La narrazione guidata e l’elaborazione del lutto, intervista a Nicola Ferrari, di Marina Sozzi
Abbiamo intervistato Nicola Ferrari, dell’associazione Maria Bianchi, che da anni si occupa di sostegno al lutto, su una strategia che ha chiamato “La narrazione guidata”.
Tu hai studiato una strategia di elaborazione del lutto che si chiama Narrazione Guidata. È un metodo che permette alle persone in lutto di trovare le “parole giuste”. Perché è importante trovarle?
Trovare le parole ‘giuste’, cioè quelle vere, quelle che cor-rispondono a ciò che sentiamo e desideriamo, non è importante. È decisivo. Scoprire le frasi e i termini che definiscono il nostro dolore, il lascito di chi abbiamo perduto e le modalità per continuare ad amarlo, permette di creare una separazione tra l’Io e l’esperienza di perdita, crea dei confini all’assenza. Il dolore che si può esprimere, che ha parole per se stessi autentiche e autorevoli, si trasforma: da un vissuto nel quale affoghiamo ad una realtà che ha caratteristiche e aspetti definibili. E tutto ciò che si può esprimere, che ha parole per raccontarsi, può essere affrontato, non solo subìto.
Alle spalle di questo metodo c’è una particolare teoria del lutto?
Se intendiamo teoria come modalità di lettura dell’evento, assolutamente sì. La Narrazione Guidata non a caso l’abbiamo denominata ‘sistema logico-linguistico’ proprio per sottolineare quanto sia importante partire da un progetto che inizia proprio dal modo in cui si intende il lutto, i processi elaborativi, la ricostruzione esistenziale, per poi procedere con la stessa logica rispetto a definire cosa è una relazione d’aiuto, come si decidono gli obiettivi da raggiungere… Bisogna in altri termini oltrepassare idee e modelli, fortemente radicati in Italia, che attribuiscono ad esempio alla narrazione un’efficacia che per il solo fatto che si condivide con altri produca cambiamenti in chi vive un lutto. Dotarsi di un modello interpretativo sull’esperienza del lutto significa mettere in pratica un progetto di supporto, non solo una vicinanza e solidarietà umana a chi soffre, esperienza certamente importante ma non strategica in chi fatica a superare questa fase della vita. In questa sede sarebbe troppo lungo spiegare questo sistema ed eccessivamente riduttivo sintetizzarlo in poche frasi ma c’è l’assoluta disponibilità ad approfondirlo con i lettori di questo blog tramite contatti individuali.
Come funziona concretamente la Narrazione Guidata?
E’ l’attenzione assoluta al linguaggio, cioè alla forma che si utilizza nel raccontare il proprio vissuto di perdita nelle sue dimensioni emotive, esistenziali, cognitive, pratiche… Si tratta cioè di aiutare la persona in lutto, durante gli incontri individuali ma anche nei gruppi o tramite la scrittura, attraverso domande esplicite e implicite, riformulazioni, richieste dirette di chiarimenti, proposte alternative di parole, rimandi e tante altre strategie linguistiche, a trovare il linguaggio che esattamente gli cor-risponde, che in maniera sempre più precisa, e quindi vera, lo definisce. Questo percorso linguistico, alternato ovviamente all’ascolto silenzioso, alla condivisione di emozioni ed esperienze e a tutto quello che si mette in campo in una relazione d’aiuto, permette a chi soffre di rivelarsi a se stesso con lo scopo finale di rispondere alla domanda centrale di questo processo: amore mio, amore che non sei più qui con me, come posso continuare ad amarti?
Ci sono dei facilitatori. Chi sono? Come vengono formati?
Abbiamo un gruppo di operatori della Narrazione Guidata all’interno dell’Associazione Maria Bianchi e molti altri esterni ne abbiamo formati in questi ultimi quindici anni. Ci sono adesso gruppi di auto aiuto per il lutto in Italia che utilizzano questo metodo e/o che lo integrano con ciò che già fanno, vari professionisti come psicologi e psicoterapeuti, cerimonieri e operatori funebri, docenti che vivono l’esperienza della comunità scolastica in lutto. Il percorso non è breve, non si tratta di lezioni frontali, perché quello che voglio è far sperimentare in prima persona ai partecipanti la Narrazione Guidata. Per questo partiamo sempre dai vissuti personali di lutto o di perdita: ognuno prova su di sé, con i nostri stimoli, cosa provoca la riflessione e il continuo aggiustamento delle parole utilizzate. Poi si tratta di trovare insieme il modello interpretativo di cui parlavo prima per costruire un progetto che sia a ognuno realmente corrispondente. Tutto questo prevede tempi distesi, pause di riflessione e approfondimenti tra un incontro e l’altro, totale coinvolgimento personale. Bisogna in altri termini imparare a guidare la narrazione, non il narrato. È un’esperienza, almeno per me e noi dell’associazione, tanto impegnativa quanto magnifica.
La Narrazione Guidata ha qualcosa in comune con la medicina narrativa? Hai tratto spunto da questa disciplina?
Ho rubato da molte parti. Non credo ci sia più la novità assoluta, la scoperta di una innovazione che cambi tutto lo scenario. Si tratta di conoscere ciò che già si fa, che altri hanno studiato, messo in pratica e sperimentato per poi piegarlo allo specifico nostro, in questo caso i processi di ricostruzione esistenziale dopo una perdita. Senz’altro tutta la riflessione e la pratica della Medicina Narrativa costituisce una bacino enorme da cui attingere, così come gli studi classici e più frequenti sul lutto, una parte della PNL, le fondamenta dei gruppi di auto aiuto ma anche, almeno per me, ciò che attraverso altre strade illumina il buio: la poesia di Emily Dickinson, i racconti di Raymond Carver, la pittura di Van Gogh, la musica di J.S.Bach, alcuni film e serie (Six Feet Under, After Life solo per citarne alcune). Credo che sia necessario riempirsi degli altri, dei risultati dei loro cuori e delle loro menti, e poi tenerseli dentro, farli vivere, accoglierli per trasformarli in qualcosa di totalmente personale e unico.
C’è qualcosa che desideri dirmi e che non ti ho chiesto?
C’è stato un momento nella mia vita che ho sempre impresso come assolutamente decisivo perché mi fece capire il valore e l’efficacia della Narrazione Guidata. Ero a Parigi con la mia famiglia, molti anni fa, a visitare il Museo Rodin. C’era un caldo terrificante ed io ero all’esterno con mio figlio piccolo di 2 anni nel giardino di questa villa-museo. Lui si avvicina ad una ragazza che stava copiando con fogli e matite le sculture poste all’esterno. Li vedo entrare in contatto, ero a qualche metro: qualche parola, sguardi reciproci, mio figlio che tocca i fogli, lei disponibile. Sento che gli chiede come si chiama e lui risponde: Andrei. In quel momento la ragazza inizia a piangere, si guarda intorno smarrita. Mi avvicino. Era la compagna di uno dei vigili del fuoco intervenuti per primi l’undici settembre. Iniziamo a parlare e mi racconta. Aveva saputo dagli altri vigili presenti che il suo fidanzato aveva capito che il grattacielo sarebbe crollato ma decise di entrare e uscire, entrare e uscire per salvare più persone possibili. Ha preferito salvare loro invece che il nostro amore, mi disse ad un certo punto. Era arrabbiata, delusa, vinta. Una persona così, come la definiresti? le chiesi.
Ricordo che rimase in silenzio, lo sguardo verso l’altro, gli occhi a destra, a cercare la parola cor-rispondente. Poi si rilassò, un sorriso appena accennato. Il con-tatto con il suo sé più profondo era avvenuto, in un contesto assolutamente non strutturato, senza preparazione e nulla di quello che cerco di attivare quando c’è una relazione d’aiuto con una persona in lutto. Quella parola era e resta sua ma fu, me lo disse l’anno dopo quando andammo a trovarla a New York, decisiva: smise di fare la guida a Ground Zero, iniziò una nuova relazione che portò alla nascita di due figli. Mi ricordo ancora con stupore e incredulità quando alla fine mi disse che Andrei era il nome che, insieme al suo compagno deceduto, si erano promessi, durante un viaggio in Italia vicino a Mantova (dove io abito), di dare al loro figlio se fosse rimasta incinta.
Quando sarà il prossimo corso per facilitatori di narrazione guidata?
Inizieremo in marzo, con un percorso a distanza per i motivi ben noti, in collaborazione con Scuola Capitale Sociale; i dettagli qui.
Mi preme sottolineare, perché la vivo come una risorsa, come in questi percorsi partecipino persone che hanno ruoli diversi rispetto all’esperienza della perdita: professionisti, facilitatori di gruppi AMA, operatori nelle agenzie funebri, cerimonieri laici, studenti, singoli che vogliono acquisire competenze spendibili sul campo. Questo dato conferma sempre di più quanto sia importante apprendere ciò che si può utilizzare, ciò che favorisce un reale cambiamento e non solo perché aggiunge conoscenze, riflessioni, idee.
È da un po’ di tempo che cerco di affrontare questa questione con altre persone impegnate nel campo del lutto che hanno ruoli e competenze diverse per cercare di trovare una maggiore correlazione e arricchimento reciproco tra ricerche, studi, pratiche, analisi. Non è affatto facile, ci sono molte resistenze ma questa è un’altra storia.
Per approfondimenti è disponibili il libro: Narrazione Guidata: un modello logico-linguistico. Teoria e pratica di un modello d’intervento nelle situazioni di lutto.
La versione cartacea si può richiedere direttamente all’Associazione Maria Bianchi, la versione e-book (anche in inglese e spagnolo) è disponibile su tutte le principali piattaforme.
Cosa pensate di questo approccio? lo conoscevate? pensate possa essere adeguato all’elaborazione del lutto?