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Tag Archivio per: culto dei morti

A che punto siamo con la negazione della morte? Prima puntata: i riti, di Marina Sozzi

1 Novembre 2018/10 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

A che punto siamo con la negazione della morte? E’ una domanda che un tanatologo, di tanto in tanto, deve porsi. Questa volta l’interrogativo è stato stimolato anche dalla lettura dell’ultimo libro del sociologo Marzio Barbagli, Alla fine della vita, che afferma che la società moderna non nega e nasconde la morte più di quelle che l’hanno preceduta. Non sono per niente d’accordo con lui, e ho l’impressione che il libro voglia essere una provocazione, ma non sia del tutto equo nei confronti del profluvio di studi e riflessioni che, in tutto il mondo occidentale, hanno esaminato i molteplici significati dell’impasse dei nostri contemporanei non solo di fronte al morire, ma anche dinanzi al soffrire. Sembra che Barbagli voglia un po’ “liquidare” la tesi della negazione della morte, più di quanto non intenda riesaminarla.

Io vorrei, invece, affrontare la domanda sulla negazione della morte come se fosse una domanda nuova, senza dare per scontate le risposte che ho dato in passato. Sono ormai venticinque anni che mi occupo di questi temi, e vi propongo di guardare a ciò che è accaduto nell’ultimo ventennio. La situazione è migliorata? E’ peggiorata? Il discorso è lungo, e comincio oggi proponendovi un tema specifico, quello dei riti funebri.

I riti funebri sono semplicemente cambiati, come dice Barbagli, o c’è una povertà rituale oggi in Italia? Che le modalità di sepoltura siano cambiate è un dato: nel 2016 (ultimi dati disponibili) è stata scelta la cremazione dal 23% delle persone, l’inumazione dal 33% e la tumulazione dal 44%. La scelta cremazionista cresce, per ragioni in parte culturali e in parte economiche. Non credo né ho mai creduto che l’aumento della cremazione, in Italia come in altri paesi, sia sintomo di una deritualizzazione.
Al contrario, nei luoghi in cui è stato proposto un rito del Commiato per accompagnare l’affidamento della salma al crematorio, si è fatta un’importante operazione culturale: far riflettere i familiari sull’esigenza di un addio che abbia una struttura rituale, ma che corrisponda anche al desiderio di personalizzazione molto diffuso in Occidente: una poesia, una musica, qualche parola in memoria del defunto pronunciata da chi lo ha amato. Nei crematori dove c’è stata l’offerta di un rito, la popolazione ha maturato anche la capacità di celebrarlo a immagine e somiglianza del morto. Stiamo parlando, però, di una minoranza. C’è un’altra minoranza che pensa per tempo al rito funebre: quella di coloro che, avendo avuto accesso per tempo a buone cure palliative, hanno potuto conciliarsi con la propria morte e hanno dato istruzioni ai loro cari sulla cerimonia che desiderano.

La maggioranza delle persone, invece, si trovano in una situazione di impoverimento rituale. Pensano al rito funebre quando la morte di un congiunto è già avvenuta o sta per sopraggiungere. Allora chiamano le onoranze funebri e delegano loro quasi ogni decisione.
Così accade che molti non credenti si trovino impelagati in un rito cattolico. E forse anche la Chiesa cattolica si sta rendendo conto di quanti problemi ci siano nella celebrazione dei funerali religiosi con persone non religiose o blandamente credenti. I sacerdoti si accorgono che gli astanti non conoscono le formule di rito, non sanno quando alzarsi e sedersi, non conoscono le preghiere. Gli stessi operatori funebri si scandalizzano, inoltre, nel constatare che i partecipanti a molti funerali non riescono a sentire la solennità della morte, e si comportano in modo inappropriato.
Un problema a parte è costituito dalla scarsa offerta di spazi interculturali, dove sia possibile celebrare riti di altre culture o religioni. Ne ho parlato in alcuni miei libri e non vorrei dilungarmi su questo. Certo le cose non vanno meglio di qualche anno fa, né il clima di intolleranza che si va diffondendo nel paese fa presagire nulla di buono su questo fronte. Un’unica notazione positiva: la possibilità (che si sta cominciando a proporre) di assistere in streaming a funerali che si svolgono a migliaia di chilometri dal luogo dove si vive può essere uno strumento importante in un mondo globalizzato, anche se non sostituisce la presenza di persona.

Non è vero, come afferma Barbagli, che tutti i riti hanno perso terreno, e non solo quelli funebri. Forse in alcune nicchie intellettuali della mia generazione di baby boomers c’era un atteggiamento antiritualista, ad esempio ci si sposava in tono minore: era considerato più di buon gusto.
Oggi però i giovani sono tornati con entusiasmo al matrimonio tradizionale, anche quando si sposano civilmente, abito bianco, banchetto e torta nuziale, album di fotografie, bomboniere, (a testimonianza del loro/nostro bisogno di riti), e organizzano feste per il battesimo dei figli. Ma lo stesso non si può affermare per i funerali. Nessuno pensa di onorare la memoria di un defunto con un funerale importante.

Per quanto riguarda i cimiteri, continuano a essere luoghi poco frequentati, con l’esclusione delle persone in lutto e delle celebrazioni dei primi di novembre. Certo, nell’ultimo ventennio sono stati molto valorizzati i cimiteri monumentali, ma soprattutto dal punto di vista artistico-museale.
Invece le proposte innovative, che dovevano modificare il volto ai nostri luoghi dei morti (ad esempio i cimiteri arborei e altri progetti di parchi cimiteriali) non sono riusciti a sfondare, nonostante l’idea piaccia molto a tanti cittadini. Fiacchi i cimiteri virtuali, che pareva dovessero rappresentare il futuro, ma che non esistono quasi più. L’idea codice del Qr da mettere sulle tombe, per accedere a una realtà aumentata, e poter conoscere la storia della persona sepolta, benché interessante, ancora ha fatto poca strada. Intanto, continuiamo a avere cimiteri di loculi.

La commemorazione viaggia soprattutto sui social, Facebook in primo luogo. E’ accaduto che la rievocazione si sia spostata nel mondo virtuale, abbandonando parzialmente quello reale. Ma non mi spingerei a parlare di una nuova cultura funebre. Perlomeno, non ancora. La memoria veicolata dai social network è una memoria troppo carica di informazioni, troppo privata, e che privilegia l’aspetto della consolazione dei vivi rispetto a quello della memoria storica e sociale. E anche da questo punto di vista, manca l’aspetto concreto della presenza fisica degli altri nella vita di chi ha perso un congiunto. Certo, la presenza su Facebook è meglio di nulla. Ma è un succedaneo.

Non abbiamo, a mio modo di vedere, ancora trovato un rito che possa essere condiviso in una società complessa e plurale come la nostra. Cosa ne pensate? Vi sembra invece che nuovi riti si stiano sedimentando? Come vorreste che fosse il vostro rito funebre? I cimiteri sono ancora importanti?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2018/11/Depositphotos_47611967_s-2015-e1541069976729.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2018-11-01 12:05:042018-11-01 12:05:04A che punto siamo con la negazione della morte? Prima puntata: i riti, di Marina Sozzi

Quando i corpi dei morti continuano a vivere insieme a noi, di Davide Sisto

9 Dicembre 2016/9 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

images-2Secondo Hans Belting, noto storico dell’arte tedesco, la ragione principale per cui poniamo sulla tomba dei nostri cari una loro fotografia – meglio, la migliore fotografia a nostra disposizione – è la seguente: fornire di un “corpo immortale” la persona deceduta, di modo che i vivi dimentichino in tutta fretta il processo di lenta decomposizione a cui si sottopone il suo “corpo mortale”, oramai privo di vita, dentro la tomba. Quella fotografia, in altre parole, assorbe in sé l’esistenza – perduta – della persona morta, la quale non ne “sente” più il bisogno una volta fermatosi il suo cuore, e ci permette di mentire dolcemente a noi stessi: la nostra mente associa infatti, per sempre, a chi non è più con noi un’immagine serena e solare, piena di vita, tenendo alla larga il pensiero dolorosissimo di quel corpo familiare che, lontano dal nostro sguardo, non può che disfarsi progressivamente. Come, d’altronde, richiede la natura stessa, trasformando il nostro bel fisico in un rifiuto organico. Il ragionamento, lo sapete bene tutti, è di questo tipo: già è lancinante la sofferenza per il distacco, figurarsi cosa vorrebbe dire concentrare la propria attenzione sui processi organici che hanno luogo all’interno della bara.

Molteplici sono le riflessioni che si possono fare, a partire da questa osservazione di Belting, sul nostro rapporto con la morte e, in particolare, con il corpo del morto, soprattutto tenendo conto del ruolo particolarmente complesso che svolge la corporeità in Occidente fin dagli albori dei tempi. Un tema delicato di cui, in futuro, torneremo a parlare su questo blog.

Ciò che, invece, ora mi interessa è porre l’attenzione su un rituale funebre radicalmente opposto a quello a cui siamo abituati: la cerimonia Ma’nene degli abitanti di Tana Toraja, sull’isola indonesiana di Sulawesi, che può essere tradotta – in modo più o meno corretto – come “la cerimonia della pulizia dei cadaveri”. Ogni tre anni o poco più, a seconda dei villaggi, gli abitanti (sia adulti sia bambini) costruiscono delle scale con il bambù per accedere alle tombe dei loro cari, spesso conservate anche a quindici metri da terra, all’interno di cavità rocciose. Le prelevano, le aprono, sopportano – a fatica – l’odore certo non piacevole che proviene dal loro interno e tirano fuori i cadaveri, ben conservati e mummificati grazie a una particolare soluzione di acqua e formaldeide. Giunti a questo punto, puliscono e lavano con attenzione i corpi, rivestendoli quindi con abiti nuovi, sostituendo i loro occhiali, là dove vi sia la necessità di farlo, e riparando attentamente le loro bare. Quando queste sono eccessivamente marce, le sostituiscono; quando, invece, sono i cadaveri a non essere rimasti intatti, i familiari li avvolgono semplicemente in un telo bianco. Spesso, prima di riseppellirli, li riportano per un po’ di tempo a casa e li mettono in posa, con i loro abiti nuovi e ben pettinati, per farsi fotografare insieme. I vivi con i morti. Una volta consumato il rituale, le tombe vengono nuovamente sigillate e ricollocate all’interno delle cavità rocciose. Vengono sacrificati maiali e bufali indiani per il pranzo e, in seguito, ha luogo una forma tradizionale di combattimento. In attesa di ripetere la cerimonia, trascorsi tre nuovi anni, al punto che gli abitanti di Tana Toraja mettono da parte costantemente le loro ricchezze per potersi permettere il rinnovo del rituale.

Cosa ci insegna la cerimonia Ma’nene? Innanzitutto, che per gli abitanti di Tana Toraja il corpo del defunto non “svanisce” definitivamente, una volta chiusa la bara e sotterrata (va, tra l’altro, specificato che spesso i cadaveri non vengono immediatamente seppelliti ma rimangono per qualche settimana nelle case dei parenti). Ogni tre anni questo corpo ritorna, in qualche modo, a “vivere” in mezzo alle persone che lo hanno amato quando il suo cuore batteva. Non c’è, in altri termini, un muro che separa radicalmente la vita dalla morte, la quale non è intesa come un evento di rottura definitiva. Vi è una continuazione dell’esistenza spirituale tra il prima e il poi, per cui il confine tra vivere e morire è più sfumato e il distacco è meno traumatico rispetto alle tradizioni occidentali. I morti continuano a vivere, perché il decesso è solo un momento di passaggio, da cui nasce una nuova forma di legame con le persone. La morte è sottile sottile, una sfumatura della vita. Come dimostrano simbolicamente le fotografie che immortalano i bambini, a loro totale agio, con i cadaveri dei nonni o dei genitori, vestiti in modo elegante e ricercato.

Provate a ripensare alle osservazioni di Belting: noi proviamo un senso di angoscia così profondo nel vedere con i nostri occhi un corpo senza vita, da non volerlo nemmeno immaginare con la mente. Quasi tutte le pagine giornalistiche che descrivono la cerimonia Ma’nene avvertono prima i lettori: state attenti, il servizio contiene immagini che possono disturbare la vostra sensibilità. Vedere con gli occhi quei cadaveri riesumati e rivestiti, in mezzo a bambini e adulti indonesiani assolutamente a loro agio, per noi è tanto assurdo quanto disturbante.

Credo che abbiamo molto da imparare su come affrontare la morte e su come superare certi traumi legati al pensiero dei corpi che gradualmente si dissolvono. Certo, le nostre tradizioni sono differenti e si rischia di banalizzare l’interpretazione di questi rituali, se ci limitiamo a osservarli dal nostro specifico punto di vista occidentale. Tuttavia, non ritenete anche voi, come me, che questo modo di vivere il corpo del defunto sia tutt’altro che macabro e abbia, invece, un significato educativo e spirituale veramente profondo? Cosa ne pensate?

 

 

 

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Quali cimiteri vorreste?

28 Gennaio 2013/22 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Tra le molte notizie che leggo per tenermi aggiornata sui temi di questo blog, ci sono quelle sui cimiteri. Nessuna è così rilevante da valere una riflessione isolata. Prese in sequenza, però, queste notizie, spesso locali, tracciano un quadro del nostro culto dei defunti che val la pena fotografare.
Se escludiamo le segnalazioni che riguardano i cimiteri monumentali, ormai considerati musei e tutelati, le altre notizie sono sconsolanti. Ladri di rame fanno continuamente incursione nei cimiteri del Paese, rubando coperture di tetti, vasi, basi di statuette della Madonna. Altrove i furfanti preferiscono il bronzo; in altri casi, come al cimitero di Ponte a Elsa (Firenze) si accontentano di sottrarre i fiori portati in omaggio ai defunti. Ma c’è anche chi, come al cimitero di Prima Porta a Roma nord, ha organizzato una banda di scippatori (arrestati).
Per il resto, degrado e carenza di manutenzione un po’ ovunque, parenti che si perdono tra i palazzi di loculi e non trovano i loro morti, opere edili abusive nel Cimitero degli Inglesi a Napoli. A Chioggia e ad Arsano (Napoli) i loculi sono finiti: se si vuole seppellire i propri cari bisogna cambiare cimitero, oppure optare per la cremazione.
La notizia più terribile? Una salma in attesa di cremazione sparita al crematorio di Bari. Furenti, i parenti tempestano di calci e pugni le porte (chiuse) degli uffici degli impiegati e del direttore, barricati all’interno. Alla fine la salma salta fuori, era a Torre del Mare, a Bari era finito lo spazio nelle celle frigorifere.
La più graziosa? Una donna sostiene di aver visto un uomo nudo in meditazione davanti ad alcune immaginette. Appena vede la donna, si riveste e fugge. Arriva la polizia, dell’uomo nessuna traccia.
L’affresco che emerge dalle notizie sui cimiteri è quello di un luogo pericoloso e ostile, abbandonato, selvaggio: si può fare ironia o scandalizzarsi. Certo, è arduo coltivare un culto dei defunti in luoghi del genere. Voi come immaginate il luogo del riposo delle vostre spoglie?
Io vorrei leggere di migliorie, di costruzione di sale del commiato, di spazi di condivisione del dolore, di spettacoli e poesia, di nuovi progetti architettonici, di dibattito, di idee, come sarebbe normale in un paese civile. Credo che occorra ridare identità, sicurezza e importanza ai cimiteri.
Che cosa proporreste?

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Festa dei morti, parte seconda

1 Novembre 2012/2 Commenti/in Vecchiaia/da sipuodiremorte

Cari amici, qualche giorno fa ho proposto di partecipare all’azione collettiva che si terrà contemporaneamente in varie parti del mondo, alle 16 (ora italiana) del 2 novembre 2012 (10am New York; 11am Buenos Aires; 12pm São Paulo; 3pm London; 4pm Cairo/Rome; 5pm Addis Ababa; 9pm Phnom Penh; 10pm Beijing/Shanghai). Ognuno di noi, nello stesso momento, si proporrà di incontrare una persona scomparsa (un parente, un amico, un personaggio pubblico), nel luogo che preferisce, secondo i propri tempi e modi.

Ma non finisce tutto con il pensiero rivolto a chi non c’è più. La seconda parte della proposta è la seguente:

Ti chiediamo di inviarci, due o tre giorni dopo questo “incontro”, una parola o una frase (due righe al massimo) che rappresenti o evochi questa esperienza. Niente testi lunghi, immagini, video o altro.

Alla fine di novembre le parole o le frasi raccolte verranno trascritte con la tecnica dell’affresco sulle pareti de Lu Cafausu a San Cesario di Lecce. Per l’occasione, oltre alla realizzazione dell’affresco, sarà organizzata una festa.
Verrà successivamente inviata una email con la data della festa e della realizzazione pubblica dell’affresco.

Per favore registrati su http://eepurl.com/qceAP per confermare la tua partecipazione.

invia le parole a: lafestadeivivi@gmail.com

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/10/lettera2.png 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-11-01 12:31:282018-10-23 18:42:14Festa dei morti, parte seconda

I cinesi, la morte: un mistero?

6 Ottobre 2012/5 Commenti/in Ritualità/da sipuodiremorte

Una delle vette dell’intolleranza, nel nostro paese, è quella che riguarda le elucubrazioni e le battute di spirito sulla morte dei membri della comunità cinese.

I cinesi sono immortali? O bruciano clandestinamente i morti per riciclarne i passaporti? Addirittura i più volgari insinuano perfino, credendosi spiritosi, che i defunti siano serviti nei ristoranti cinesi agli ignari avventori occidentali.

Su questi temi Associna, associazione dei cinesi in Italia, ha scritto una lettera di denuncia e protesta. I cinesi considerano sacri i propri defunti, che diventano spiriti antenati e protettori dei vivi. Per questo le insinuazioni nostrane, anche se sussurrate o scherzose, feriscono profondamente la comunità cinese.

Ma perché sono così rare le morti cinesi in Italia, e perché non ne parlano? I cinesi considerano la morte un tabù, una sfera da non nominare, che porta sfortuna. Le madri insegnano ai figli a non dire “ho fame da morire”, ma semplicemente “ho fame”.

L’auspicio è quello di morire nel proprio paese e nella propria casa, circondati dai propri cari. Così i cinesi, che in Italia portano avanti imprese familiari, raggiunta la maturità cedono l’attività ai figli e tornano in Cina.

Tuttavia i rappresentanti della comunità cinese di Mantova, in un seminario organizzato dall’associazione “Gli Sherpa”, ci hanno raccontato alcuni aspetti dei riti per i defunti. Nello Zheijang, regione orientale della Cina da cui provengono la maggior parte degli immigrati in Italia, ai morti vengono dedicati altari e tombe grandiose, prevalentemente sulle montagne. La festa dei morti si celebra in aprile. Le famiglie, tutte riunite, salgono sulle montagne con la colazione al sacco, accendono due lumini presso le tombe, bruciano rettangoli di carta gialla che rappresenta il denaro offerto per la vita dei defunti nel mondo degli antenati, e raccontano a questi ultimi come si è svolta la vita familiare nell’ultimo periodo.

Non ci hanno narrato, però, del funerale vero e proprio, generalmente sontuoso ed elaborato, che comporta ingenti spese e cortei con canti, suoni e scoppio di petardi. Il colore del lutto, come in buona parte dell’Oriente, è il bianco, cioè l’assenza del colore. Il pianto è sentito come necessario, e come giusta espressione del rimpianto. Nella Cina contemporanea, come in situazione di migrazione, si tende a semplificare questi riti. C’è nei cinesi un forte spirito di adattamento, e la semplificazione è accettata di buon grado, come è accaduto a Bolzano, dove un ristoratore cinese è morto vittima di un pirata della strada, che viaggiava contromano in autostrada. Il funerale è stato celebrato nella Sala del Commiato della città.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/10/image4.jpg 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-10-06 19:44:312012-10-06 19:44:31I cinesi, la morte: un mistero?

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