Si può dire morte
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Tag Archivio per: Eutanasia

Eutanasia, lo stato dell’arte, di Marina Sozzi

20 Agosto 2021/46 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Non possiamo non riprendere, su questo blog, il tema dell’eutanasia, ultimamente molto discusso nel nostro paese, anche per via del referendum sul quale si stanno raccogliendo moltissime firme.

Partiamo dal quesito referendario, che prevede l’abrogazione di parte dell’art. 579 del codice penale concernente l’omicidio del consenziente. L’articolo resta valido solo qualora sia stata data la morte a un minore, a persona inferma di mente o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, o a persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia oppure carpito con l’inganno.

È bene ricordare che il referendum non è quindi volto a inserire nel nostro ordinamento una legge sulla morte volontaria (il referendum in Italia può essere solo abrogativo), ma a eliminare una difficoltà sulla strada dell’approvazione di una depenalizzazione dell’eutanasia. Occorrerà quindi poi discutere una proposta di legge in parlamento.

Veniamo quindi al Testo unificato adottato come testo base dalle commissioni riunite II e XII della Camera, in una seduta piuttosto burrascosa, martedì 6 luglio 2021.

Per dare un’idea della superficialità e confusione con cui si sta affrontando il problema, va anche detto che, probabilmente nella foga della raccolta firme, il sito del referendum presenta ancora una proposta di legge in quattro articoli, superata dalla discussione alla Camera, e piuttosto inquietante, nella sua assoluta mancanza di garanzie per il cittadino che richiede di accedere alla morte volontaria.

Ma torniamo al testo base (che deve ancora subire l’iter emendativo, e che potete leggere integralmente a questo link. Il testo stabilisce la facoltà di una persona “affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta” di richiedere assistenza medica per porre fine volontariamente alla propria vita. La definizione di morte volontaria è piuttosto generica, ma mette l’accento sull’autodeterminazione. Per poter fare richiesta eutanasica occorre essere maggiorenni, in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, e soffrire fisicamente o psicologicamente in modo intollerabile. Il comma 2 precisa che la persona in questione deve “essere affetta da una patologia irreversibile o a prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile, o essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (e va notato che la possibilità di rifiutare i trattamenti di sostegno vitale è già contemplata nell’ottima legge 219/2017), ed “essere assistita dalla rete di cure palliative o abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale” (su questo aspetto , che ritengo cruciale, torneremo).

Ma completiamo la descrizione del testo base. La richiesta di morte volontaria, che deve essere “informata, consapevole, libera ed esplicita”, deve essere indirizzata “al medico di medicina generale o al medico che ha in cura il paziente ovvero a un medico di fiducia” (anche su questo aspetto torneremo). L’articolo 5, che norma le modalità, dovrebbe garantire la tutela del paziente, affinché la morte avvenga “nel rispetto della dignità della persona malata e in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi”. Il medico che ha ricevuto la richiesta “redige un rapporto sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni che l’hanno determinata e lo inoltra al Comitato per l’etica nella clinica territorialmente competente”. Il comma 3 precisa che occorre verificare, perché la domanda sia ricevibile, se la persona è stata adeguatamente informata sulle sue condizioni e sui trattamenti sanitari ancora attuabili, in particolare sul proprio diritto ad accedere alle cure palliative. Il Comitato per l’etica dà il suo parere (in sette giorni), e lo invia al medico e al cittadino richiedente. Qualora il parere sia favorevole, il medico lo trasmette, insieme a tutta la documentazione in suo possesso, alla Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria Territoriale o Ospedaliera di riferimento. L’articolo 6 è dedicato all’istituzione dei Comitati per l’etica, multidisciplinari, autonomi e indipendenti, e costituiti da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, sociali e bioetiche (e dico solo che mi auguro che non si trasformino in pachidermi burocratici come i comitati etici già costituiti). Infine l’articolo 7, «Esclusione di punibilità», oltre a decretare la non punibilità del medico che abbia seguito la procedura di questa legge, ne stabilisce la retroattività.

Questo è l’essenziale.

Come sanno i lettori di questo blog, le mie perplessità intorno all’eutanasia in Italia non riguardano ragioni di tipo religioso o ideologico: la mia posizione è laica e credo che la vita sia disponibile per l’uomo.

Tuttavia, ho alcune preoccupazioni, o dubbi, che proverò a elencare.

La prima è che stiamo discutendo di una legge sull’eutanasia, facendo finta che la legge 38 del 2010 e la legge 219 del 2017 siano pienamente applicate, il che è assolutamente falso.
Siamo in un contesto in cui due italiani su tre non conoscono le cure palliative, o ne hanno un’immagine del tutto distorta; i medici di medicina generale e molti specialisti ne sanno poco di più, e i pazienti arrivano quasi sempre troppo tardi ad essere seguiti in cure palliative, a domicilio o in hospice.

Qualora a questo incerto percorso (che attende ancora di essere esteso a tutte le patologie) si aggiunga la possibilità di chiedere l’eutanasia, c’è il rischio che diventi più pratico, veloce ed economico abbreviare la vita piuttosto che migliorarne la qualità. A discapito dell’autodeterminazione, tanto sbandierata dai sostenitori convinti dell’eutanasia. Un punto del testo base che non condivido affatto è quello che riguarda l’eventuale rifiuto delle cure palliative come porta d’accesso all’eutanasia. L’approccio palliativo non è l’alternativa all’eutanasia: solo chi non sa nulla di fine della vita può pensare che abbia senso far scegliere al paziente l’uno o l’altra come si sceglierebbe tra due opzioni equipollenti. L’approccio palliativo non riguarda solo la fine della vita. Quindi un paziente che non sia mai stato seguito con tale approccio non può avere alcuna idea di come starebbe se fosse stato preso in carico correttamente fin dalla prognosi infausta, o dai primi sintomi disturbanti.

La seconda preoccupazione riguarda i medici di medicina generale. Trovo inoltre del tutto inappropriata (e frutto della scarsa dimestichezza degli estensori della legge con la fine della vita) l’idea che la richiesta eutanasica possa essere gestita dai medici di famiglia. I medici di base sono professionisti a cui chiaramente si sta chiedendo troppo, e glielo si sta chiedendo male. Per chi si occupa di cure palliative è consueto avere a che fare con medici di medicina generale, poco formati sull’accompagnamento di fine vita, che sono recalcitranti nell’attivazione delle cure palliative, che pure è già loro compito. Davvero pensiamo che possano essere caricati della responsabilità di accogliere una richiesta eutanasica?

Ma la difficoltà non riguarda solo i medici di base, ma anche tutti gli specialisti, poco abituati a confrontarsi con la prognosi infausta e l’approssimarsi della morte, poco inclini a dare tutte le informazioni al paziente, nonostante la legge 219.

Ed è per questo che mi viene un pensiero, forse non così peregrino (mi direte voi cosa ne pensate). Se proprio una legge sull’eutanasia deve essere approvata nel nostro paese, gli unici che potrebbero farsi carico di una richiesta di questo tipo sono proprio i palliativisti, che hanno preso in carico il paziente e la famiglia, ne hanno esaminato il caso approfonditamente in équipe, conoscono il livello di sofferenza del paziente, possono valutare insieme a lui e ai familiari tutte le opzioni (compresa la sedazione palliativa), prima di giungere alla scelta eutanasica. Questo permetterebbe ai cittadini di scegliere davvero, facendolo all’interno di un percorso di cure palliative che deve cominciare per tempo, possibilmente in modo simultaneo alle cure attive.

Attendo, come sempre, le vostre considerazioni.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2021/08/image-asset-e1629380803365.jpg 266 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2021-08-20 09:00:002021-08-19 16:17:14Eutanasia, lo stato dell’arte, di Marina Sozzi

Punti interrogativi e silenzio, di Ferdinando Garetto

3 Marzo 2017/20 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

imgresRiceviamo e con piacere pubblichiamo la riflessione del dottor Ferdinando Garetto, medico palliativista della Fondazione Faro e Consulente del Servizio di Oncologia del Presidio Sanitario Gradenigo di Torino

La notizia meriterebbe rispetto e silenzio: un uomo di trentanove anni, Fabiano, reso gravemente invalido da un incidente,  perfettamente lucido e con un’attesa di vita probabilmente non diversa da quella di altri suoi coetanei nelle sue condizioni, disperato per la terribile invalidità, decide di suicidarsi. Viene accompagnato in uno Stato che approva il suicidio assistito, e con un’ “approfondita” valutazione (durata meno di 24 ore) è aiutato a morire. Cioè viene ucciso (o messo nelle condizioni di uccidersi), per pietà. Questa la definizione dal punto di vista della bioetica: e lascio volutamente da parte le polemiche estremiste sugli interessi economici, ben noti, delle società organizzate che provvedono a tali procedure.

Vuoto, disperazione, dolore, compassione, astensione dal giudizio sono le uniche parole autenticamente umane che meriterebbero di essere utilizzate.

Intanto, i mass media collegano il “caso” di Dj Fabo alla legge sulle Disposizioni (o forse Dichiarazioni, vedremo…) Anticipate di Trattamento in discussione in Parlamento. Occorre assolutamente sottolineare che tale legge, anche se fosse già stata approvata, non avrebbe certo permesso al giovane uomo di concludere in questo modo la sua vita… vita che non era “alla fine”. La legge in discussione non prevede l’eutanasia, per essere chiari. Né “attiva” né passiva” se proprio vogliamo usare una terminologia ambigua e confondente che non avrebbe più molto senso di essere usata: tutt’altro è la sedazione intenzionale profonda, ma non è questo l’ambito in cui approfondire il tema.

Fabiano aveva un “male dell’anima” oltre che del corpo ferito, che –forse- avrebbe potuto essere in altri modi curato. Chissà… Chi può dirlo? Quel che è certo, è che non sono i ritardi della legge ad “averlo sulla coscienza”, come è stato detto da qualcuno.

Piuttosto, la Società intera forse dovrebbe farsi un esame di coscienza, ma siamo ancora capaci di coscienza? Di vicinanza? Di Senso e Significato? Di Società? Lasciateci il diritto, in questo momento, di rimanere in silenzio, con nella mente e nel cuore le infinite storie quotidiane che nelle case e nelle famiglie vanno diversamente: ma sarebbe un oltraggio, anche per queste tante storie diverse, “sbandierarle” e “urlarle”, come in uno stadio dove il tifo acceca e toglie lucidità.

I tuttologi spaventano per le loro certezze. Se ne vedono tanti, alcuni particolarmente prestigiosi e molto presenti. E un uomo è morto. “Con una procedura durata circa mezzora”. Musica di sottofondo. Pubblicità.

Rimanere, in silenzio, dicevamo, senza risposte, ma “rimanere”, “stare”, “stare accanto”… Da qui si aprirebbe il grande capitolo delle cure palliative, il grande diritto “a non soffrire” che è uno dei diritti più dichiarati (senza bisogno di altre leggi), ma al tempo stesso misconosciuti.

Non varrebbe la pena di unire le forze per questo? La legge 38/2010 prevede questo diritto per ogni cittadino italiano, ed è una legge fra le più avanzate d’Europa. La legge sulle DAT in discussione in Parlamento ci pone in linea con le posizioni delle articolate legislazioni europee, come quella francese. E ci porta avanti in questo cammino.

Invece i “casi limite” sanno di forzatura, di tentativo di “spallata”, e finiscono solo per frammentare, accendere gli animi, e in definitiva ritardare l’approvazione della legge o forse rovinarla: qualche risultato deteriore in tal senso sembra lo stiano già ottenendo… Ma è questo ciò che si vuole?

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Distinguiamo bene i termini: limitazione delle cure non è eutanasia, di Maria Teresa Busca

8 Ottobre 2016/1 Commento/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Definition of word euthanasia in dictionaryIn Italia il dibattito sulle materie eticamente sensibili, e quindi anche sulle questioni riguardanti il fine vita, oscilla tra una radicale ideologizzazione e il silenzio. Dilaga la spettacolarizzazione mediatica della malattia e della morte, che tende a sostituire la necessaria profondità e complessità della riflessione. Questa situazione si accompagna a una confusione di termini, significati e contenuti, sia nell’ambito dell’informazione sia in quello della politica: sovente espressioni quali “limitazione delle cure”, “eutanasia” e “suicidio assistito” vengono tutte ricomprese nella parola-contenitore “eutanasia”.

Al contrario, un approccio ragionato, basato sulla condivisione del significato preciso che si intende dare alle parole si dimostra l’unico davvero utile a compiere scelte individuali meditate e consapevoli alla luce del principio di autodeterminazione.

Infatti, quando in ambito scientifico o giuridico si parla di limitazione delle cure, eutanasia e suicidio assistito s’intendono concetti del tutto diversi tra loro. Tali concetti implicano scelte compiute da persone affette da malattie differenti per natura e gravità, attuate con differenti responsabilità e implicazioni morali. Ma qual è l’obiettivo primario della riflessione bioetica, se non fornire strumenti per prendere decisioni in maniera razionale, autonoma e responsabile? Per questa ragione è necessario prima di tutto fare chiarezza, esaminando attentamente tali differenze per avviare una discussione aperta e non ideologica sul tema del fine vita.

Per “limitazione delle cure” s’intende l’interruzione o il non avvio di trattamenti diagnostici o terapeutici che risultino eticamente sproporzionati e/o clinicamente inappropriati. Sono eticamente sproporzionati i trattamenti che per il malato comportano oneri superiori ai benefici attesi. Gli oneri s’intendono come oggettivi, cioè previsti dalla scienza medica – gli effetti collaterali dei trattamenti – o soggettivi, quelli percepiti come tali dal malato. Sono invece clinicamente inappropriati i trattamenti che non corrispondono più ai criteri di efficacia e appropriatezza clinica, non essendo più in grado di modificare positivamente la prognosi (guarigione o stabilizzazione della malattia).

In Italia, la limitazione delle cure è prevista dall’articolo 16 del Codice di Deontologia Medica e può attuarsi in qualsiasi contesto assistenziale.

Una limitazione delle cure può avvenire a seguito della decisione del malato che esprime insindacabilmente il suo dissenso rispetto all’inizio delle cure o che, altrettanto insindacabilmente, ritira il suo consenso alla loro prosecuzione, come garantito dall’articolo 32 della Costituzione (che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, garantendo cure gratuite agli indigenti e stabilendo che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge). Oppure per decisione dei medici nel caso di un malato non più in grado di decidere per sé, quando le cure e/o i supporti vitali, non contrastando più validamente il processo di malattia, non sono in grado di modificare una prognosi ormai certamente infausta. In quest’ultima situazione i fatti salienti sono: la liceità morale di evitare inutili sofferenze; l’irreversibilità del processo del morire scientificamente provata; il limite sperimentato della cura; l’inutilità della sua prosecuzione.

La causa della morte in questo caso è dunque la malattia. La limitazione delle cure non viene quindi posta in essere per abbreviare la vita del malato; in ciò differisce dall’eutanasia o dal suicidio assistito, che invece hanno lo scopo di causare nel più breve tempo possibile e in maniera indolore la morte del paziente, ma per lasciare che si concluda un processo di morte causato da una malattia non più guaribile o stabilizzabile.

Il senso dell’agire clinico non si colloca tra “fare” o “non far nulla”, ma tra “fare” o “fare altro” (cfr. a tal proposito il documento prodotto dal Cortile dei Gentili e presentato al Senato il 17 settembre 2015, Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita)

Vale a dire, l’agire clinico deve saper abbandonare i trattamenti sproporzionati per garantire invece una presa in carico globale del malato, finalizzata a migliorare la qualità della parte finale della sua vita, riducendone la sofferenza psicologica e fisica e risparmiandogli la solitudine, considerandolo vivo fino alla fine e meritevole di solidarietà e di rispetto per la globalità della sua persona attraverso le cure palliative.

Nel documento Linee propositive è inoltre evidenziata la necessità di riconoscere che la dignità della persona è da individuare proprio nella sua libertà di scegliere il rifiuto di cure sproporzionate, preferendo un accompagnamento di tipo palliativo. Questa considerazione è importantissima ancora una volta rispetto alla necessità di non confondere questa scelta con quella dell’eutanasia e del suicidio assistito. Nel rispetto della diversità delle impostazioni teoriche, il documento rappresenta un concreto esempio di come sia possibile, con sincerità e rigore, non solo ascoltarsi, ma anche ritrovarsi in qualità di appartenenti a un’unica comunità.

Voi, quando leggete sui quotidiani a proposito dell’eutanasia, siete coscienti di queste differenze di significato? O ritenete che spesso non sia chiaro il senso in cui si parla di eutanasia a livello mediatico? Mi piacerebbe sapere quali idee avete quando sentite parlare di “eutanasia” nei discorsi pubblici e se tali idee tengono conto della distinzione tra limitazione della cura, eutanasia e suicidio assistito.

 

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2016/10/Fotolia_86049433_S-1-e1475870346642.jpg 264 349 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2016-10-08 08:12:002016-10-08 08:12:00Distinguiamo bene i termini: limitazione delle cure non è eutanasia, di Maria Teresa Busca

Eutanasia e Stato etico

29 Marzo 2016/14 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

age, sadness, trouble, problem and people concept - sad senior woman sleeping on pillow at home

Ai primi di marzo le Commissioni congiunte di Giustizia e Affari Sociali hanno cominciato a discutere sul tema dell’eutanasia, con l’obiettivo di accordarsi su una proposta di legge che dovrebbe approdare in parlamento intorno a luglio. Qualche breve articolo sull’argomento ci ha informati che ci sono tre proposte di legge da esaminare, il cui testo, con l’esclusione di quello dell’associazione Coscioni (http://www.eutanasialegale.it/content/progetto-di-legge-diniziativa-popolare-rifiuto-di-trattamenti-sanitari-e-liceita), è difficile se non impossibile da reperire sul web (cattivo segno per la discussione democratica). Non mi dilungo sulle proposte, perché è già stato fatto: le tre proposte di legge si differenziano solo su due punti, la presenza o meno di organismi di controllo, e la possibilità (negata in due di esse) data ai medici di obiettare.

Faccio subito qualche considerazione che, ammetto, sono quasi stanca di riproporre.

E proprio per questo mi faccio prestare le parole dalla presidente di Libera Uscita, Maria Laura Cattinari, che non può essere tacciata di essere contraria all’eutanasia, e che – in un condivisibile Comunicato stampa sul tema – ha affermato: «Oggi in Italia si muore ancora troppo male. E’ urgente, per cominciare, una buona legge che legalizzi il testamento biologico, prevedendo che tutte le terapie, idratazione e alimentazione artificiale comprese, siano rinunciabili, e che le nostre direttive siano vincolanti per i medici».

Dovremmo inoltre poter nominare un nostro fiduciario, che possa rappresentare efficacemente la nostra voce qualora dovessimo trovarci in stato di incoscienza o di volontà debole a causa del nostro stato di salute compromesso. Altrettanto indispensabile, scrive Cattinari «il potenziamento delle cure palliative domiciliari, giustamente inserite nei LEA (livelli essenziali d’assistenza) dall’ottima Legge 38/2010, di cui gli effetti positivi appaiono ancora in dose omeopatica».

Invece di riflettere sul problema (molto complesso) di come permettere ai cittadini di lasciare un legittimo testamento biologico, si dà la priorità all’eutanasia, ben sapendo che la discussione parlamentare non potrà che creare aspri e inutili scontri, portando il Paese a un nulla di fatto. Ancora una volta, è evidente che valutazioni di opportunità politica hanno la meglio sul benessere dei cittadini e sulla tutela della loro salute e delle loro scelte di vita e di fine vita.

E’ evidente a chiunque rifletta in modo concreto, infatti, che l’eutanasia è l’ultimo dei problemi, alla fine della vita: le cure palliative e la sedazione terminale – che sopprime la coscienza – sono perfettamente in grado di garantirci una morte senza sofferenza. Solo che le cure palliative non sono applicate a tutte le patologie (disattendendo la legge 38 che le definisce come un “diritto” per tutti i cittadini), e spesso non sono applicate (anche per incompetenza) a chi muore in ospedale.

Per altro verso, viviamo in un paese con pochissima creatività istituzionale, in cui gli anziani, il cui numero è destinato a crescere esponenzialmente, sono chiusi (con o senza demenza senile) in case di riposo, dove la maggior parte di loro perde progressivamente l’autonomia e la consapevolezza residue. E anche in questi luoghi si muore male, o meglio si vive un processo del morire lunghissimo, abbandonando ogni giorno una parte del piacere di vivere.

Qualcuno mi ha rimproverato, anche su questo blog, di avere “resistenze” di fronte all’eutanasia: è vero, io resisto, perché credo che la depenalizzazione dell’eutanasia oggi (sottolineo oggi, perché la mia contrarietà non è di principio) avrà come esito di risolvere al ribasso una serie di sfide del nostro tempo, create da una medicina cresciuta nelle sue possibilità di cura ma anche nella sua capacità di nuocere, prolungando il morire.

Non vorrei che il problema dell’umanizzazione della medicina si smorzasse attraverso una legittimazione troppo superficiale dell’eutanasia, ottenuta per via parlamentare, senza un vero dibattito pubblico. Non hai più gusto per la vita? Soffri? Ti permetto di chiedere la morte. E’ corretto? E se cercassi invece di ascoltare in che modo la vita potrebbe avere ancora sapore per te (fosse anche per pochi mesi o giorni), e utilizzassi le risorse della medicina per provare a restituirtelo?
Non esiste solo il diritto (sacrosanto) di non soffrire, ma anche quello di decidere che cosa è più importante per noi nell’ultimo tratto della nostra vita; quali sono i compromessi che siamo disposti ad accettare per vivere un po’ più a lungo e quali no; cosa vogliamo lasciare di noi ai nostri cari, quale ricordo, quale messaggio.

E’ curioso peraltro che l’eutanasia sia presente in alcune utopie di epoca moderna. Permettetemi una sola citazione dotta: nel volume settecentesco La terre australe connue di Gabriel de Foigny ogni vegliardo, che decide la propria eutanasia, va “gaiamente” incontro alla morte, e i sopravvissuti accolgono con gioia il suo successore designato. I vecchi, però, interrompono la loro vita ad un’età prestabilita, mangiando i frutti di un albero che produce una dolce follia, e poi la morte. E’ lo Stato etico, in utopia, a stabilire quando bisogna morire. Gli utopiani si adeguano, perché in loro prevale la razionalità.
E noi? Sappiamo pensare alla morte come esseri senzienti, con la consapevolezza delle nostre emozioni?

Infine, c’è in me un’ultima resistenza, di cui voglio mettervi a parte: la vicenda dell’eutanasia è legata a un mito della modernità (non a caso è presente nelle utopie di epoca moderna), un mito inaugurato da Descartes: il controllo pieno dell’uomo sulla natura. Siamo sicuri che vogliamo procedere su questa direttrice culturale? Che è anche quella che ci ha portati a distruggere il pianeta? Pensiamoci, almeno. Facciamo entrare altri spunti nella nostra riflessione sull’eutanasia.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2016/03/Depositphotos_88034236_m-2015-e1459164487831.jpg 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2016-03-29 09:50:282016-03-29 09:50:28Eutanasia e Stato etico

Eutanasia: bilancio in Olanda 2002-2013

13 Luglio 2015/4 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Sapete certo, cari lettori, che l’eutanasia non è il mio argomento preferito, per la riluttanza che ho a buttarmi nel dibattito ideologico e inconcludente che prevale nel nostro paese.
Tuttavia, ho ricevuto da un amico che vive in Olanda un articolo interessante, soprattutto per i dati che contiene (purtroppo non è più disponibile su Dutchnews.nl)
Una premessa necessaria, per chi non dovesse conoscere la legge olandese: tale legge sull’eutanasia non legalizza, bensì depenalizza, a certe condizioni, l’operato del medico che procura la morte del paziente che gliene ha fatto richiesta. E’ la legge stessa a esplicitare quali siano le condizioni che rendono il medico non punibile. Il medico deve avere la “piena convinzione” che la richiesta del paziente sia volontaria e ben ponderata, e che le sofferenze di quest’ultimo siano resistenti a terapia e insuperabili. Deve avere informato il paziente sulla sua situazione clinica e sulle sue prospettive, e deve aver consultato almeno un altro medico indipendente che abbia stilato un rapporto scritto dando parere favorevole all’eutanasia. Ogni singolo caso di eutanasia, poi, è esaminato da Commissioni regionali, che controllano che la legge sia stata rispettata pienamente. Con questa procedura, nessun medico praticherà l’eutanasia con leggerezza, sapendo che resterà perseguibile fino a prova contraria, e che il suo operato verrà vagliato con attenzione. La legge olandese non crea certo le condizioni per una diffusione incongrua dell’eutanasia (http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/136/136_la_legge_olandese.htm).
I dati forniti dall’articolo, innanzitutto:
1) I casi di eutanasia sono aumentati dai 1900 circa del 2002 ai 4829 del 2013, registrando una crescita di circa il 15% ogni anno. Non si tratta del totale degli individui che chiede l’eutanasia: vengono accolte solo il 38% delle richieste eutanasiche. Il 20% di queste ultime riceve un rifiuto, mentre il rimanente 62% cambia idea, oppure muore prima che la procedura si compia. E’ utile anche sapere che il numero dei suicidi non è diminuito, a fronte dell’aumento dell’eutanasia.
2) Il 70% dei medici afferma di aver subito forti pressioni per ottenere l’eutanasia, sia da parte dei pazienti sia da parte delle famiglie. Il 64% afferma che tale pressione è cresciuta negli ultimi anni.
3) Alcuni medici stimano che il parere della famiglia abbia una forte influenza sulla decisione del paziente in almeno un caso su cinque.
4) All’inizio il 90% delle richieste eutanasiche riguardava malati terminali di cancro. Oggi solo il 75% proviene da morenti con malattia oncologica.
Cosa possiamo dedurre da questi dati? Quali considerazioni ci invitano a fare?
Il fatto che le richieste eutanasiche siano aumentate, in sé, può rattristarci, ma non è tale da preoccuparci: potremmo imputare tale crescita all’invecchiamento della popolazione, alla maggiore tranquillità dei medici, alla maggiore informazione dei cittadini. O a tutte e tre le cose insieme.
Il dato relativo all’influenza e alla pressione delle famiglie, invece, induce a riflettere. Non penso, naturalmente, a famiglie che vogliano liberarsi dal “peso” della cura di un congiunto. In casi del genere la legge olandese è in grado di frenare l’eventuale medico compiacente.
Nell’articolo è narrata una storia vera, che riassumo: una donna malata di tumore allo stomaco ha dolori intollerabili. Affranta da tanta sofferenza, la famiglia aggredisce verbalmente il medico, rivendicando l’eutanasia per porre fine all’agonia. Viene chiamato un secondo medico, che modifica la cura e riesce a placare il dolore. La signora muore naturalmente, da lì a poco, ma dopo essersi accomiatata dai suoi e con molta maggior serenità. La famiglia esprime la sua immensa gratitudine.
Che cosa ci dice questo caso di eutanasia mancata? Stare vicino a un morente è un’esperienza dura, che scuote dall’interno. Soprattutto nella nostra cultura del “fare”, il semplice “stare”, dimorare accanto al malato e alla sua sofferenza, fa troppa paura. E si invoca l’eutanasia. Se poi, però, l’alternativa c’è, un commiato meno carico d’ansia è importante per tutti, per chi se ne va e per chi resta. Tanto più per i laici, che non hanno certezze oltre i limiti dell’umano e del terreno. E oggi gli strumenti contro il dolore nelle mani dei palliativisti si sono affinati: dobbiamo sperare che migliorino ancora, che le cure palliative siano estese a tutte le patologie, e quindi diventino disponibili per tutti i cittadini.
Le cure palliative azzereranno la richiesta eutanasica? L’Olanda ci dimostra che non è così. Le domande ci sono e ci saranno. Riguarderanno, probabilmente, sempre meno le patologie terminali, e mostreranno il loro volto più triste. Proverranno da chi avrebbe ancora vita a disposizione, non è in grado di togliersela perché immobilizzato, ma percepisce l’esistenza come un peso insopportabile. Su questi casi la risposta non può che giungere dalle persone stesse, con i loro cari e i loro curanti, dopo che saranno state sostenute in ogni modo, caso per caso, con l’attenzione rivolta alla specificità di ogni essere umano più che non all’universalità del diritto.
E, a proposito di diritto, credo che dobbiamo abbandonare il linguaggio dei “diritti”. Morire è una condizione di ciò che appartiene al mondo, una necessità con cui dobbiamo fare i conti, non un diritto. Porre la morte nell’ambito dei diritti è sintomo dell’inconsapevolezza della mortalità che permea i nostri contemporanei. I diritti, poi, hanno un’inquietante tendenza a trasformarsi in doveri. Ricordate il diritto alla felicità rivendicato dagli illuministi del XVIII secolo, presente anche nella Costituzione americana? Oggi noi dobbiamo essere capaci di raggiungere la felicità e il benessere, pena l’esclusione sociale.
Infine, per commentare il recente caso della ventiquatrenne belga con una grave depressione, non credo che si dovrebbe allargare la possibilità di praticare l’eutanasia alle persone depresse o con altri problemi psichiatrici, in grado di togliersi la vita se lo vogliono. In questi casi, voler morire fa parte dei sintomi della malattia. Purtroppo molte persone con depressione maggiore si suicidano.
Trovo però strano che proprio coloro che respingono indignati, da laici e libertari, l’idea di uno Stato etico, che imponga una morale unica ai suoi cittadini, accolgono l’idea dell’eutanasia per i cittadini sofferenti di depressione maggiore. Perché dovremmo investire la collettività di una responsabilità del genere, che appartiene solo all’individuo?

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Michele, la fine della vita e le italiche confusioni

13 Marzo 2015/8 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

La scorsa settimana, sulla Repubblica c’è stato un dibattito sull’intervista all’infermiere Michele di Careggi. Lo trovate a questo link: http://www.repubblica.it/cronaca/2015/02/26/news/io_infermiere_vi_racconto_leutanasia_silenziosa_nei_nostri_ospedali-108205220/
Dal mio punto di vista, si tratta di un esempio lampante dell’informazione approssimativa che si fa oggi sul tema della fine della vita. Un esempio di confusione, che non aiuta i lettori a riflettere, ma li invita soltanto a schierarsi. Per questo desidero commentarlo, e vorrei sapere la vostra opinione.
Intanto non ci viene detto in che reparto lavora Michele: per privacy, certamente. Ma un conto è lavorare in terapia intensiva, un altro conto in oncologia o in medicina. Se Michele ha a che fare con 30/40 casi l’anno di “terra di nessuno”, ossia di persone sospese tra la vita e la morte (e anche di morti tenuti a cuor battente da macchine) probabilmente stiamo parlando di una terapia intensiva. Il tema degli interventi salvavita estremamente rischiosi, che hanno talvolta come esito terribili casi di stati vegetativi, dovrebbe essere affrontato in primo luogo a monte: quando ha senso fare dei tentativi di rianimazione? Quando desistere?
In queste scelte, come è noto (e molti di noi lo hanno sperimentato per i propri cari), ha grande peso il timore da parte dei medici di essere accusati di incuria e abbandono terapeutico e di essere denunciati. Questo problema si affronta soprattutto sul piano culturale, diffondendo la consapevolezza dell’umana mortalità, accogliendo figure nuove nelle strutture sanitarie, come quella del bioeticista clinico: ben sapendo che i tempi del superamento dell’idea del medico onnipotente saranno lunghi, come tutti i cambiamenti di mentalità. Nel frattempo, certo, occorre una legge sul testamento biologico: perché il caso Eluana Englaro, diciamolo ancora una volta, non è stato di eutanasia, ma di interruzione delle cure. Una volontà (quella di non essere tenuta in vita in stato vegetativo) espressa da Eluana quando era una ragazza ventenne sana, anche se mai messa per iscritto, per sfortuna sua e del padre Beppino.
Michele parla poi di sospensione di farmaci: “smettiamo di darli (…) non facciamo più le cosiddette procedure invasive”. E anche qui, si tratta del condivisibile auspicio di una pratica medica che respinga l’accanimento terapeutico, che adotti la trasparenza verso pazienti e familiari, che si confronti sulle scelte. Entriamo nuovamente in un ambito di tipo culturale e di lungo periodo. Michele parla poi chiaramente di uno “scudo” legislativo, che difenda i curanti dalle accuse dei parenti, e lo identifica nel testamento biologico. E’ questo il testamento biologico? Uno scudo per i medici, ruolo che troppo spesso ha assunto anche il consenso informato? O non piuttosto uno strumento di scelta (e di educazione alla scelta) per i cittadini? Credo sia un’interpretazione al ribasso del ruolo del living will.
La fretta e l’impazienza, che informano la nostra cultura, non sono buone consigliere. Occorre lavorare molto, in tanti, per anni e forse decenni, per modificare la nostra cultura della cura e della morte. Certo non basta una “botta di morfina” per “morire in maniera degna, lasciando un bel ricordo di sé agli altri”: la propria buona morte la si prepara anche in vita, come scriveva Hans Küng.
La morfina ci vuole, senza lesinarla, così come la sedazione terminale, quando il dolore o la sofferenza non sono sotto controllo. Uno zio da me molto amato, con un cancro terminale alle ossa, mi guardò dritta negli occhi e mi disse con un filo di voce: “voglio dormire”. Gli chiesi se voleva essere sedato e rispose di sì con lo sguardo. Fu sedato e smise di soffrire, visse ancora due giorni e poi morì. Queste sono cure palliative, non eutanasia (non è ammessa la confusione): le cure palliative sono garantite a tutti i cittadini, indipendentemente dalla patologia, dalla legge 38 del 2010, ancora largamente inapplicata.
Altra cosa è l’eutanasia, e su questa occorre dire tutta la verità. Se avessimo ottime cure palliative, nel nostro paese, l’eutanasia riguarderebbe, alla fine della vita, ossia in fase avanzata di malattia, un numero esiguo di persone per le quali, come per la maggior parte di noi, non è questione di “spine da staccare”.
Il tema dell’eutanasia (considero eutanasia solo l’iniezione o il cocktail letale, non certo la morfina necessaria a togliere il dolore) riguarda non tanto i pazienti terminali, ma coloro che, pur avendo ancora un’aspettativa di vita di anni, non riescono a sopportare l’esistenza nella condizione di malattia in cui sono costretti. Se discutiamo di eutanasia, questo è il tema, ben più spinoso del dibattito sulla fase terminale delle malattie. Il che non significa che non sia legittimo porsi l’interrogativo sulla depenalizzazione dell’eutanasia, a patto che tale domanda sia impostata nel modo corretto.
Credo che si debba prendere coscienza del fatto che la risoluzione delle molteplici contraddizioni della medicina contemporanea si farà, giorno dopo giorno, con l’aumento della cultura dei cittadini su questi temi, cioè con un dibattito pubblico molto più ampio e onesto di quello presente.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2015/03/Mojo-Wang.png 837 1165 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2015-03-13 09:52:562015-03-13 09:52:56Michele, la fine della vita e le italiche confusioni

Non parlatemi più di spine da staccare!

27 Maggio 2014/18 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Sulla Stampa ha preso forma ancora una volta, nel botta e risposta tra l’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia e il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni Marco Cappato, un dibattito tipicamente italiano, invecchiato e sterile: quello sulle cure palliative e sull’eutanasia come soluzioni “alternative”.
Sirchia fa un condivisibile elogio alle cure palliative e mette in luce l’esigenza di migliorare la cultura della terapia del dolore. E aggiunge: «l’eutanasia è una grande mistificazione e un sofisma basato sull’assunto che il dolore sia peggio della morte (…) siccome morire è meno doloroso del dolore stesso, la morte viene considerata il male minore. Ma se alleviamo il dolore, il falso castello crolla”: dunque cure palliative contro eutanasia.
Marco Cappato risponde dicendo due cose diverse. Da un lato ammette che i paesi in cui c’è l’eutanasia sono quelli con i più alti standard di cure palliative. E denuncia anche le disparità che esistono nel nostro paese rispetto all’accesso alle cure palliative da parte dei cittadini. Dall’altro ribadisce che morire è una scelta, fermo restando il dovere dello Stato di fare il massimo per alleviare il dolore. Quindi: cure palliative e eutanasia devono poter coesistere, ma delle cure palliative si occupi qualcun altro.
Questa risposta continuo a non capirla. Lo stesso Cappato ammette che i paesi dove c’è l’eutanasia hanno ottime cure palliative (e non possiamo dire lo stesso dell’Italia). Perché allora non cominciamo da lì, visto che siamo tutti d’accordo che è una lotta necessaria?
E’ come se io avessi sete e fame, e davanti a fontana mi rifiutassi di bere finché non mi portano il pane: è illogico, e in questa mancanza di logica sono nascosti tre non detti.

1.L’indifferenza per il destino dei morenti, e la strumentalizzazione politica del tema. Altrimenti sarebbe ovvia la priorità da dare alle cure palliative e alla corretta applicazione della legge 38/2010.
2.La verità che il suicidio assistito, e/o l’eutanasia, non sono tanto risposte al dolore fisico irriducibile (o lo sono solo in minima parte), ma al male di vivere, quando le condizioni di vita sono difficili o intollerabili: ed è su questo che occorrerebbe discutere, perché il dibattito pubblico sia onesto. L’eutanasia riguarda le persone che non hanno più voglia di vivere perché troppo depresse, o con una malattia neurodegenerativa, o perché molto vecchie (cfr. le scelte svizzere di questi giorni), eccetera.
3.Non lo vogliamo davvero, in Italia, un dibattito pubblico informato su questi temi: è più utile creare polarizzazione delle opinioni e divisione. Evidentemente paga di più continuare a far pensare alla maggioranza degli italiani che morire significa trovarsi di fronte all’alternativa tra staccare e non staccare una spina (sic).

Vi prego, ditemi cosa ne pensate.

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Bambini e richiesta eutanasica

17 Febbraio 2014/10 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Premetto che non ho ancora letto il testo della legge che consente ai minori di chiedere l’eutanasia in Belgio. Mi pare di aver compreso che riguarda solo i bambini affetti da malattia oncologica. Niente eutanasia per i minori che hanno una qualità della vita molto penosa, ma che non sono in fin di vita. Non sono un pediatra, non so nulla di oncologia pediatrica, non ho mai visto un bambino in stato avanzato di malattia per cancro. E, se vogliamo aggiungere altre cose che non so, non conosco bene il Belgio, dove sono stata solo una volta, né la qualità della sua sanità.
Quindi, il mio non sapere non mi permette di fare affermazioni, ma solo domande.
Il primo quesito riguarda, naturalmente, le cure palliative per i minori. In Italia c’è solo un hospice pediatrico, e pochissime sono le associazioni di cure palliative che accolgono anche bambini e ragazzi. Come mai invece di investire per approfondire le conoscenze sul miglior modo per togliere il dolore ai bambini che hanno una malattia terminale, si propone di concedere loro l’eutanasia?
La seconda domanda ha a che fare con le affermazioni dei pediatri belgi. Questi ultimi negano di aver mai ricevuto richieste d’eutanasia da un bambino, come si può facilmente immaginare. Quando il dolore è insopportabile e la fine della vita è ormai vicina, perché non si usano gli strumenti delle cure palliative, già legali in Belgio come in Italia: ad esempio la sedazione terminale, che sopprime la coscienza (e quindi anche il dolore) senza togliere la vita?
Interrogativo ai cittadini: quelli che esultano di fronte a leggi come queste, non hanno una visione molto ideologica delle cose? O non temiamo di non riuscire a sostenere, noi adulti, la sofferenza dei bambini?
Terza e ultima domanda rivolta ai politici belgi: l’approvazione di questa legge non è per caso un diversivo, che evita di discutere le vere priorità della sanità belga? Se di eutanasia ai minori si dovesse parlare, il problema non riguarderebbe piuttosto quei bambini nati con disabilità talmente gravi da rendere la loro vita simile a quella di un vegetale? Ma di questi bambini non si parla, per fortuna, perché saremmo di fronte a un’esplicita operazione di eugenetica (né questi minori sarebbero in grado di chiederla, l’eutanasia).
Domande, quelle che ho posto, cui ciascuno dovrebbe provare a rispondere nel suo foro interiore, a bassa voce. E allora, qual è il senso di una legge che riguarda la fine della vita dei piccoli pazienti oncologici?

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Minori: chi si occupa del loro dolore?

6 Dicembre 2013/15 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

La maggior parte dei quotidiani ha dedicato nei giorni scorsi uno spazio alla discussione belga sull’eutanasia per i minori. Un testo di legge approvato dalle commissioni Affari Sociali e Giustizia del Senato ha stabilito infatti la possibilità di praticare l’eutanasia ai bambini affetti da «sofferenze fisiche insopportabili e inguaribili, in fase terminale e con l’accordo dei genitori». Il testo deve ancora passare in parlamento, ma pare sia appoggiato dalla maggioranza politica. La richiesta dovrà provenire direttamente dal minore, e uno psicologo dovrà accertare la consapevolezza di quest’ultimo al momento della decisione. Il Belgio si avvicinerà quindi ai Paesi Bassi, dove è legale chiedere l’eutanasia a partire dai dodici anni.

Le perplessità per me riguardano naturalmente, da laica, il grado reale di maturità e di autonomia di giudizio di ragazzi molto giovani e posti sotto il giogo della sofferenza fisica e mentale. Essere malati e non poter fare la stessa vita dei coetanei; comprendere la sofferenza dei genitori, di cui un fanciullo potrebbe sentirsi causa; e inoltre avere, per ragioni intrinsecamente legate all’età, una conoscenza della vita (e quindi del morire) molto approssimativa.
Io ho molti dubbi (anche se non preclusioni) sull’eutanasia attiva da praticare agli adulti, a maggior ragione ai bambini. Talvolta non è possibile considerare maturo e libero il volere di chi, adulto o anziano, teme di essere di peso ai familiari, e ha orrore per la “dipendenza” da altri.

Ma non voglio addentrarmi in questa riflessione che ho già proposto varie volte. Voglio aggiungere un aspetto. Cito il parere negativo della Federazione degli Ordine dei medici italiani, che afferma giustamente, attraverso la voce del suo presidente Amedeo Bianco, che oggi “sono disponibili efficaci terapie anti-dolore che permettono di alleviare anche le situazioni di sofferenza maggiori, quelle che possono spingere verso l’eutanasia”.
Non posso non stupirmi, tuttavia, del silenzio, in questo dibattito, su un tema che invece è scottante nel nostro paese. Chi si occupa con competenza del dolore dei bambini che sono affetti da malattie inguaribili (purtroppo accade!), talvolta fin dalla nascita? Non solo del loro dolore fisico, ma della sofferenza provocata dai limiti drammatici che impone la malattia alla loro vita e alla loro crescita psicologica, cognitiva e relazionale?
Sapevate che in Italia esiste, allo stato attuale delle cose, solo un hospice pediatrico, a Padova (http://www.desistenzaterapeutica.it/hospice-pediatrico-di-padova.html), supportato dall’Associazione l’Isola che c’è? (www.lisolachece-cpp.org/hospice.asp)
Perché dunque non rivendicare innanzitutto una diversa qualità di cura del dolore dei minori?
Come potremmo secondo voi fare pressione sui nostri amministratori e governanti affinché completino i programmi già varati di cure palliative, e mantengano le promesse della legge 38/2010 sulle cure palliative, che devono essere garantite a tutti i cittadini, di tutte le età, e per tutte le patologie?

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Paura della morte

12 Febbraio 2013/23 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Ferdinando Cancelli, palliativista e bioeticista cattolico, che ha lavorato alla Fondazione Faro e all’Asl CN1, ha scritto un libro dal titolo Vivere fino alla fine: chi l’ha già letto dice che è un potente antidoto contro la paura di morire. Le cure palliative, peraltro, si stanno diffondendo in tutto il mondo, Kenia e India compresi.
In Francia, l’anestesista Bernard Devalois ritiene che l’eutanasia sarebbe stata una soluzione nel passato, quando non c’erano i mezzi per combattere il dolore; sarebbe invece superata oggi, quando un malato terminale può prendere la morfina, o nel caso di una sofferenza ancora troppo grande, chiedere la sedazione terminale, un coma farmacologico che abolisce la coscienza senza abbreviare la vita.
Cancelli afferma che spesso una cattiva informazione crea un clima di paura: la fine della vita è spesso immaginata, allora, come un’anticipazione della morte, come un periodo cupo e disperato, da trascorrere tra atroci sofferenze, nell’attesa tremebonda della fine. Ma è davvero così morire?
Quali sono i timori che soprattutto ci fanno propendere per un sì alla soluzione eutanasica, più sbrigativa delle cure palliative? A mio modo di vedere ci sono infatti, indubbiamente, particolari situazioni (alcune malattie neurologiche, o condizioni post traumatiche), che rendono necessario discutere anche di eutanasia. Ma stupisce che in Belgio nel 2012 il 74% delle eutanasie siano state praticate a malati di cancro (il cancro è la malattia meglio controllata dalle cure palliative).
Allora, parliamone, visto che nessuno lo fa: cosa ci fa maggiormente paura in relazione alla morte nostra e dei nostri cari?

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Buona morte e/o eutanasia?

18 Ottobre 2012/15 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

I francesi, dice un recente sondaggio, sono all’80% favorevoli all’eutanasia; non molto diversamente, in Italia una rilevante porzione della popolazione auspica una legge sull’eutanasia. Anche se tale opinione diffusa pare la lucida espressione di una meditata riflessione, c’è qualcosa che non convince pienamente.
Intanto, siamo sicuri che tutti i cittadini intendano la stessa cosa quando dicono “eutanasia”? Vogliamo l’eutanasia o stiamo chiedendo, essendo oggi possibile, di essere aiutati a morire bene? Nel nostro paese il dibattito pubblico mescola tutte le carte: si è parlato di eutanasia a proposito di Piergiorgio Welby, che voleva interrompere le cure che lo tenevano artificialmente in vita. Si è parlato di eutanasia a proposito di Eluana Englaro, la cui condizione vegetativa permamente richiedeva solo di permettere che la natura facesse il suo corso, dopo diciassette anni di alimentazione e idratazione parenterale.
In questa situazione di mancanza di chiarezza, si finisce per catalogare come eutanasia tutte le forme di abbreviazione dell’agonia che impediscono ai cittadini di morire lentamente, incoscienti, intubati, ventilati, con mille fili e tubi che escono dal loro corpo martoriato da inutili e futili tentativi di prolungare una vita che alla vita non somiglia più per nulla.
Se vogliamo invece parlare di eutanasia, occorre distinguere. Non è eutanasia la sospensione delle cure, garantita come diritto dalla Costituzione Italiana. Non è eutanasia l’interruzione delle terapie di sostegno alla vita nel caso di stato vegetativo permanente, che, tanto più in presenza di un testamento biologico, ricadono nel caso precedente. Non è eutanasia la sedazione terminale, che null’altro è che l’abolizione farmacologica della coscienza qualora il dolore sia troppo intenso per essere sopportato, ma che non abbrevia e non prolunga la vita. Non è eutanasia neppure l’aumento delle dosi di oppiacei in fase terminale, per contenere la sofferenza, qualora il paziente lo chieda.
Per poter discutere, dobbiamo chiarire il nostro oggetto: eutanasia si ha quando si interrompe la vita mediante somministrazione attiva di farmaci letali.
Se ipotizziamo, in una società ideale, che tutti i casi citati sopra siano stabiliti in modo trasparente e realizzati nella prassi della cura – ossia che venga meno anche la tentazione di non rispettare la volontà del paziente e di accanirsi sulle terapie – ci si rende conto che il tema dell’eutanasia perde un po’ della sua centralità. Resterebbe un problema, forse, ma certo riguarderebbe un numero molto minore di individui.
In un paese in cui le cure palliative fossero estese a tutti i cittadini e a tutte le patologie nella prossimità della morte (come vuole la legge 38 del marzo 2010, che pone il principio che l’accesso alle cure palliative sia un diritto) si invocherebbe meno di frequente l’eutanasia. Se ci fosse un rigoroso rispetto delle volontà dei pazienti morenti, la consapevolezza che il malato terminale non è un “paziente grave” ma un “uomo che muore”, forse non ci sarebbe bisogno di inettare veleni in nessuna vena.
Potrebbe restare in discussione se sia opportuno legalizzare il “suicidio assistito”, ossia se la nostra società intenda farsi carico, a livello collettivo, del desiderio di persone, sane o malate, di suicidarsi con aiuto medico. Tema molto delicato e complesso, sul quale non ho risposte. Tengo in considerazione, tuttavia, la messa in guardia di un grande bioeticista americano, Daniel Callahan, il quale ci ricorda che il cammino della civiltà ha avuto la direzione di una limitazione dei casi in cui è legittima l’uccisione di un uomo con il benestare sociale o statale. Infatti si combatte sul piano internazionale la pena di morte, ed esiste un reato di eccesso di legittima difesa. L’eutanasia sarebbe, invece, un’estensione della casistica in cui è lecito dare la morte a un individuo, seppure col suo consenso.
Ma prima di riflettere su questo spinoso dilemma (che andrebbe inoltre trattato uscendo dall’asfittico dibattito sulla disponibilità o indisponibilità della vita umana), non sarebbe bene lavorare per rendere prassi comune ciò che è già stato riconosciuto come diritto e che non pone problemi morali così complessi?

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Suicidio assistito in USA

1 Ottobre 2012/6 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Il 6 novembre, in Massachussets, si vota un Death with Dignity Act. Stato dopo Stato, gli Stati Uniti affrontano il tema del suicidio assistito. Se la legge verrà approvata, i malati terminali la cui aspettativa di vita non sia più lunga di sei mesi potranno chiedere di essere aiutati a morire: dovranno essere coscienti, fermamente decisi, e in grado di prendere da soli i farmaci prescritti. E’ quindi procedura diversa, sia chiaro, dall’eutanasia (somministrazione attiva da parte del medico del farmaco letale), vietata in tutti gli Stati Uniti. Il primo Stato a votare una legge sul suicidio assistito fu, nel 1994, l’Oregon, che ha quindi quasi un ventennio di esperienza. E’ su questo aspetto che vale la pena soffermarsi, come stimolo per i dibattiti nostrani, sovente troppo ideologici e privi di dati.
Uno dei principali timori, di fronte alla legge del 1994, era che rendere accessibile l’abbreviazione della vita finisse per ridurre l’attenzione o gli investimenti per le cure palliative: viceversa, molti esperti ritengono che l’Oregon abbia le migliori cure palliative del paese. Una certa preoccupazione riguardava anche la classe sociale di coloro che avrebbero scelto una morte anticipata, specialmente nel paese delle assicurazioni sanitarie (sistema solo parzialmente corretto dall’amministrazione Obama): invece, coloro che hanno scelto la morte «dignitosa» sono ricchi, colti e provvisti di assicurazione. Non pare, inoltre, che nessuno sia mai stato spinto dalla famiglia, per avidità o per evitare di prendersi cura di un parente alla fine della vita. Molta attenzione è stata posta al tema della depressione. Non è che si chiede il suicidio assistito quando si è depressi? Questa ricerca è più difficile da fare, poiché in fase terminale è normale e fisiologico essere depressi. Tuttavia, gli osservatori della Divisione della Salute pubblica che monitorano, di anno in anno, il modo in cui la legge viene applicata, possono confermare che i pazienti alla fine della vita che chiedono di essere aiutati a morire non sono più depressi degli altri malati terminali. Qualche numero: dal momento dell’applicazione della legge fino alla fine del 2011 il suicidio assistito è stato chiesto da 569 pazienti (1 ogni 500 decessi). La maggior parte avevano forme di cancro con metastasi, e quasi tutti ricevevano cure palliative. Il 94% scelse di morire a casa. Circa un terzo dei pazienti che avevano chiesto la prescrizione letale non ne fecero uso, la tennero a portata di mano, come forma di rassicurazione: avrebbero avuto un’ «uscita di sicurezza» nel caso in cui la situazione fosse diventata per loro insostenibile. Solo un quinto dei pazienti citò il dolore fisico come motivazione principale della loro scelta (il dolore era probabilmente tenuto sotto controllo dalle cure palliative). Viceversa, la maggior parte di loro giudicò intollerabile e indignitosa la perdita di autonomia.
Questo dato mi interroga, pur non intaccando la mia approvazione per la legge dell’Oregon, che auspico sia approvata anche in Massachussets.
Siamo proprio sicuri che la dignità della morte stia nell’autonomia, nel non aver bisogno di aiuto, nel non dipendere da altri per i gesti quotidiani? Forse, la nostra cultura sta enfatizzando troppo questo aspetto, sta innalzando l’autonomia a valore assoluto, dimenticando che tutti, fin dalla nascita, e anche quando stiamo bene, dipendiamo l’uno dall’altro, siamo inevitabilmente in relazione con gli altri, nel bene e nel male?
La dignità non è forse una caratteristica della persona, più intangible e nobile, che consiste nel modo in cui si sta in relazione con se stessi e con il mondo? Un esempio italiano: Piergiorgio Welby ha scelto di non voler proseguire a vivere: ne aveva il diritto e istintivamente siamo dalla sua parte, aveva resistito e sofferto troppo. Ma non era dignitosa la sua vita, prima di morire, anche se non poteva più muoversi dal letto?
Cosa ne pensate?

ps. per chi desideri maggiori informazioni cfr. L’articolo di Marcia Angell, May doctors help you to die? su The New York Review di Ottobre 2012 Guarda l’articolo e i report della Division of Public Health dell’Oregon. Guarda il report

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2012/10/La-morte-di-Socrate-per-Blog.jpg 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2012-10-01 16:05:242012-10-01 16:06:24Suicidio assistito in USA

Bella Addormentata di Marco Bellocchio

1 Ottobre 2012/0 Commenti/in Vecchiaia/da sipuodiremorte

Bravo Bellocchio. Era difficile, anche se sono passati più di due anni, parlare degli ultimi giorni di Eluana Englaro. Il film Bella Addormentata lo fa lasciando sullo sfondo la vicenda vera e propria, per parlare alla nostra intelligenza e alla nostra sensibilità, e per farci riflettere sul clima incandescente di quei giorni del febbraio 2009, dove un’Italia che non pensa mai alla morte si divideva tra pro e contro l’alimentazione e l’idratazione artificiale, dissertava di eutanasia e testamento biologico. Spesso senza sapere, senza il sapere dell’aver vissuto.
Bellocchio ci dice che le questioni di vita e di morte non si risolvono a colpi di ideologia, ma attraverso piccoli e grandi gesti di amore, di dedizione, di rispetto. Tutto il resto è cinismo (di chi ha sfruttato a fini politici una tragica vicenda umana, come Berlusconi e i personaggi che incarnano i politici di Forza Italia). Spesso si è trattato anche di incomprensione esaltata dall’ideologia, come quella di chi ha gridato «assassino» a Beppino Englaro. Ma esaltazione cieca è anche quella di un altro personaggio del film: una ricchissima attrice (Isabelle Huppert) si è ritirata dal palcoscenico dopo aver vissuto il dramma del coma profondo della figlia, tenuta in vita da un ventilatore. Cattolica e amica di prelati, finge anche con se stessa di vivere in funzione del risveglio della figlia. Ma non c’è amore in lei, e non ci convince: trascura l’altro figlio e il marito, e sa di non avere fede. La sua preghiera è fredda e assomiglia a una pantomima. Così non ci stupisce quando nel sonno recita la famosa battuta di Lady Macbeth che prova a lavare via l’immaginaria macchia di sangue dalle sue mani.
Invece, quando i sentimenti e la loro prepotente realtà si insinuano nelle pieghe delle ideologie, queste ultime si disintegrano. Il senatore di Forza Italia Uliano Beffardi (Toni Servillo) è disgustato dal cinismo dei colleghi nei confronti di Eluana, al punto da decidere le proprie dimissioni. La sua differenza sta nell’esserci passato, attraverso l’esperienza del dolore, della perdita, della ricerca del senso della vita e della morte. Ha sofferto dell’agonia troppo lunga della moglie, e quando lei gliel’ha chiesto, l’ha aiutata a morire, lui che avrebbe voluto averla viva ancora un giorno, ancora un minuto…
Sua figlia Maria (Alba Rohrwacher), cattolica fervente, lo sospetta, ed è furiosa con lui. In fondo è per questo che va a Udine, a manifestare e pregare contro l’interruzione dell’alimentazione artificiale a Eluana, e non risponde mai alle chiamate del padre.
A Udine però si innamora, e il suo punto di vista si addolcisce: «l’amore cambia il modo di vedere le cose», dice al padre. E il senatore, dopo anni, riesce a confessare alla figlia ciò che ha fatto, senza parlare, consegnandole i fogli del proprio intervento in Senato. Un intervento che non ha pronunciato perché Eluana è morta prima, facendo slittare il dibattito a data da destinarsi. Il film si chiude così, su questa riconciliazione non narrata tra padre e figlia, che lo spettatore intuisce, auspica. Maria si allontana leggendo. Rispettare le posizioni diverse dalle nostre è possibile, se si comprende la profonda buona fede dell’altro, se si è certi che è guidato dall’amore e dal rispetto e non dall’egoismo.
Altre storie si intrecciano con questa vicenda principale, per dirci ancora e diversamente che la capacità di amare è l’unica risposta alle questioni che riguardano la vita e la morte. In un ospedale di Udine è ricoverata una donna tossicodipendente (la bellissima e brava Maya Sansa), salvata dal suicidio dal medico Pallido. Il primario vuole dimetterla, abbandonarla a se stessa, è solo una tossicomane, e vivrà altri dieci anni rompendo le palle a tutti quanti, dice al dottor Pallido: è quello stesso primario che tuona contro l’interruzione delle cure a Eluana, in stato vegetativo permanente. Ma il dottor Pallido non si arrende: resta accanto alla suicida, nella sua stanza, a vegliare il suo sonno, giorno e notte, le parla, e Rossa (questo il nome della donna interpretata dalla Sansa) poco per volta si intenerisce: la vicinanza umana fa scemare il desiderio di morire.
Quanto vale una vita, ci chiede Bellocchio? Perché usiamo due pesi e due misure? Alcune vite valgono più di altre, a volte anche per ragioni simboliche, come nel caso di Eluana. E altre meno, o perchè i soggetti di quelle vite sono tra i dannati della terra, e muoiono a centinaia di migliaia (e come posso rappresentarmi centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che muoiono di fame, senza conoscere le loro storie?). Oppure perché hanno sbagliato, o sono deboli, incapaci di reggere il ritmo della nostra cultura consumistica, e stanno pertanto ai margini della nostra società: i poveri, i tossici, gli stranieri, i senzatetto, gli alcolisti, tutta gente che non ci riguarda…

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