Le cure palliative e il cinema: intervista ai registi Claudia Tosi e Rodolfo Bisatti, di Davide Sisto
“The Perfect Circle”, realizzato nel 2016, e “Al Dio Ignoto”, in fase di preparazione, sono due film che affrontano il tema della morte e delle cure palliative. Abbiamo contattato i due registi, rispettivamente Claudia Tosi, filosofa e autrice di diversi documentari nazionali, e Rodolfo Bisatti, autore di numerose opere cinematografiche e televisive, per comprendere il motivo che li ha spinti a occuparsi di questo tema.
È un fiume in piena Claudia Tosi quando parla del suo film documentario “The Perfect Circle” (http://www.theperfectcirclefilm.com/wordpress/), incentrato su alcuni momenti quotidiani di Ivano e Meris, due anziani gravemente malati che hanno concluso la loro vita all’interno dell’Hospice Casa Madonna dell’Uliveto, sulle colline di Reggio Emilia. C’è, infatti, un elemento fortemente autobiografico nel suo progetto cinematografico: 19 anni di cura prestata alla madre, afflitta da una malattia cronica contratta durante un’operazione chirurgica. “L’accettazione della sua malattia – ci racconta Tosi – ha permesso di vedere nella cura, oltre alla durezza, anche tanta bellezza e persino scoprire delle opportunità: in particolare, quella di riflettere sul senso dell’umano da un’altra prospettiva. Ho creduto utile girare un film per mostrare, cioè, cosa ci perdiamo quando non riusciamo più a vedere le persone, ma solo il loro corpo malato”.
L’idea del “cerchio perfetto”, a cui rimanda il titolo del film, viene dalla metafora del compasso che John Donne utilizza nella poesia “A Valediction: forbidding mourning” per descrivere il legame tra le persone che si amano. “L’amore trasforma la coppia in una sola anima, simile a un compasso, con due gambe che si fondono in un’unica sommità. Più le due gambe saranno distanti, più le loro teste saranno rivolte l’una verso l’altra e se uno dei due piedi sarà ben fermo a terra, l’altro compirà un cerchio perfetto e sarà capace di tornare dove tutto è iniziato”. Con tale immagine la regista ha voluto vedere la relazione con la madre: più forte della morte.
L’importanza capitale delle cure palliative per comprendere il senso autentico della cura, del corpo del malato e, quindi, il ruolo della morte nella vita è il filo conduttore che unisce il progetto di Tosi a quello di Rodolfo Bisatti. “L’opportunità che si dà a chi è prossimo alla morte di poter riflettere sulla natura della soglia che dovrà attraversare”: questo è l’aspetto fondamentale – per Bisatti – delle cure palliative e che ispira l’idea de “Al Dio Ignoto” (http://aldioignoto.com/), il suo film in fase attuale di realizzazione. Un precedente documentario girato all’interno dell’Unità di Cure Palliative della “Domus Salutis di Brescia” ha spinto il regista a voler dar vita a un film con cui, per usare le sue parole, “raccontare le gesta di questo equipaggio di “terminali” che convivono nell’avamposto (Hospice) e si preparano, come autentici cosmonauti, a varcare la soglia del conoscibile per fare il salto nell’Ignoto”.
Tra un rimando a Nietzsche e uno a San Paolo, Bisatti ritiene che, se il sole e la morte non si possono guardare fissamente, “il cinema, quando è un’azione poetica, filtra la luce affinché non offenda gli occhi”. E, allora, il cinema diventa uno strumento particolarmente efficace per cogliere l’opportunità culturale offerta dall’approccio palliativo: capire che siamo soggetti mortali. Quindi, soggetti che hanno il compito di ripensare al significato autentico della vita, che non è quello di “una faticosa, automatica incombenza commerciale” a cui si oppone la morte quale sciagura ingiustificata e disumana.
Uno degli aspetti maggiormente interessanti emersi durante il dialogo con i due registi è la reazione psicologica ed emotiva degli anziani che hanno accettato di documentare le ultime fasi della loro vita. Nel film “The Perfect Circle” i due protagonisti hanno avuto comportamenti molto diversi: Meris si è servita del film per consegnarsi all’eternità. Questa è l’idea che la sua psicologa si era fatta del suo desiderio di offrirsi come protagonista. Mario, il marito, ogni volta che partecipa alle proiezioni del film racconta che Meris era molto eccitata all’idea di far parte di un’opera che sarebbe rimasta per sempre. Aveva chiesto alle figlie di portarle gli scialli più belli, le federe più colorate e ogni giorno si faceva mettere a posto i capelli. Ivano, a differenza di Meris, inizialmente si è dimostrato restio a partecipare al progetto: era sicuro che sarebbe stato un film triste e non voleva prenderne parte per tale ragione. Anche quando è tornato sui suoi passi, è sempre stato in una fase tra la rabbia e il rifiuto, non parlando mai esplicitamente della propria morte. Il film mette molto bene in luce il rapporto altalenante di Meris e Ivano con la coscienza della propria fine, con la paura e la rabbia, con bisogno di dare un significato profondo al loro percorso di vita. Così come evidenzia implicitamente il delicato ruolo degli Hospice, i quali sembrano compiere quell’operazione di ri-umanizzazione della scienza clinica che, a detta di Bisatti, favorisce un passaggio culturale cruciale migrando dalla guerra contro la malattia o l’organo malato alla cura olistica della persona.
Consigliando la visione di “The Perfect Circle” e attendendo il completamento de “Al Dio Ignoto”, vi chiediamo cosa ne pensate: ritenete che il cinema sia uno strumento utile per ripensare il significato della morte rispetto alla vita e per aiutarci a cogliere l’importanza delle cure palliative per la nostra società? Fateci sapere.