Fine vita: essere o non essere coinvolti?
Palliative Medicine e diretta da Barbara Daveson, che si è proposta di comprendere se effettivamente i cittadini europei vogliano essere coinvolti nelle decisioni (la ricerca è scaricabile gratuitamente al link: http://pmj.sagepub.com/content/early/2013/02/13/0269216312471883)
I risultati, per quanto riguarda l’Italia, sono i seguenti (vicini alla media europea): il 78% dei nostri connazionali aspira a essere coinvolto sulle decisioni di fine vita se lucido e cosciente. Nel caso di uno scenario d’incapacità decisionale, invece, solo il 47% affiderebbe alle direttive anticipate la propria volontà, mentre il 53% preferirebbe delegare, al coniuge o ai medici.
Le persone che desiderano maggiormente un proprio coinvolgimento sono, per lo più, benestanti e con istruzione superiore, di genere femminile, in un’età compresa tra trenta e cinquantanove anni, e sono inclini a dare più importanza alla qualità della vita che alla sua quantità. Mentre chi è economicamente svantaggiato e gli anziani sembrano inclini a lasciare ad altri il compito di scegliere per loro, e pensano che sia bene morire in ospedale. Dati su cui varrebbe la pena riflettere, e sui quali anche chi fa informazione dovrebbe fare un esame di coscienza.
L’Italia rappresenta la media europea, ma è ancora distante dalle alte percentuali rilevabili, ad esempio, in Germania (il 91% di cittadini desidera partecipare alle decisioni, e ben l’83% anche se non più cosciente, mediante living will). C’è chi sta peggio di noi, ad esempio il Portogallo, dove solo il 17% degli intervistati preferirebbe scegliere in prima persona se si trovasse in stato d’incoscienza.
Tuttavia, come mai nel nostro paese è così difficile pensare di lasciare direttive anticipate? C’è ancora molto da fare sul piano culturale: la logica dell’alleanza terapeutica non si è ancora affermata in tutti i contesti, manca una legge sul testamento biologico (siamo gli unici, insieme al Portogallo, a non averla), c’è una grande confusione sui concetti che hanno a che fare con la fine della vita, sfruttata a fini propagandistici sia dai cattolici che dai laici.
Manca, prima di tutto, l’informazione approfondita. Quando i cittadini sono ben informati di quali siano le decisioni che dovrebbero prendere, e come; di quali siano le implicazioni fisiche, psicologiche e etiche delle loro scelte, riflettono di più e rispondono in modo più maturo. Lo dimostra l’evento tenutosi a Torino da Avventura Urbana nel 2009, nel contesto di Biennale Democrazia: in quel caso, dopo una capillare e imparziale informazione dei partecipanti al Town Meeting, il 74% affermò che se il testamento biologico avesse valore legale, avrebbe preso la decisione di scriverlo, mentre solo l’11% si sentiva certo che non lo avrebbe fatto.
Chiedo a voi: avete scritto il vostro testamento biologico, anche se non ha ancora valore legale? Se lo avesse, lo scrivereste?