Dignità del morire?
Si parla molto del morire con dignità. Per pronunciare le parole “voglio morire con dignità”, però, occorre che ciascuno di noi abbia chiaro cosa sta affermando: che significato dà alla parola dignità, e a quale idea dell’uomo la applica.
Come vedete, le cose, pensandoci, tendono a complicarsi. Non posso pensare in un solo post di affrontare in modo adeguato un tema, come quello della dignità, che è il fulcro di molti ragionamenti di bioetica. Vorrei però cominciare a pensarci insieme a voi, e proporvi solo una riflessione preliminare: altri post (miei, e magari vostri, seguiranno).
La nozione di dignità può essere interpretata come universale (riguardante tutti gli uomini nello stesso modo), oppure come individuale e soggettiva.
Nella concezione cristiana la dignità è universale e dipende dalla natura creata dell’uomo. In quella laica kantiana la dignità è il valore intrinseco a ogni essere razionale, incondizionato e inalienabile, che fa sì che si debba trattare ogni uomo come fine e non come mezzo. Viceversa, nella concezione soggettivistica è accentuato il diritto di ciascun uomo a stabilire in cosa consista la propria dignità e a fare scelte esistenziali conseguenti. Ogni riferimento a una norma etica oggettiva, proveniente da Dio o dalla legge di natura, è sentito come una minaccia per l’autonomia del soggetto. Se assumiamo una definizione puramente soggettiva di dignità dobbiamo ammettere che esista una pluralità di risposte diverse, corrispondenti a differenti concezioni antropologiche, e dobbiamo essere pronti ad accogliere visioni della dignità molto diverse dalla nostra.
Non potersi alzare dal letto è indegno di un uomo? La sedia a rotelle priva un essere umano della dignità? L’incontinenza urinaria ha a che fare con la dignità? O la dignità va intesa in relazione con la coscienza, il pensiero e la capacità di relazione? E quindi viene meno, ad esempio, a uno stadio di Alzheimer avanzato? Il puro, nudo, essere vivi è dignitoso? Probabilmente ciascuno di voi avrà risposto mentalmente alcuni sì e alcuni no.
Personalmente, tendo a pensare che non vi siano stati di deprivazione, di sofferenza o di malattia che facciano perdere la dignità all’uomo, che vedo quindi, da laica, universale nell’ottica kantiana, inerente all’essere umano. Per fare un esempio, non credo che lo stato vegetativo di Eluana Englaro la privasse della sua dignità. Credo tuttavia che sia stato suo diritto, proprio in quanto portatrice di dignità inalienabile, decidere se ricevere o meno cure di sostegno in una situazione data. Se Eluana avesse voluto essere curata (ipotizziamo che avesse lasciato un testamento biologico in cui chiedeva il sostegno vitale), non sarebbe per questo stata “indegna”. Che ne pensate?
La domanda di questo primo post è la seguente: esiste secondo voi una dignità uguale per tutti gli esseri umani, o la nozione di dignità è soggettiva, relativa?