Facebook e il bisogno di superare insieme il lutto, di Davide Sisto
Lo scorso 24 aprile 2017 è stato pubblicato sulla rivista internazionale Nature Human Behaviour il primo studio completo sul ruolo sociale che ricopre Facebook quando muore una persona cara. William R. Hobbs, esperto in scienze sociali presso la Northwestern University negli Stati Uniti, e Moira Burke, analista dei dati di Facebook, hanno dato vita a una sostanziosa ricerca sul legame tra il lutto e il social network più popolare al mondo, pervenendo a risultati piuttosto sorprendenti (qui è possibile leggere i dati dell’intero studio).
I due studiosi hanno analizzato tutte le interazioni possibili (post, commenti, fotografie e tag) in 15.000 reti sociali su Facebook all’interno di cui è morta una persona, mettendole a confronto con altre 30.000 reti simili in cui però il lutto non ha avuto luogo, per un totale di quasi tre milioni di persone monitorate. Queste reti sociali, scelte con estrema cura per evitare di imbattersi in profili finti, sono state studiate per un periodo di quattro anni, tra il 2011 e il 2015, analizzando gli effetti della morte di una persona avvenuta tra il gennaio 2012 e il dicembre 2013, in modo da poter confrontare le interazioni precedenti e successive al lutto. Ovviamente, sono state prese le necessarie precauzioni per rispettare la privacy individuale.
I risultati sono i seguenti: quando una persona muore, i suoi amici aumentano del 30% il numero di interazioni tra di loro all’interno di Facebook. Solo dopo diversi mesi, a volte addirittura anni, le interazioni tornano a stabilizzarsi a un valore pari a quello precedente il lutto. Pare, inoltre, che i livelli di interazione si mantengano assai elevati nelle reti che includono soprattutto persone di età compresa tra i 18 e i 24 anni e che le reti in cui ha avuto luogo un suicidio evidenzino una maggiore difficoltà a riprendersi dal lutto.
Hobbs e Burke hanno paragonato questo comportamento al fenomeno che ha luogo nel nostro sistema nervoso, quando si è colpiti da un ictus. In tal caso, alcune cellule cerebrali muoiono e il cervello si “riavvia” formando nuovi circuiti neuronali per compensare la perdita subita. Così, le persone che vedono il mondo crollargli addosso, quando patiscono un lutto, cercano un rifugio all’interno di cui fare gruppo, per poter ricostruire quella vita percepita come spezzata insieme alla morte dell’amato. E Facebook offre il rifugio richiesto, in una società in cui si è gradualmente perduto il senso di comunità e la voglia di essere uniti: fornisce, innanzitutto, la necessaria protezione al sentimento del dolente, il quale prova spesso pudore e vergogna nell’esprimerlo dinanzi alle altre persone. La mediazione dello schermo aiuta, infatti, ad essere più estroversi. Dà, poi, la sensazione, autentica o illusoria che sia, della partecipazione collettiva: i tanti “like” e commenti sotto la foto del defunto o sotto un post commemorativo trasmettono calore umano al singolo individuo che sta soffrendo.
Un caso recente molto significativo è quello della mamma di Luca Borgoni, morto lo scorso anno per un incidente in montagna. La donna, dal momento della perdita del figlio, è riuscita ad entrare nel suo account, aggiornandolo quasi quotidianamente e scrivendo i post in prima persona, come se fosse il figlio a scriverli. Ha spiegato ai giornali che questo comportamento la fa stare bene e le dà la forza per affrontare la quotidianità. Sottolinea, in particolare, quanto siano preziosi i commenti degli altri utenti e le centinaia di “like” che ricevono i suoi post. Facebook, comunque, per ragioni legate soprattutto alla privacy, ha reso commemorativo ultimamente il profilo del figlio, togliendo la possibilità alla donna di continuare ad entrare nell’account.
Da studioso del rapporto tra la cultura digitale e la morte, ritengo che questi dati evidenzino delle cristalline opportunità offerte da Facebook, spesso al centro di critiche – anche condivisibili – per i rischi di isolamento e di autismo che produce all’interno delle nostre vite. Disporre di questo spazio virtuale per tener viva la memoria della persona amata e, al tempo stesso, per sostenersi a vicenda è un aspetto che non va sottovalutato né banalizzato.
Anche perché, come dimostra la ricerca di Hobbs e Burke, ciò mette in luce una necessità: quella di ritrovare il modo per condividere insieme il lutto, per fare comunità. Pertanto, sarebbe il caso di trasformare la piattaforma del social network come un punto di partenza basilare per recuperare una solida dimensione solidale una volta che siamo offline. Occorrerebbe leggere i dati di questa ricerca come uno stimolo per affiancare le risorse offerte da Facebook a una rinnovata dimensione comunitaria nello spazio pubblico, la quale tolga alle persone la sensazione di sentirsi isolate. E questo vale soprattutto in riferimento ai più giovani, i quali sembrano essere i principali fruitori delle commemorazioni funebri sui social.
Usciamo dalla futile contrapposizione tra online e offline per rifondare le basi solidali della società. E il lutto è, forse, l’occasione più autentica e umana per realizzare questo compito.
A qualcuno di voi è capitato di utilizzare Facebook per elaborare un lutto? Se sì, vi è servito?
Attendiamo le vostre risposte.