Offrire a questa morte le parole della morte significa legittimare la vita di quel figlio, il dolore della sua famiglia e riconoscerle il diritto di essere in lutto. Il percorso del lutto prevede delle tappe, è preludio di trasformazione, porta con sé il valore del tempo necessario per compiere il suo percorso. Offrire a questa morte le parole della morte, significa legittimarla al lutto, significa che l’aggettivo perinatale non lo ha infine snaturato: si tratta di un lutto vero.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2016/11/19-luglio-p.-7-julia-krahn-mutter-2009-e1480241091985.jpeg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2016-11-28 08:57:092016-11-28 08:57:09Il lutto perinatale è un vero lutto? di Erika Zerbini

Lutto e Narrazione Guidata: una metodologia innovativa.

23 Settembre 2013/7 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

C’è una domanda che mi capita di pormi, quando qualcuno intorno a me perde una persona cara, e constato che le reazioni individuali sono spesso molto diverse. Perché alcune persone sono resilienti, e riescono a far fronte con stoicismo e serenità al loro lutto, e altre precipitano in un malessere profondo e hanno bisogno d’aiuto per superare il sentimento di perdita?
Propongo il mio interrogativo a Nicola Ferrari, psico-pedagogista che anima, dal 1986, l’associazione Maria Bianchi, che ha lo scopo di sostenere gli individui in lutto e di formare il personale curante su questi temi.
Nicola Ferrari sostiene che dal 1986 a oggi la richiesta di aiuto è molto cresciuta in Italia, e che la capacità di convivere col dolore per la perdita non è molto diffusa: non siamo abituati a immaginare di affrontare la vita senza i nostri affetti. La resilienza si attiva, invece, in un secondo momento, quando si riesce a comprendere che la sofferenza esiste, ma si può decidere cosa farne, non è ineluttabile lasciarsene sommergere. Allora, cambia l’esperienza della perdita.

Chi sono coloro che si rivolgono a voi?
In genere, il 60, 70% delle persone che arrivano all’associazione sono reduci da un’altra esperienza di supporto, che non è stata efficace. Capita non di rado che alcuni abbiano già intrapreso senza successo una terapia psicologica o psicoanalitica.
Inoltre, vedendo chi sono i nostri utenti, dobbiamo sfatare il mito secondo cui ha bisogno d’aiuto chi non è sostenuto dalla famiglia o chi viene abbandonato dagli amici. Viceversa, anche gli individui con congiunti amorevoli e amici capaci di vicinanza hanno l’esigenza di un aiuto esterno. Evidentemente, cercano qualcosa di diverso nel supporto che chiedono alla nostra associazione: probabilmente desiderano cogliere il significato del dolore che provano.

Come aiutate i dolenti?
Utilizziamo tre strategie, a seconda delle esigenze di chi è in lutto: gli incontri individuali, i gruppi di auto mutuo aiuto e il servizio di corrispondenza. Questi tre modi hanno una logica comune, s’ispirano a un unico modello d’intervento che è quello della Narrazione Guidata. Le persone in lutto raccontano la loro storia e trovano in primo luogo un ascolto attento e attivo, empatico. Poi, gradualmente, sono guidate a riflettere sulla narrazione che loro stessi hanno fatto, sui termini che hanno utilizzato e sul loro preciso significato. E’ quasi un’analisi linguistica. Nella ricerca del termine che corrisponde puntualmente all’emozione, trovano la verità di ciò che sta loro accadendo.

Un esempio?
Quando un dolente dice di provare un dolore “infinito”, si può ad esempio chiedergli che cosa intenda per infinito. “E’ piuttosto un dolore illimitato, ossia ti sembra che non debba mai finire? O è molto esteso, nel senso che occupa la tua vita in ogni suo aspetto?” La migliore definizione dei termini lo aiuta a cogliere cosa prova. E’ una chiave di volta per iniziare a modificare il punto di vista sul proprio dolore, a smettere di subirlo e a trasformare la riflessione linguistica in azione.

Come avviene la narrazione nel servizio Cor-rispondenze?
Avviene quasi completamente tramite internet anche se è possibile utilizzare lo scambio tramite lettera postale. Vi sono sei operatori esperti che rispondono alle mail. Far “risuonare” interiormente il dolore altrui, trasmetterlo e condividerlo con parole scritte, può aprire una via e favorire, in chi vive un lutto, un tentativo di riconciliazione con se stessi, con la vita e con la persona perduta per sempre. Si crea e condivide insieme uno spazio dove il cambiamento esistenziale diventa possibile.

Avete buoni risultati?
In genere i feedback che ci arrivano sono positivi. Aiutiamo circa 130/150 persone l’anno. Quando rimaniamo in contatto con i nostri ex utenti, ci rendiamo conto che parlano del congiunto che hanno perduto anche sorridendo. Purtroppo molte persone non riescono ad ammettere di essere in difficoltà, e così preferiscono soffrire piuttosto che accedere all’aiuto che avrebbero a portata di mano.

Come lavorate? Avete finanziamenti?
Lavoriamo tutti gratuitamente, come volontari, e spesso mettiamo anche denaro nostro nell’associazione. Le uniche entrate sono le quote associative, gli eventi di raccolta fondi, il 5xmille, che servono a nutrire la mediateca, che nella nostra sede di Suzzara, vicino a Mantova, mette a disposizione gratuitamente al pubblico a tutt’oggi ca. 1000 libri, 100 DVD, numerosi atti e dispense, tutti sul tema del lutto e della relazione d’aiuto.

Avete altri progetti?
Stiamo pubblicando un libro sul servizio Cor-rispondenze, che uscirà presto in formato e-book: un saggio che contiene gli aspetti teorici, metodologici e numerose semplificazioni di cor-rispondenze già terminate. Sarebbe un modo per diffondere la metodologia della Narrazione Guidata.

Ringraziando il dottor Ferrari, vi invito a andare a dare un’occhiata al sito: www.mariabianchi.it, dove troverete maggiori dettagli sul tema del lutto, sul modo di affrontarlo proposto dall’associazione e su come accedere all’aiuto offerto dall’associazione Maria Bianchi. E, se posso suggerirvi un gesto simbolico, iscrivetevi, credo che valga la pena dimostrare il nostro sostegno a chi fa volontariato per ridurre l’altrui sofferenza.
Un’ultima domanda a voi: che ne pensate di questa metodologia della Narrazione Guidata, anche per corrispondenza? La suggerireste a un vostro amico o parente in lutto?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2013/09/images1.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2013-09-23 16:12:062013-09-26 13:16:25Lutto e Narrazione Guidata: una metodologia innovativa.

Vuoi sapere quando scrivo un nuovo articolo?

Iscriviti alla nostra newsletter!

Ultimi articoli

  • Cosa ci dicono gli eufemismi che usiamo per parlare della morte? di Marina Sozzi
  • Il Network italiano sulla Morte e l’Oblio: un’intervista a Giorgio Scalici, di Cristina Vargas
  • Abbiamo bisogno di una pedagogia della morte? di Marina Sozzi
  • Le app per il lutto: opportunità o rischio? di Davide Sisto
  • La morte nel Buddhismo e la spiritualità nei contesti ospedalieri, di Cristina Vargas

Associazioni, fondazioni ed enti di assistenza

  • Associazione Maria Bianchi
  • Centre for Death and Society
  • Centro ricerche e documentazione in Tanatologia Culturale
  • Cerimonia laica
  • File – Fondazione Italiana di leniterapia
  • Gruppo eventi
  • Soproxi
  • Tutto è vita

Blog

  • Bioetiche
  • Coraggio e Paura, Cristian Riva
  • Il blog di Vidas
  • Pier Luigi Gallucci

Siti

  • Per i bambini e i ragazzi in lutto

Di cosa parlo:

Alzheimer bambini bioetica cadavere cancro cimiteri coronavirus Covid-19 culto dei morti cura cure palliative DAT Death education demenza dolore elaborazione del lutto Eutanasia Facebook felicità fine della vita fine vita formazione funerale hospice living will Lutto memoria morire mortalità Morte morti negazione della morte pandemia paura paura della morte perdita riti funebri rito funebre social network sostegno al lutto suicidio Suicidio assistito testamento biologico tumore vita

  • Privacy Policy
  • Cookie Policy
  • Copyright © Si può dire morte
  • info@sipuodiremorte.it
  • Un Progetto di Marina Sozzi
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/06/eufemismi.jpg 265 353 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-06-12 10:01:532025-06-12 10:01:53Cosa ci dicono gli eufemismi che usiamo per parlare della morte? di Marina Sozzi
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/05/congresso.jpg 265 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-05-30 09:39:452025-06-04 09:32:41Il Network italiano sulla Morte e l’Oblio: un’intervista a Giorgio Scalici, di Cristina Vargas
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/05/clessidra.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-05-16 10:59:552025-05-16 10:59:55Abbiamo bisogno di una pedagogia della morte? di Marina Sozzi
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/05/evidenza.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-05-05 10:39:252025-05-05 10:39:25Le app per il lutto: opportunità o rischio? di Davide Sisto
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/04/kisa.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-04-18 10:11:012025-04-18 10:15:55La morte nel Buddhismo e la spiritualità nei contesti ospedalieri, di Cristina Vargas
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/03/Carl_Wilhelm_Huebner_-_The_Mourning_Widow_1852_-_MeisterDrucke-569456-copia.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-04-02 11:17:302025-04-02 11:17:30Il lutto della vedova, ieri e oggi, di Marina Sozzi
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/03/foto-evidenza.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-03-24 09:10:252025-03-24 09:11:32Quando la musica e il canto sono al centro del rito funebre, di Cristina Vargas
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/03/reddit.png 265 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-03-08 09:43:542025-03-07 15:35:21Reddit e le comunità online sul lutto, di Davide Sisto
https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2025/02/toscana.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2025-02-17 10:55:232025-02-17 10:57:34La legge toscana sul suicidio assistito. Intervista a Francesca Re, di Marina Sozzi
Prec Prec Prec Succ Succ Succ

Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto Scorrere verso l’alto
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkLeggi di più