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Tag Archivio per: Facebook

Eredità digitale: come conservare la memoria dei nostri cari defunti? di Davide Sisto

17 Dicembre 2024/0 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Durante l’ottobre 2024 quotidiani e riviste scientifiche, nazionali e internazionali, hanno commentato una notizia piuttosto inquietante. Nel cuore di una notte l’americano Drew Crecente ha ricevuto sul proprio smartphone la notifica di una mail. Questa mail è stata inviata da Google Alert, la funzione di Google che il padre ha attivato per essere avvisato ogni volta che sua figlia Jennifer Ann viene nominata online. La ragazza, infatti, diciotto anni prima era stata vittima di femminicidio e il padre ha fondato un’associazione in suo ricordo. Google Alert rende ora noto al padre che la ragazza ha creato un profilo personale su Character AI ed è attiva (!). All’interno di questo sito, l’uomo vede la foto della figlia e una sua breve descrizione: «Jennifer Crecente è un personaggio esperto e amichevole creato con l’AI, che può fornire informazioni su un’ampia gamma di argomenti, tra cui videogiochi, tecnologia e cultura pop». Poco dopo viene aggiunto: «è anche un’esperta di giornalismo e può offrire consigli sulla scrittura e sull’editing». In altre parole, Character AI, startup americana che permette agli utenti di intrattenere relazioni con personaggi di fantasia creati a computer e in grado di conversare in virtù dell’intelligenza artificiale, ha indebitamente utilizzato l’identità di Jennifer Ann per costruire un essere fittizio al servizio delle persone in carne e ossa. Non è stato per niente semplice da parte della famiglia far cancellare la riproduzione artificiale della donna e far ammettere da Character AI il madornale errore commesso, basato su un problematico riutilizzo di dati precedentemente condivisi da una persona defunta da quasi vent’anni.

Questa storia fantascientifica alla Black Mirror non è altro che la punta di un iceberg. Da svariati anni, infatti, chi si occupa di Digital Death sa quanto sia complicata sul piano psicologico ed emotivo, giuridico e sociale la gestione dell’eredità digitale di un morto. Ciascuno di noi condivide ogni giorno enormi quantità di dati personali sui social network, nelle caselle di posta elettronica, nelle applicazioni di messaggistica privata, nei blog e così via. Un recente studio di NordPass ha rivelato che un utente della Rete può arrivare ad avere circa 170 account digitali, ciascuno con le sue specifiche credenziali di accesso. Questa produzione mastodontica di dati è praticamente incontrollabile nella sua totalità, per cui possono capitare vicende distopiche come quella di Jennifer Ann Crecente. Mentre la legge fa fatica a stabilire regole oggettive e trasparenti in merito alla gestione e alla razionalizzazione dell’eredità digitale, ogni utente della Rete dovrebbe, innanzitutto, interrogarsi su cosa fa e su chi è nel mondo online. Dovrebbe, in primo luogo, comprendere che quando si iscrive a un social network stabilisce – di fatto – un prolungamento digitale della propria identità, per cui il suo profilo corrisponde solo a lui. In altre parole, nessun altro può stabilire come gestire i suoi profili social dopo la sua morte. Egli, pertanto, dovrebbe ragionare anticipatamente sul destino post mortem dei suoi resti digitali e, dopo un’attenta riflessione con i propri cari, andare nelle impostazioni di tutti i suoi profili social e prendere una decisione prematura sul loro destino. Ogni social media, infatti, offre delle soluzioni, più o meno ampie, di cosa fare del proprio account in caso di morte: può essere conservato così com’è, si può far chiudere previo invio di un certificato di morte, si possono scaricare i contenuti dell’account sul computer e poi lasciarli in eredità, su Facebook si può scegliere un contatto erede che gestisca i post pubblici, ecc. L’utente dovrebbe quindi, in secondo luogo, ragionare sulla complessa eredità del proprio smartphone. Ci sono stati casi sporadici, anche in Italia, in cui la legge ha stabilito che – per esempio – i genitori di un figlio deceduto o un vedovo/a possono ottenere le credenziali d’accesso dello smartphone e, dunque, ereditare quell’insieme di dati che costituisce ricordi personali preziosi. Il problema, tuttavia, sta a monte: accedere ai contenuti di uno smartphone significa anche accedere alle conversazioni private tenute dal morto. Si possono, dunque, scoprire informazioni che accrescono il trauma del lutto e il cui carattere poco chiaro non può essere spiegato da chi non c’è più. Si possono, poi, leggere informazioni delicate riguardanti altre persone. Se il proprio partner avesse avuto un amante e questa persona gli avesse inviato foto o video compromettenti, questo materiale potrebbe essere utilizzato per una vendetta. Oppure, se un amico del proprio partner gli avesse confessato, per esempio su WhatsApp, un’informazione estremamente personale e delicata, l’erede potrebbe ricattarlo. Le casistiche sono molteplici e, dunque, anche in questo caso occorrerebbe stabilire a priori, con chiarezza e magari in presenza di un notaio, come lasciare in eredità il proprio smartphone, magari proteggendo i contenuti privati con una password. E questo discorso vale per ogni account di cui si è proprietari e che può avere un valore materiale o sentimentale importante sia per chi non ci sarà più sia per i dolenti.

Man mano che le generazioni si succederanno, avremo cittadini la cui vita è completamente digitalizzata, dunque i documenti digitali svolgeranno un ruolo sempre più importante e delicato all’interno del processo di elaborazione del lutto e della conservazione della memoria. Occorre pertanto non sottovalutare l’importanza della propria vita online e fare in modo che società private, intente a trarre guadagno dai nostri dati, non si approfittino della nostra assenza. Non credo ci piaccia pensare di ritrovarci nella situazione di Jennifer Ann.

Cosa ne pensate? Avete cominciato a ragionare sulle vostre eredità digitali? Attendiamo come sempre le vostre risposte.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/12/immagine-eredita-digitale350x265.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-12-17 08:55:382024-12-17 08:55:38Eredità digitale: come conservare la memoria dei nostri cari defunti? di Davide Sisto

Su TikTok il lutto diventa narrazione, di Davide Sisto

24 Ottobre 2024/0 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Negli ultimi anni ho parlato spesso di TikTok, nel nostro blog, in relazione ad alcuni modi di affrontare pubblicamente il lutto e la morte al suo interno (per esempio qui e qui). Al di là delle singole iniziative, ciò che è veramente interessante notare è come questo bizzarro luogo online, per lo più incline ad aderire alle esigenze delle generazioni più giovani, abbia intercettato i comportamenti social degli utenti in merito all’esposizione del lutto, cambiandone in maniera radicale le caratteristiche.

Da quando è cominciata l’epoca dei social media, quindi dai primi anni del Duemila, abbiamo assistito a una collettiva trasposizione online del dolore privato, sia esso frutto di una malattia, di un lutto o di qualche sofferenza psicologica. Da questo punto di vista risulta veramente lungimirante Michael Kibbee, il creatore del World Wide Cemetery nel 1995. Le parole con cui ha presentato trent’anni fa il progetto, tutt’ora online, anticipano con estrema previdenza ciò che sarebbe successo da lì in avanti. E, infatti, soprattutto da quando circa 3 miliardi di persone si sono iscritte a Facebook ci siamo abituati a vedere esposto il dolore privato per una perdita secondo modalità più o meno standard, le quali aderiscono alle prerogative specifiche del social media di Zuckerberg. In altre parole, è la scrittura a essere la protagonista assoluta dell’esposizione pubblica del lutto su Facebook, perlopiù mediata con qualche immagine fotografica o poche registrazioni audiovisive. Inoltre, man mano che la data di morte del proprio caro si allontana diminuiscono i riferimenti specifici alla perdita. Al massimo, le celebrazioni si rinnovano nel giorno dell’anniversario del compleanno, della data di morte o di qualche evento simbolico importante, riportato in auge dalla sezione Ricordi.

TikTok presenta aspetti radicalmente opposti a Facebook. Innanzitutto, è l’algoritmo a determinare ciò che vediamo nella timeline, secondo i gusti personali o gli hashtag digitati. I contatti che creiamo lì dentro non dipendono dalla conoscenza diretta o indiretta delle persone ma dal tipo di contenuto che desideriamo osservare (Gabriella Taddeo, nel libro Social. L’industria delle relazioni, definisce TikTok appunto come “Algorithm driven”). Inoltre, i singoli utenti tendono a trasformare i brevi video, generati utilizzando specifici filtri, contenuti musicali e altro, come tanti singoli tasselli di una narrazione che si estende temporalmente, la quale dà una connotazione specifica a ognuno di loro. In altre parole, l’attivista politico utilizza i singoli video per prolungare nel tempo le sue battaglie, permettendo ai suoi followers di identificarlo più per i temi trattati che per il suo nome e cognome, come avviene su Facebook. Ciò fa sì che svariate centinaia di migliaia di utenti trasformino il lutto patito in una storia che si prolunga nel corso dei mesi o, addirittura, degli anni. Per esempio, è canonica una situazione del genere: l’utente di TikTok ha perso il proprio partner. Allora, decide di raccontare la sofferenza che prova attraverso decine di video giornalieri in cui, in primo luogo, mostra la relazione che aveva con il proprio partner (collage di foto o brevi registrazioni audiovisive relative alla loro vita di coppia); in secondo luogo, spiega come il partner è deceduto; in terzo luogo, descrive il percorso compiuto nei giorni e nei mesi successivi alla perdita. Pertanto, vediamo magari il dolente che fa un viaggio in montagna, il primo viaggio senza la persona amata, e vi è un’alternanza tra immagini paesaggistiche e riflessioni audiovisive sull’esperienza. Oppure, siamo testimoni della ripresa del lavoro dopo il lutto, con video che mostrano le problematicità del nuovo inizio. Vi sono, poi, molteplici casi in cui vediamo dei video in cui l’utente, in lacrime, si congeda dal proprio gatto o cane, prima di portarlo dal veterinario per sopprimerlo. Questo video precede e anticipa le rappresentazioni audiovisive della vita vissuta insieme e, poi, senza il proprio animale domestico, di modo da condividere l’esperienza con gli altri followers.

I casi che si possono osservare sono i più disparati. C’è addirittura chi, utilizzando una serie di espedienti mediatici, riproduce se stesso mentre parla con il proprio caro defunto, che è presente nel video mediante la riproduzione di precedenti video che aveva realizzato nel corso della sua vita.

TikTok ha trasformato, in definitiva, l’esposizione limitata nel tempo del lutto su Facebook in una vera e propria narrazione che si protrae ad libitum. Una narrazione che, in un certo qual modo, rende il singolo follower spettatore più del percorso compiuto dal dolente che dell’impatto immediato del lutto nella sua vita. Anche le interazioni nei commenti, per quanto numerose ed empatiche, risultano secondarie rispetto allo scopo principale, che è di natura rappresentativa, comunicativa o, appunto, narrativa. Siamo nel campo dell’autofiction più che in quello della testimonianza. Ovviamente, non sono pochi coloro che interpretano questo tipo di esposizione del lutto nei termini di una spettacolarizzazione del dolore o di una sua capitalizzazione, soprattutto da parte di chi ha profili seguiti da milioni di followers. Il fenomeno, a mio avviso, è troppo recente per trarre considerazioni oggettive e chiare. Mi sembra, tuttavia, evidente il desiderio di mostrare pubblicamente il percorso più che il mero fatto. Ciò, ovviamente, amplia in modo notevole il carattere sempre più pubblico del lutto. Rende, soprattutto, le generazioni più giovani avvezze a una condivisione narrativa che sgretola, quasi del tutto, il carattere privato della perdita. Ogniqualvolta ne parlo con gli studenti, liceali e universitari, emerge da parte loro una consapevolezza della rappresentazione audiovisiva condivisa decisamente differente rispetto al bisogno di tenere per sé le proprie emozioni ed esperienze. Come sapete, non amo dare giudizi netti su questi fenomeni, ma osservarli.

Mi limito soltanto a cogliere l’accelerazione di un processo: dai due, tre post su Facebook, per ricordare il proprio caro defunto, alla narrazione esposta man mano per giorni, mesi, addirittura anni su TikTok. Sarà curioso capire quale sarà l’impatto di questa metamorfosi sui futuri adulti e anziani, all’interno di una società sempre più tecnologizzata e abituata a una morte social.

Voi cosa ne pensate? Attendiamo i vostri commenti.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/10/lutto-Tik-Tok-copia.png 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-10-24 09:29:202024-10-24 09:29:20Su TikTok il lutto diventa narrazione, di Davide Sisto

“NOI denunceremo”: Facebook come supporto emotivo e archivio storico, di Davide Sisto

20 Aprile 2020/8 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Negli ultimi giorni, su Facebook, l’attenzione generale degli utenti si è concentrata sul gruppo pubblico denominato “NOI denunceremo”. Leggendo le informazioni relative al gruppo, si comprende che la sua nascita è finalizzata a dare visibilità a tutte quelle persone che sono morte in Lombardia, a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. L’obiettivo ultimo è offrire uno spazio pubblico alle storie dei singoli malati, di modo che i loro parenti possano palesare le proprie emozioni e i propri pensieri, anche tenendo conto del fatto di non aver potuto celebrare il rito funebre a causa dell’emergenza. Gli iscritti superano attualmente le trentaduemila unità e ogni giorno sono decine le narrazioni delle vicende personali che si sommano l’una all’altra. In queste narrazioni vengono raccontate nei minimi dettagli tanto l’evoluzione della malattia, dai primi innocui sintomi fino alla morte del malato, quanto le modalità – spesso ritenute inopportune – adottate dagli operatori sanitari durante le varie tappe del contagio. Chi ha il coraggio di addentrarsi all’interno di questo gruppo si ritrova completamente immerso nelle tragedie biografiche di persone appartenenti, perlopiù, alla terza età. Ogni storia è arricchita non solo da una o più immagini dei morti, ma anche dai loro tag, di modo che il lettore possa entrare nel loro profilo Facebook, oltre che interagire nei commenti sotto i post pubblicati. Addirittura, ci sono alcuni utenti che hanno condiviso nel gruppo le registrazioni delle video-chiamate d’addio, l’unica forma di comunicazione consentita tra i malati – isolati e intubati nei reparti di terapia intensiva – e i propri parenti.

L’intenzione degli amministratori è, infine, quella di creare un’associazione vera e propria, gettando un ponte tra la dimensione online e quella offline. Il gruppo “NOI denunceremo”, a prescindere dalla sua principale finalità, sembra a primo acchito la versione italiana del noto sito MyDeathSpace. Via di mezzo tra un cimitero virtuale e un’enciclopedia dei morti, MyDeathSpace raccoglie e archivia da diversi anni le vicende che hanno determinato la morte delle persone comuni, associando a ciascuna di loro una fotografia e il collegamento ipertestuale ai profili social utilizzati. In tal modo, chi entra nel sito viene poi stimolato a osservare con attenzione la vita trascorsa online dai defunti.

Tuttavia, a differenza di MyDeathSpace, il gruppo lombardo si concentra esclusivamente sulle vicende relative al Coronavirus. Rappresenta, pertanto, un prezioso punto di ritrovo virtuale per chi ha vissuto o sta vivendo lo stesso tipo di dolore e di lutto. Lo dimostrano il numero sostanzioso di like che ogni racconto riceve e i tantissimi commenti che seguono. Questi, in particolare, palesano – con enorme trasporto emotivo – la partecipazione collettiva al dolore individuale e a volte approfondiscono le vicende narrate, inserendo particolari tecnici relativi ai ricoveri e al contesto in cui si è sviluppata la malattia. Ci sono, poi, utenti di Facebook che, non vivendo in Lombardia, decidono comunque di comunicare la propria solidarietà per sottolineare, simbolicamente, il fatto che tutta l’Italia si sente coinvolta dal dramma vissuto in quella specifica regione del Nord. Chi si limita invece a leggere, senza intervenire, ha modo di constatare in prima persona le motivazioni dell’emergenza sanitaria, mettendo così in discussione i propri eventuali pregiudizi o ridimensionando l’errato distacco da una epidemia che sente lontana da sé (solo perché vive, per esempio, a centinaia di km di distanza dalle zone più colpite).

Ora, se nel presente “Noi denunceremo” risulta essere un escamotage digitale per aggirare le regole del distanziamento sociale, generando uno strettissimo e partecipato abbraccio collettivo, nel futuro – quindi, una volta che l’attuale incubo sarà superato una volta per tutte – diventerà un utile archivio digitale delle memorie di una comunità letteralmente devastata dal Covid-19. Gli strazianti racconti dei sopravvissuti, plasmati dai post scritti e dalle immagini audiovisive, e i documenti degli ultimi istanti di vita dei contagiati, rappresentati dalle registrazioni delle video-chiamate d’addio, costituiranno – volenti o nolenti – la testimonianza più autentica degli eventi di un periodo storico temporalmente circoscritto. Al punto che molti utenti di Facebook ritengono necessario archiviare in più modalità possibili questo materiale, di modo che non vada perduto nell’eventualità di una rimozione forzata del gruppo o, più in là nel tempo, della chiusura della creatura di Zuckerberg.

Al di là di qualsivoglia considerazione, un gruppo come “Noi denunceremo” porta alla luce le tante opportunità offerte dai social network in epoche complesse come quella che stiamo vivendo. Innanzitutto, l’opportunità data ai diretti interessati di raccontare, di sfogarsi e dunque di denunciare, trovando un benefico supporto collettivo, latente nella dimensione offline. In secondo luogo, l’opportunità data a chi non è coinvolto direttamente di prendere coscienza dell’entità della tragedia in corso, sviluppando così – almeno, si spera – una maggiore responsabilità individuale e una più marcata solidarietà collettiva. Infine, l’opportunità offerta agli storici di disporre di un sostanzioso insieme di documenti, a partire dal quale ricostruire con lucidità e oggettività i fatti di questo terribile 2020.

Quali sono le vostre opinioni in merito? Pensate anche voi che i social network oggi possano svolgere un ruolo importante per affrontare il Covid-19? Attendiamo le vostre testimonianze.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2020/04/pagina-e-gruppo-facebook-1280x720-e1587328200367.jpg 264 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2020-04-20 14:34:422020-04-20 15:25:17“NOI denunceremo”: Facebook come supporto emotivo e archivio storico, di Davide Sisto

“Dovevi fare scudo al gufo con la tua macchina!”: i commenti sui profili social dei morti di Davide Sisto

25 Novembre 2019/5 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Da diversi anni osservo con attenzione, da studioso della Digital Death, i comportamenti degli utenti di Facebook all’interno dei profili di persone a loro sconosciute, il cui nome e cognome è però menzionato sui quotidiani a causa di una sopraggiunta morte violenta. Tra le tante novità apportate dall’utilizzo quotidiano dei social network vi è, infatti, quella di poter entrare nella “casa virtuale” di tutti coloro che, per un motivo o per un altro, finiscono sotto i riflettori dei mass media. Nei casi di una morte violenta, conseguenza di un efferato fatto di cronaca nera, si materializza solitamente sugli schermi dei nostri computer e smartphone la famosa scena finale del film “Bianco, rosso e verdone” di Carlo Verdone: morta la nonna di Mimmo all’interno di una cabina elettorale, le persone presenti in loco, invece di rispettarne la morte, litigano rumorosamente tra loro a proposito della validità del voto che la donna ha espresso prima del suo ultimo respiro. Mentre Mimmo piange e chiede silenzio.

Su Facebook succede più o meno lo stesso. Un esempio per tutti. A metà gennaio 2019 i quotidiani nazionali riportano la notizia della morte di una donna ventenne, travolta da un’automobile mentre tentava di aiutare un gufo in difficoltà. Il suo profilo Facebook è stato immediatamente invaso: a) da coloro che hanno sentito il bisogno di esprimere il proprio dolore, scrivendo il classico “R.I.P.” sotto una fotografia della defunta; b) dagli animalisti che hanno attribuito alla donna un ruolo eroico: ha sacrificato la sua vita per aiutare un animale in difficoltà; c) da coloro che hanno offeso la donna, che ha sacrificato la sua vita per un futile motivo, aiutare un animale in difficoltà. Ne è derivato un duraturo scambio di insulti tra la categoria b) e la categoria c), il quale ha implicato poi l’intervento – con un’altra serie di insulti – di coloro che hanno reputato incivile litigare sul profilo di una donna morta. La cosa deprimente è che nessuno di questi aveva conosciuto la vittima, e nessuno ha pensato al dolore provato dai genitori, dal fidanzato e dagli amici.

Questo è un comportamento che si reitera ogniqualvolta ha luogo un fatto di cronaca nera. C’è chi scrive, sempre sul profilo del morto, che ora è “un angelo in Paradiso” e c’è, ovviamente, chi risponde stizzito: “che ne sai se esiste veramente il Paradiso?” C’è chi, nel caso di un omicidio, elucubra pubblicamente – in uno spazio virtuale non suo – sulle modalità con cui il carnefice ha ucciso la vittima. Ci sono quelli che litigano sul presunto comportamento incauto del morto, se la fine della sua vita è legata – per esempio – a un incidente stradale. Centinaia sono state, a questo proposito, le condivisioni del video che due ragazzi italiani hanno realizzato in automobile, prima di morire in un incidente dovuto all’eccessiva velocità. Condivisioni accompagnate da sfottò, rimproveri o insulti.

Come ho detto all’inizio, queste abitudini non sono certo prerogativa esclusiva dei social network. Nella dimensione offline succede più o meno lo stesso. La differenza fondamentale è, però, la seguente: su Facebook tutte le parole e le opinioni personali vengono registrate a tempo indeterminato all’interno di uno spazio privato, anche nel caso in cui l’utente abbia scelto la privacy pubblica per le proprie condivisioni. E quelle registrazioni sortiscono un effetto deleterio su chi sta soffrendo la perdita improvvisa di una persona amata. Violano con superficialità la privacy del dolente, che si ritrova a dover sopportare l’offesa e il giudizio che persone sconosciute manifestano in maniera arbitraria nei confronti della vittima.

Occorrerebbe, pertanto, limitare il proprio perverso desiderio di partecipazione a un evento che non ci riguarda in prima persona, ricordando che la dimensione online e quella offline non sono separate. Soprattutto, sarebbe necessario porre a se stessi la domanda seguente: come mi sentirei se decine o centinaia di sconosciuti entrassero nel profilo social di mio figlio, morto all’improvviso, per esprimere giudizi a caso mentre io sto piangendo la sua inaspettata perdita? In altre parole, la convivenza all’interno dei social network implica una presa di coscienza sui comportamenti da adottare e da evitare in circostanze come quelle descritte. A mio modo di vedere, se proprio si sente la necessità insopprimibile di partecipare a un evento luttuoso, occorre limitarsi a esprimere le proprie condoglianze, evitando commenti e discussioni con altri utenti in merito a quanto è accaduto.

Ciò che più conta è non aggiungere inutile dolore a quello già provato da chi sta soffrendo e, dunque, ricordare che ci si può mettere in disparte e che non è fondamentale “partecipare” se non si è chiamati in causa. Questi pensieri, che sono banali e sorgono spontanei, vanno evidenziati perché sembrano sfuggire a centinaia di persone incapaci di utilizzare con raziocinio gli strumenti digitali.

Quali sono le vostre esperienze a riguardo? Attendiamo, come sempre, le vostre opinioni.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2019/11/Depositphotos_30625095_s-2019-e1574678517942.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2019-11-25 11:57:002019-11-25 11:57:00“Dovevi fare scudo al gufo con la tua macchina!”: i commenti sui profili social dei morti di Davide Sisto

Il significato dell’oblio nell’epoca delle memorie digitali, di Davide Sisto

26 Febbraio 2019/6 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Secondo alcune statistiche della rivista Mashable, ogni mese l’utente medio di Facebook pubblica circa novanta contenuti sul suo profilo: post, immagini, video. Ora, facciamo finta che Mario Rossi si sia iscritto nel 2008 al social network di Mark Zuckerberg, nato ufficialmente ad Harvard il 4 febbraio 2004. Con due semplicissimi calcoli matematici scopriamo che Mario Rossi ha condiviso su Facebook, fino a oggi, oltre diecimila contenuti. Ma, nel corso degli ultimi anni, non si è accontentato di avere soltanto un profilo su Facebook. Ne ha aperto uno su Instagram, nato nel 2010, e uno su Twitter, creato nel 2006. Facendo un uso quasi quotidiano e metodico anche di questi altri due social, agli oltre diecimila contenuti su Facebook somma centinaia, se non migliaia, di fotografie su Instagram e di “cinguettii” su Twitter (senza contare il materiale interno alla messaggistica privata su Messenger, Snapchat, WhatsApp, ecc.).

In altre parole, Mario Rossi ha un quantitativo di memorie personali, in formato digitale, che non ha eguali nella storia dell’umanità. Se poi consideriamo il fatto che, per esempio, su Facebook vi sono attualmente oltre due miliardi di iscritti ci ritroviamo a vivere in un mondo soffocato – in maniera letterale – dai ricordi.

In un articolo anonimo del 1896, intitolato Voices of the Dead, si festeggiava l’invenzione del fonografo come la definitiva vittoria sulla morte, la quale non poteva nulla contro la capacità tecnologica acquisita dall’uomo di trattenere con sé le voci dei defunti. Qualche anno dopo, nell’Ulisse di Joyce, Leopold Bloom ritiene sensato porre un grammofono in ogni tomba o, comunque, tenerne uno in casa. In tal modo, la domenica dopo pranzo, lo si accende e si ascolta la voce del trisnonno. E, ancora, nel 1983 lo scrittore serbo Danilo Kiš immagina, all’interno del suo libro Enciclopedia dei morti, una biblioteca fantastica, situata a Stoccolma, i cui volumi hanno una caratteristica piuttosto peculiare: contengono informazioni estremamente minuziose di tutto ciò che, ritenuto insignificante e trascurabile, è escluso dagli archivi della cultura ufficiale e non è menzionato nelle altre enciclopedie. In particolare, questa biblioteca raccoglie i dati riguardanti la vita delle persone comuni, di modo da documentare e mantenere viva nella memoria collettiva la loro unicità e irripetibilità.

Oggi i social network hanno portato alle estreme conseguenze il bisogno umano, da sempre sentito, di continuare a sopravvivere all’interno delle proprie memorie. La produzione di ricordi delle singole esperienze è irrefrenabile. Qualche tempo fa avevo già affrontato il tema sul blog, ma in riferimento al pericolo di non riuscire a conservare le proprie memorie digitali a causa dell’obsolescenza tecnologica e delle rigide regole della privacy personale nei social (qui il suo contenuto). In questo articolo, invece, mi interessa soffermarmi su un’altra questione, molto più filosofica: è veramente così importante lasciare una traccia permanente di sé dopo il nostro passaggio sulla Terra?

Ognuno di noi tende a manifestare il desiderio di non scomparire per sempre e, dunque, di divenire – almeno, da un punto di vista simbolico – immortale. Molto banalmente, fare figli per la maggior parte di noi rappresenta il modo migliore di sopravvivere alla propria morte. A volte, tuttavia, penso che ci diamo troppa importanza. Non siamo poi così diversi da quelle centinaia di formiche che rischiamo quotidianamente di calpestare quando camminiamo. E il mondo stesso, anzi l’intero universo, non è poi così interessato ai nostri pensieri, alle nostre credenze, al nostro bisogno di apparire. In altri termini, può diventare quantomeno interessante capovolgere il significato di Coco, il film d’animazione della Pixar uscito nel 2017: non è una tragedia il fatto che, quando morirà l’ultima persona che ha avuto la fortuna (o la sfortuna) di conoscerci, scompariremo nel nulla in mancanza di un oggetto – una fotografia, un filmato, ecc. – che certifichi il nostro passaggio sulla terra.

Lo so, detto da uno che sta scrivendo questo articolo, il quale resterà a lungo nel web, che ha scritto diversi libri e che, come la maggior parte di voi, condivide migliaia di post sui social network può suonare contraddittorio. Tuttavia, mi interrogo spesso sulla effettiva necessità di lasciare traccia del proprio passaggio sulla terra. Per esempio, ho pochissime fotografie che mi ritraggono. Addirittura, io e la mia compagna, in oltre quindici anni di relazione sentimentale, abbiamo due o tre fotografie insieme. E non sappiamo nemmeno dove le abbiamo conservate. Questo perché, in fondo, è meglio guardare avanti, non dare troppo peso a ciò che sta dietro, continuare a proseguire il proprio percorso fino alla fine. E, dopo, chi se ne importa. Chi se ne importa di quello che sono stato, chi se ne importa di quello che ho fatto e ho detto. Il mondo andrà avanti, si sarà nutrito di ciò che gli ho dato, nel bene e nel male, e si nutrirà ora di nuova linfa vitale, prodotta da chi prenderà il mio posto, da chi abiterà nei luoghi in cui ho vissuto, da chi camminerà sui marciapiedi su cui ho passeggiato.

È davvero così importante soffocare la propria esistenza con le memorie delle proprie esperienze? Magari sì, ma perché non pensare anche in modo contrario, quindi riconoscere l’importanza pedagogica dell’oblio totale? Scendere a patti con il nostro scomparire, non rivestendolo di angoscia e tristezza ma osservandolo con la malinconica consapevolezza che così funziona la vita, potrebbe forse rendere meno drammatica la coscienza della nostra mortalità e anche meno sofferente l’esistenza di chi soffre per la nostra perdita.

Sto riflettendo insieme a voi e non voglio dare una certezza oggettiva alle mie parole né fornire un insegnamento particolare. Tuttavia, mi sembra utile riflettere sul tema in un’epoca in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo a produrre memorie in formato digitale. Cosa ne pensate?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2019/02/Depositphotos_43144711_m-2015-e1551169387158.jpg 264 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2019-02-26 09:29:432019-02-26 09:29:43Il significato dell’oblio nell’epoca delle memorie digitali, di Davide Sisto

Facebook e il bisogno di superare insieme il lutto, di Davide Sisto

24 Gennaio 2018/8 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Depositphotos_13269187_m-2015Lo scorso 24 aprile 2017 è stato pubblicato sulla rivista internazionale Nature Human Behaviour il primo studio completo sul ruolo sociale che ricopre Facebook quando muore una persona cara. William R. Hobbs, esperto in scienze sociali presso la Northwestern University negli Stati Uniti, e Moira Burke, analista dei dati di Facebook, hanno dato vita a una sostanziosa ricerca sul legame tra il lutto e il social network più popolare al mondo, pervenendo a risultati piuttosto sorprendenti (qui è possibile leggere i dati dell’intero studio).

I due studiosi hanno analizzato tutte le interazioni possibili (post, commenti, fotografie e tag) in 15.000 reti sociali su Facebook all’interno di cui è morta una persona, mettendole a confronto con altre 30.000 reti simili in cui però il lutto non ha avuto luogo, per un totale di quasi tre milioni di persone monitorate. Queste reti sociali, scelte con estrema cura per evitare di imbattersi in profili finti, sono state studiate per un periodo di quattro anni, tra il 2011 e il 2015, analizzando gli effetti della morte di una persona avvenuta tra il gennaio 2012 e il dicembre 2013, in modo da poter confrontare le interazioni precedenti e successive al lutto. Ovviamente, sono state prese le necessarie precauzioni per rispettare la privacy individuale.

I risultati sono i seguenti: quando una persona muore, i suoi amici aumentano del 30% il numero di interazioni tra di loro all’interno di Facebook. Solo dopo diversi mesi, a volte addirittura anni, le interazioni tornano a stabilizzarsi a un valore pari a quello precedente il lutto. Pare, inoltre, che i livelli di interazione si mantengano assai elevati nelle reti che includono soprattutto persone di età compresa tra i 18 e i 24 anni e che le reti in cui ha avuto luogo un suicidio evidenzino una maggiore difficoltà a riprendersi dal lutto.

Hobbs e Burke hanno paragonato questo comportamento al fenomeno che ha luogo nel nostro sistema nervoso, quando si è colpiti da un ictus. In tal caso, alcune cellule cerebrali muoiono e il cervello si “riavvia” formando nuovi circuiti neuronali per compensare la perdita subita. Così, le persone che vedono il mondo crollargli addosso, quando patiscono un lutto, cercano un rifugio all’interno di cui fare gruppo, per poter ricostruire quella vita percepita come spezzata insieme alla morte dell’amato. E Facebook offre il rifugio richiesto, in una società in cui si è gradualmente perduto il senso di comunità e la voglia di essere uniti: fornisce, innanzitutto, la necessaria protezione al sentimento del dolente, il quale prova spesso pudore e vergogna nell’esprimerlo dinanzi alle altre persone. La mediazione dello schermo aiuta, infatti, ad essere più estroversi. Dà, poi, la sensazione, autentica o illusoria che sia, della partecipazione collettiva: i tanti “like” e commenti sotto la foto del defunto o sotto un post commemorativo trasmettono calore umano al singolo individuo che sta soffrendo.

Un caso recente molto significativo è quello della mamma di Luca Borgoni, morto lo scorso anno per un incidente in montagna. La donna, dal momento della perdita del figlio, è riuscita ad entrare nel suo account, aggiornandolo quasi quotidianamente e scrivendo i post in prima persona, come se fosse il figlio a scriverli. Ha spiegato ai giornali che questo comportamento la fa stare bene e le dà la forza per affrontare la quotidianità. Sottolinea, in particolare, quanto siano preziosi i commenti degli altri utenti e le centinaia di “like” che ricevono i suoi post. Facebook, comunque, per ragioni legate soprattutto alla privacy, ha reso commemorativo ultimamente il profilo del figlio, togliendo la possibilità alla donna di continuare ad entrare nell’account.

Da studioso del rapporto tra la cultura digitale e la morte, ritengo che questi dati evidenzino delle cristalline opportunità offerte da Facebook, spesso al centro di critiche – anche condivisibili – per i rischi di isolamento e di autismo che produce all’interno delle nostre vite. Disporre di questo spazio virtuale per tener viva la memoria della persona amata e, al tempo stesso, per sostenersi a vicenda è un aspetto che non va sottovalutato né banalizzato.

Anche perché, come dimostra la ricerca di Hobbs e Burke, ciò mette in luce una necessità: quella di ritrovare il modo per condividere insieme il lutto, per fare comunità. Pertanto, sarebbe il caso di trasformare la piattaforma del social network come un punto di partenza basilare per recuperare una solida dimensione solidale una volta che siamo offline. Occorrerebbe leggere i dati di questa ricerca come uno stimolo per affiancare le risorse offerte da Facebook a una rinnovata dimensione comunitaria nello spazio pubblico, la quale tolga alle persone la sensazione di sentirsi isolate. E questo vale soprattutto in riferimento ai più giovani, i quali sembrano essere i principali fruitori delle commemorazioni funebri sui social.

Usciamo dalla futile contrapposizione tra online e offline per rifondare le basi solidali della società. E il lutto è, forse, l’occasione più autentica e umana per realizzare questo compito.

A qualcuno di voi è capitato di utilizzare Facebook per elaborare un lutto? Se sì, vi è servito?

Attendiamo le vostre risposte.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/01/lutto-fb-blog.jpg 154 302 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-01-24 11:07:392018-01-24 11:07:39Facebook e il bisogno di superare insieme il lutto, di Davide Sisto

La morte ai tempi di Facebook, di Davide Sisto

12 Luglio 2016/21 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

hack social mediaLa prima volta che ho veramente compreso quanto il digitale rivoluzioni il nostro legame con la morte è stato un giorno del novembre 2014: appena sveglio, ricevo sul mio smartphone una notifica da Facebook che mi ricorda il compleanno di un amico. Morto, però, tre mesi prima all’improvviso.

Un morboso desiderio di autolesionismo emotivo mi spinge a ritornare subito sulla bacheca del suo profilo Facebook. E non occorre uno spirito di osservazione particolarmente acuto per cogliere le tante suggestioni che quella bacheca produce, in modo del tutto casuale e senza un filo logico razionale.

In primo luogo, lo spettro dell’interruzione: il classico susseguirsi quotidiano di fotografie, videoclip, pensieri personali che, di colpo, si interrompe senza più possibilità di ripresa. Sarà pur vero ciò che sostiene il filosofo coreano Byung-Chul Han, vale a dire che la bacheca di un social network non è niente più che una meccanica, fredda, morta enumerazione e addizione di eventi o di informazioni, che si accumulano senza anima. Nulla a che vedere con la narrazione viva della nostra memoria, la cui forza pulsante è tutta racchiusa nel dimenticare, quindi nel non trattenere tutte le esperienze vissute. Tuttavia, fermarsi a osservare quella bacheca virtuale, con la sua successione temporale di immagini e riflessioni, è come rendersi d’un tratto consapevoli che, con la morte, il presente viene inghiottito dal passato, il tempo non ha più né vitalità né senso. Sale, quindi, l’angoscia per la mancanza del commiato e per il senso di incompletezza che, mai così nitida come sullo schermo del computer, è tipica di una morte avvenuta all’improvviso. L’interruzione inattesa, non calcolata né prevista solitamente all’interno di una vita scandita da ritmi e abitudini quotidiane, è senza ombra di dubbio amplificata da un social network come Facebook.

In secondo luogo, lo struggimento degli amici e dei conoscenti: la bacheca comincia a riempirsi di messaggi di saluto, di dediche musicali, di ricordi. Messaggi diretti in forma colloquiale alla persona morta. Da una parte, sembrano tentativi di comunicazione con chi non c’è più; gli amici si rivolgono a lui come se fosse in grado ancora di leggere. Sopra una fotografia un ragazzo scrive: “Questa appendila alla nuvoletta accanto a te. Tanti Auguri!”. Come se ci fosse una specie di anima del mondo che collega i vivi con i morti, ora, tramite Facebook. Il social network sembra farsi carico della tradizionale comunicazione simbolica tra l’aldiquà e l’aldilà, una comunicazione percepita stranamente – davanti allo schermo del computer – come reciproca. Molto diversa da quella che creiamo sulla tomba della persona amata al cimitero, la quale è più pensata e immaginata che realmente “vista” con gli occhi. Da un’altra parte, questi messaggi sembrano tentativi volti “a fare gruppo”. Si cerca cioè di condividere virtualmente il dolore con le altre persone, eludendo il pudore e le difficoltà che hanno spesso luogo nella realtà. Il commento sotto un messaggio di commiato sulla bacheca di Facebook, con magari il ricordo di un aneddoto o di una propria riflessione, non è invasivo perché si riesce a nascondere il proprio stato d’animo dietro allo schermo. Mentre nella realtà si fa più fatica a condividere quel dolore, quindi a vincere la vergogna di mostrare i propri sentimenti o di dire frasi banali.

Facebook ci pone di fronte a quella morte che rimuoviamo quotidianamente dalla nostra vita. Lo fa in moltissimi modi diversi, ben più numerosi rispetto a quelli che ho brevemente indicato. Nel bene e nel male. E dobbiamo, il prima possibile, prenderne atto e coglierne le conseguenze. Facebook, infatti, è già oggi il più grande cimitero che vi sia al mondo, facilmente accessibile tramite un computer o un telefono cellulare. A fine 2014 si contavano oltre 50 milioni di utenti morti; secondo Hachem Sadikki, esperto di statistica presso l’Università del Massachussetts, nel 2098 il numero di utenti deceduti sarà addirittura superiore a quelli ancora in vita. I dati che lo portano a tale conclusione sono principalmente due: la scelta dei gestori del social network di non eliminare in modo automatico gli account degli utenti deceduti e il rallentamento progressivo dei nuovi iscritti. Se le previsioni sono corrette, il social network più popolare al mondo sarà, alla fine di questo secolo, una distesa di profili fantasma, quindi di pensieri, fotografie e ricordi di persone che non ci sono più, a totale portata di mano di chi è invece ancora in vita.

E, tra i tanti problemi che questo comporta, vi è quello della propria privacy e dell’eredità della nostra vita virtuale. Da pochi anni, Facebook ha inventato l’opzione del “contatto erede”: ciascuno di noi può scegliere in vita se eliminare, una volta morti, il proprio account o se farlo diventare “commemorativo” tramite un erede. Si sceglie una persona di famiglia o un amico, il quale può scrivere un post fissato in alto nel profilo, magari dando informazioni agli altri amici virtuali; può rispondere alla eventuali richieste di amicizia e aggiornare l’immagine del profilo e di copertina. Non può però accedere ai dati personali. Nella pagina, in alto, compare la scritta “in ricordo di”. L’opzione del “contatto erede” dimostra quanto sia sentita la necessità di pensare a ciò che può succedere dopo la propria morte, proprio perché ormai la realtà virtuale è diventata parte integrante di quella reale.

Difficile comunque riuscire a farsi un’idea precisa se Facebook renda più traumatico il lutto o ne sia invece di aiuto, se rende più doloroso il distacco o se genera una qualche forma di sollievo, anche nell’ottica di una maggiore comprensione del significato della morte per la vita. Voi cosa ne pensate? Avete già avuto esperienza di una persona deceduta con il profilo Facebook attivo? Come vorreste che venisse gestito dopo la vostra morte? Sono molto curioso di sentire opinioni a riguardo.

 

 

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