Su TikTok il lutto diventa narrazione, di Davide Sisto
Negli ultimi anni ho parlato spesso di TikTok, nel nostro blog, in relazione ad alcuni modi di affrontare pubblicamente il lutto e la morte al suo interno (per esempio qui e qui). Al di là delle singole iniziative, ciò che è veramente interessante notare è come questo bizzarro luogo online, per lo più incline ad aderire alle esigenze delle generazioni più giovani, abbia intercettato i comportamenti social degli utenti in merito all’esposizione del lutto, cambiandone in maniera radicale le caratteristiche.
Da quando è cominciata l’epoca dei social media, quindi dai primi anni del Duemila, abbiamo assistito a una collettiva trasposizione online del dolore privato, sia esso frutto di una malattia, di un lutto o di qualche sofferenza psicologica. Da questo punto di vista risulta veramente lungimirante Michael Kibbee, il creatore del World Wide Cemetery nel 1995. Le parole con cui ha presentato trent’anni fa il progetto, tutt’ora online, anticipano con estrema previdenza ciò che sarebbe successo da lì in avanti. E, infatti, soprattutto da quando circa 3 miliardi di persone si sono iscritte a Facebook ci siamo abituati a vedere esposto il dolore privato per una perdita secondo modalità più o meno standard, le quali aderiscono alle prerogative specifiche del social media di Zuckerberg. In altre parole, è la scrittura a essere la protagonista assoluta dell’esposizione pubblica del lutto su Facebook, perlopiù mediata con qualche immagine fotografica o poche registrazioni audiovisive. Inoltre, man mano che la data di morte del proprio caro si allontana diminuiscono i riferimenti specifici alla perdita. Al massimo, le celebrazioni si rinnovano nel giorno dell’anniversario del compleanno, della data di morte o di qualche evento simbolico importante, riportato in auge dalla sezione Ricordi.
TikTok presenta aspetti radicalmente opposti a Facebook. Innanzitutto, è l’algoritmo a determinare ciò che vediamo nella timeline, secondo i gusti personali o gli hashtag digitati. I contatti che creiamo lì dentro non dipendono dalla conoscenza diretta o indiretta delle persone ma dal tipo di contenuto che desideriamo osservare (Gabriella Taddeo, nel libro Social. L’industria delle relazioni, definisce TikTok appunto come “Algorithm driven”). Inoltre, i singoli utenti tendono a trasformare i brevi video, generati utilizzando specifici filtri, contenuti musicali e altro, come tanti singoli tasselli di una narrazione che si estende temporalmente, la quale dà una connotazione specifica a ognuno di loro. In altre parole, l’attivista politico utilizza i singoli video per prolungare nel tempo le sue battaglie, permettendo ai suoi followers di identificarlo più per i temi trattati che per il suo nome e cognome, come avviene su Facebook. Ciò fa sì che svariate centinaia di migliaia di utenti trasformino il lutto patito in una storia che si prolunga nel corso dei mesi o, addirittura, degli anni. Per esempio, è canonica una situazione del genere: l’utente di TikTok ha perso il proprio partner. Allora, decide di raccontare la sofferenza che prova attraverso decine di video giornalieri in cui, in primo luogo, mostra la relazione che aveva con il proprio partner (collage di foto o brevi registrazioni audiovisive relative alla loro vita di coppia); in secondo luogo, spiega come il partner è deceduto; in terzo luogo, descrive il percorso compiuto nei giorni e nei mesi successivi alla perdita. Pertanto, vediamo magari il dolente che fa un viaggio in montagna, il primo viaggio senza la persona amata, e vi è un’alternanza tra immagini paesaggistiche e riflessioni audiovisive sull’esperienza. Oppure, siamo testimoni della ripresa del lavoro dopo il lutto, con video che mostrano le problematicità del nuovo inizio. Vi sono, poi, molteplici casi in cui vediamo dei video in cui l’utente, in lacrime, si congeda dal proprio gatto o cane, prima di portarlo dal veterinario per sopprimerlo. Questo video precede e anticipa le rappresentazioni audiovisive della vita vissuta insieme e, poi, senza il proprio animale domestico, di modo da condividere l’esperienza con gli altri followers.
I casi che si possono osservare sono i più disparati. C’è addirittura chi, utilizzando una serie di espedienti mediatici, riproduce se stesso mentre parla con il proprio caro defunto, che è presente nel video mediante la riproduzione di precedenti video che aveva realizzato nel corso della sua vita.
TikTok ha trasformato, in definitiva, l’esposizione limitata nel tempo del lutto su Facebook in una vera e propria narrazione che si protrae ad libitum. Una narrazione che, in un certo qual modo, rende il singolo follower spettatore più del percorso compiuto dal dolente che dell’impatto immediato del lutto nella sua vita. Anche le interazioni nei commenti, per quanto numerose ed empatiche, risultano secondarie rispetto allo scopo principale, che è di natura rappresentativa, comunicativa o, appunto, narrativa. Siamo nel campo dell’autofiction più che in quello della testimonianza. Ovviamente, non sono pochi coloro che interpretano questo tipo di esposizione del lutto nei termini di una spettacolarizzazione del dolore o di una sua capitalizzazione, soprattutto da parte di chi ha profili seguiti da milioni di followers. Il fenomeno, a mio avviso, è troppo recente per trarre considerazioni oggettive e chiare. Mi sembra, tuttavia, evidente il desiderio di mostrare pubblicamente il percorso più che il mero fatto. Ciò, ovviamente, amplia in modo notevole il carattere sempre più pubblico del lutto. Rende, soprattutto, le generazioni più giovani avvezze a una condivisione narrativa che sgretola, quasi del tutto, il carattere privato della perdita. Ogniqualvolta ne parlo con gli studenti, liceali e universitari, emerge da parte loro una consapevolezza della rappresentazione audiovisiva condivisa decisamente differente rispetto al bisogno di tenere per sé le proprie emozioni ed esperienze. Come sapete, non amo dare giudizi netti su questi fenomeni, ma osservarli.
Mi limito soltanto a cogliere l’accelerazione di un processo: dai due, tre post su Facebook, per ricordare il proprio caro defunto, alla narrazione esposta man mano per giorni, mesi, addirittura anni su TikTok. Sarà curioso capire quale sarà l’impatto di questa metamorfosi sui futuri adulti e anziani, all’interno di una società sempre più tecnologizzata e abituata a una morte social.
Voi cosa ne pensate? Attendiamo i vostri commenti.
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