Comunità solidali di fronte alla fragilità, di Marina Sozzi
Sono stata ai primi di settembre all’atteso evento dell’Alzheimer Fest, a Gavirate, sul lago di Varese, dove ho percepito un’inedita atmosfera di inclusione, di accettazione, di rottura dello stigma.
L’inclusione è di fondamentale importanza sia per i malati (che mantengono per intero la sfera delle emozioni, e quindi provano il dolore dell’isolamento e percepiscono l’altrui disagio) sia per i familiari e caregiver, soprattutto donne (che si trovano spesso prigioniere all’interno delle case, nel mondo del malato, che non può essere “portato fuori” per il timore di comportamenti incongrui o inquietanti per gli altri). Benché importante, l’inclusione è veramente ai primi passi nel nostro paese, per molteplici e complesse ragioni: tendiamo a pensare l’uomo come coincidente con la sua razionalità, sulle orme di Cartesio, e quindi il malato di demenza appare come un non-uomo, come un’alterità difficile da approcciare; il vecchio, anche se lucido e presente a se stesso, è marginalizzato in una cultura che esalta la giovinezza e la bellezza fisica, il piacere e il dinamismo: a maggior ragione lo sarà il vecchio malato di demenza; la creatività istituzionale non è il nostro forte, pertanto sono ancora isolate le esperienze di cura dell’Alzheimer fuori dagli schemi finora utilizzati, mentre le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) scoppiano nonostante i loro costi da capogiro, e le famiglie stanno in lista d’attesa per mesi o anni prima di potervi accedere, arrangiandosi nel frattempo.
Val la pena però ricordare alcune buone prassi, nella speranza di sollecitarne di nuove. Oltre all’Alzheimer Fest – dove le famiglie e le associazioni hanno potuto portare i malati, per i quali erano state pensate molte attività da fare insieme alle persone sane, in un’atmosfera che ha saputo essere al contempo seria e festosa – voglio citare i progetti di Dementia Friendly Community. Nel mondo, le “comunità amiche delle persone con demenza”, sono state sostenute da governi, associazioni, imprese ed esercizi commerciali, con l’obiettivo di alzare il livello di consapevolezza pubblica sulla demenza e di ciò che comporta, e offrire supporto e comprensione alle persone che ne soffrono e a coloro che se ne prendono cura. Giappone e Regno Unito hanno fatto da apripista, seguiti da Australia, Canada, India, Indonesia, Irlanda, Olanda, Belgio, Scozia e Sri Lanka. In Italia il progetto pilota è stato avviato dall’Associazione Alzhiemer Italia, e realizzato dal comune lombardo di Abbiategrasso, di 32.000 abitanti, di cui 600 con demenza, seguito dai comuni di Conegliano, Giovinazzo, Scanzorosciate e, grazie al lavoro della Diaconia Valdese (e del Rifugio Carlo Alberto), dalla Val Pellice.
Cosa vuol dire Dementia friendly community? Una comunità solidale è quella in cui le persone con demenza, spesso disorientate e spaventate, sono comprese e rassicurate; in cui i malati sentono di poter ancora partecipare alle attività che hanno sempre fatto parte della loro esistenza (anche solo entrare in un negozio o un bar, andare dal parrucchiere, frequentare un circolo ricreativo), e di poter ancora godere della vita, contando sulla sensibilità dei concittadini, e sulla loro capacità di non discriminarli, anche in virtù della conoscenza della malattia. Per entrare nel novero delle Comunità solidali, dunque, occorre fare progetti di sensibilizzazione e formazione per tutti, dagli esercenti pubblici a insegnanti e alunni delle scuole, dagli operatori sanitari ai semplici cittadini.
Ma perché le persone aderiscono a questi progetti, e accettano di utilizzare il loro tempo per acquisire la capacità di comprendere la malattia, e quindi di essere pazienti ed empatici con malati che hanno perso o stanno perdendo le capacità cognitive? Forse perché, nonostante i valori dominanti nella nostra cultura, ciascuno di noi sente almeno confusamente la propria fragilità umana, e sa che riconoscere la vulnerabilità di altri esseri umani fa paura perché rispecchia la propria, ma è l’unico modo per stare nel mondo in modo consapevole. Cosa ne pensate?
Grazie per la vostra sensibilità e delicatezza. Con persone come voi il mondo mi pare più bello. Paola
si.. stavo pensando la stessa cosa 🙂 🙂
La conclusione dell’articolo coglie il senso di alcuni nostri comportamenti. Ci sarà anche dell’altro ma lo trovo un buon punto di partenza su cui riflettere e da cui partire. Grazie!
E poi lucidi o dementi ho l’impressione che l’amore non si dimentica e si continua a percepire.
Interessantissimo. E bellissimo: sono completamente d’accordo con i due commenti precedenti.
Lavorando in cure palliative, ho sempre di più l’impressione che anche le idee più innovative degli ultimi tre decenni (l’assistenza domiciliare e gli hospice, per esempio) non siano più sufficienti a dare risposta ai bisogni di una Società sempre più fragile e frammentata. C’è bisogno di una nuova forza propulsiva “con mente aperta alle nuove domande” come diceva Cicely Saunders.
E’ affascinante la prospettiva di un nuovo welfare che parta -come dice il post- da “progetti di sensibilizzazione e formazione per tutti, dagli esercenti pubblici a insegnanti e alunni delle scuole, dagli operatori sanitari ai semplici cittadini”.
Grazie a chi ci aiuta a conoscere e ci stimola a metterci tutti insieme in cammino…
Grazie a Marina, sempre stimolante e sempre al corrente di novità interessanti. Anche se in Italia, su tutto, siamo così indietro… Ben vengano strutture più adeguate per i malati di Alzheimer, che non siano meri parcheggi in attesa della fine, o una convivenza fortemente problematica e faticosa in famiglia. Forse, però, occorrerebbe investire – molto di più di quanto si faccia, almeno da noi – sulla ricerca di prevenzione e cura, affinchè questa malattia così subdola sia affrontata con valide risorse.
Pezzo splendido, come sempre.
Riconoscimento delle nostra fragilità, certo. E anche condivisione solidale, desiderio di fare bene il bene, soddisfacimento di una delle pulsioni primordiali di ogni essere umano: quella di dare una mano quando serve, amorevolmente.