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Tag Archivio per: Tik Tok

“Get ready with my boyfriend’s funeral”. Il lutto su Tik Tok, di Davide Sisto

26 Marzo 2024/6 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Recentemente, durante un mio incontro pubblico sui temi della morte digitale, una partecipante mi ha chiesto un parere riguardo alla versione funebre del celeberrimo acronimo GRWM usato su Tik Tok, YouTube e Instagram. L’acronimo sta per “Get Ready With Me”, “preparati con me” o “prepariamoci insieme”, e indica l’abitudine – da parte soprattutto degli utenti social più giovani – di creare dei tutorial relativi al make-up e al look da indossare durante specifiche circostanze, per lo più solari e disimpegnate. Siamo oramai tutti consapevoli di quanto sui social media vada di moda questo tipo di tutorial, per mezzo dei quali gli influencer sponsorizzano o, comunque, consigliano abiti, modi per fare la perfetta skin care e cose simili. Non immaginavo, però, che spopolasse anche la seguente versione dell’acronimo indicato: “get ready with me for my boyfriend’s funeral” o “get ready with me for my mom’s funeral”. Dietro queste sigle si nascondono centinaia, se non addirittura migliaia, di video in cui vediamo persone molto giovani che si truccano o si vestono davanti alla telecamera in vista della partecipazione al funerale del proprio partner o genitore. I video durano uno o due minuti, hanno generalmente un sottofondo musicale malinconico e contengono qualche concisa frase di spiegazione. In realtà, il funerale solitamente ha già avuto luogo. Il video è, dunque, una specie di messinscena per sottolineare un momento particolare del lutto appena avvenuto, su cui spesso si pone poca attenzione: appunto, il momento preciso in cui ci si deve vestire e truccare per andare al funerale di una persona amata, quindi una situazione di estremo dolore legata a una perdita appena avvenuta. I video, generalmente, uniscono atmosfere drammatiche con altre più ilari o ironiche, guadagnando milioni di visualizzazioni e di like, nonché centinaia di migliaia di commenti di coetanei che raccontano esperienze luttuose simili o che condividono il proprio calore virtuale alla persona immortalata.

Ne cito un paio: Karine, una ragazza che ha appena perso la madre, la quale in un minuto di video mostra il tipo di make up e di abito nero che ha indossato per il suo funerale. Gli hashtag usati, oltre a GRWM, sono #funeral #fyp #foryoupage #foryou. Il video, in cui vediamo la ragazza a tratti in lacrime a tratti con un sorriso disincantato, conta quasi diciotto mila commenti, nonché più di due milioni di like. Ancora più significativo è il video dell’influencer Paige Gallagher che si è truccata davanti alla telecamera per la morte del suo compagno. Durante il video chiede a chi ha vissuto un lutto significativo se ha avuto, durante la fase del rito funebre, la sensazione simile alla sua di essere dentro un gioco in realtà virtuale, in cui si perde il contatto con la tangibilità del reale. Tra i milioni di followers che hanno visto il video alcuni la ringraziano per dare testimonianza a questa particolare situazione del lutto, altri invece la condannano radicalmente. Costoro ritengono, infatti, che sia di cattivo gusto ridurre il necessario raccoglimento per la perdita patita all’ennesima esposizione narcisistica di sé, dando rilievo a cose del tutto futili come l’abito o il make up per andare al funerale.

Durante gli ultimi giorni ho osservato numerosi video simili su Tik Tok per cercare di farmi un’idea sul valore di questa particolare scelta. Da una parte, mi sembra che la versione funebre del GRWM sia parente di tutte quelle iniziative che hanno finora segnato la presenza della morte sui social media, come – per esempio – i selfie ai funerali condivisi su Instagram qualche anno fa o i video narrativi sulla perdita di un genitore condivisi su YouTube. Queste iniziative, per lo più portate avanti da persone molto giovani, tendono a creare narrazioni in parte drammatiche in parte ironiche, cercando quindi di condividere pubblicamente il proprio dolore mediante scelte stilistiche agrodolci. La condivisione pubblica del dolore, unito a una qualche forma di ironia, nasconde l’esigenza di parlare insieme ai propri coetanei del lutto, di mostrarne i segni, di invitare a ritrovare nel tempo la risata e dunque di eliminare quel carattere di riservatezza che, almeno per alcuni, genera più sofferenza che sollievo. Inoltre, va detto che la scelta del look per la partecipazione al funerale richiama alla mente svariate ritualità funebri, ciascuna con le sue regole e le sue abitudini. Ci sono, come sappiamo, culture che danno un’importanza fondamentale al modo di presentarsi al funerale. Dunque, non c’è niente di particolarmente offensivo né di inusuale nel dare spazio visivo, sui social, a questo tipo di preparazione, magari determinando una riflessione collettiva sul tema. Inoltre, è sempre molto difficile dover giudicare in maniera radicalmente netta registri comportamentali e stilistici spesso molto differenti, come quelli che separano le generazioni pre-social da quelle abituate a usarli quotidianamente. Se questo tipo di iniziativa è una scusa per affrontare il lutto in pubblico e per ragionare sul dolore che accompagna il rito funebre, allora non mi pare che ci sia nulla di male.
Dall’altra parte, ovviamente, il dubbio che la messinscena a funerale avvenuto nasconda, dietro un proposito positivo, la mera capitalizzazione del like e della visibilità è altrettanto plausibile. Quando qualcosa diventa tendenza, rischia molto spesso di creare atteggiamenti superficiali o tesi semplicemente a trarre vantaggi dalla fragilità ostentata. E se l’essere umano di per sé è abile a mostrare il peggio di sé anche nelle circostanze in cui si richiede empatia, raccoglimento e calore reciproco, allora non c’è da stupirsi se qualcuno si approfitta della versione funebre del GRWM per trarre vantaggi economici o di mera visibilità.

Da studioso dei meccanismi che caratterizzano le relazioni sui social in presenza di un lutto riesco a vedere gli elementi positivi di questa nuova iniziativa, che spinge le persone più giovani a mettere in discussione una certa riservatezza, a volte ipocrita, a volte figlia dell’imbarazzo relazionale, che caratterizza i primi momenti di una perdita. Per me il bicchiere è mezzo pieno, non mezzo vuoto. Ovviamente, occorre fare attenzione affinché non si banalizzi un momento così delicato come quello relativo al rito funebre. Ma questa attenzione vale sia dentro che fuori i social media.

Voi cosa ne pensate? Vi sembra una scelta inopportuna? Oppure, trovate un aspetto positivo in questo tipo di iniziativa? Ancora: cogliete in cose del genere un distacco generazionale piuttosto marcato? Attendiamo le vostre risposte.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/03/influencer-marketing-copia.jpg 265 356 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2024-03-26 14:45:412024-03-26 14:45:41“Get ready with my boyfriend’s funeral”. Il lutto su Tik Tok, di Davide Sisto

#grieftok: il dolore di un lutto su Tik Tok, di Davide Sisto

17 Ottobre 2022/0 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Le irrefrenabili evoluzioni delle tecnologie digitali, quindi dei comportamenti sociali e culturali che ne seguono, ampliano costantemente i modi in cui le persone usano i social media per condividere le proprie esperienze relative al lutto e al ricordo.
Nel corso degli ultimi anni, le persone più giovani, dagli adolescenti ai ventenni, hanno cominciato a popolare in maniera sempre più massiccia Tik Tok, diventato un tale punto di riferimento per il discorso pubblico da spingere – incautamente – i politici italiani a usarlo nell’ultima campagna elettorale.
Ovviamente, anche la morte e il lutto sono diventati argomenti importanti su Tik Tok. Nell’ultimo periodo ha attirato la mia attenzione un particolare hashtag: #grieftok. Con oltre 340 milioni di visualizzazioni, questo hashtag comprende centinaia di migliaia di brevi video, registrati in ogni zona del mondo, mediante cui le persone comuni esprimono ciò che stanno provando o che hanno provato in presenza di un grave lutto. Il mix di immagini fotografiche, video, suoni e frasi scritte, concise e usando i caratteri più disparati, stimola la creatività e la fantasia dei singoli, i quali condividono il dolore per un lutto con modalità spesso complesse. C’è chi si limita a creare un collage di immagini di sé che seguono le varie fasi del lutto: un viso sorridente prima della morte del proprio caro, un viso disperato una volta che è avvenuto il decesso, un viso depresso e colmo di lacrime – magari appoggiato sul cuscino del proprio letto – nella delicata fase successiva, un viso vagamente sereno una volta che è avvenuta l’elaborazione del lutto. Le diverse immagini sono accompagnate da didascalie che riassumono brevemente i vari stadi attraverso cui è passato il dolore della persona. C’è chi costruisce una narrazione più corposa, incentrata sul morto. Il breve video mostra – per esempio – un giovane padre, che corre insieme al figlio e al cane su un prato. Quindi, l’immagine della sua tomba e successivamente quella del bambino e del cane rappresentati prima da soli sul prato e poi insieme alla madre, regista del video. C’è chi quindi si limita a raccontare, senza troppi fronzoli, quello che sta provando; chi celebra un compagno di classe con un collage di immagini e video registrati a scuola; chi, ancora, utilizza Tik Tok per parlare del proprio bambino deceduto. Ci sono anche numerosi video di psicologi che spiegano le fasi del lutto e offrono consigli su come affrontarlo. Va da sé che ogni video viene commentato da centinaia o addirittura da migliaia di utenti, i quali portano le proprie condoglianze o condividono esperienze simili.

L’hashtag #grieftok ha, in altre parole, prodotto una vera e propria comunità globale attorno all’esperienza del lutto e della morte. Vi sono anche altri hashtag utilizzati per la stessa finalità: dai semplici #grief e #rip al più articolato #griefjourney.

Credo che si possa cogliere un’evoluzione interessante del lutto online nel passaggio da Facebook a Tik Tok. Le caratteristiche stilistiche di quest’ultimo non solo vengono incontro all’esigenza, già esplicitata su Facebook, di parlare pubblicamente di morte e di lutto e di fare gruppo per sopperire al senso di solitudine, provato di solito dal dolente nella dimensione offline. Stimolando anche la creatività e la fantasia dei suoi utenti, queste caratteristiche spingono a compiere un passo in più che, a mio avviso, va nella direzione di un uso pedagogico e formativo del social media. In altre parole, Tik Tok mette il singolo dolente nella condizione di dare un senso al proprio dolore attraverso una sceneggiatura di cui è liberamente regista e che trascende l’uso della semplice parola scritta, predominante su Facebook. Non tutti sono abili scrittori né si sentono a proprio agio con la grammatica. Il collage di immagini, suoni, video e parole, all’interno di video assai concisi, mostra invece in modo tanto concreto quanto artistico la metamorfosi personale che ci investe quando subiamo una perdita. In alternativa, ci fa vedere gli effetti immediati nel quotidiano dell’assenza, dunque si spinge nella direzione della conservazione della memoria e dei ricordi. L’impatto visivo è certamente superiore rispetto ai meri contenuti scritti. Può determinare più riflessioni composite e catartiche, può attutite il proprio disorientamento in virtù di storie colme di simboli e metafore. Soprattutto, abitua le nuove generazioni a una certezza a cui le precedenti hanno fatto fatica ad abituarsi: la morte fa parte della vita, non va rimossa, può diventare un argomento prezioso all’interno di luoghi in cui si cerca l’approvazione altrui. Può, in definitiva, creare le condizioni implicite per far sì che gli adulti del futuro superino quella rimozione che ha segnato il secolo scorso.
Nel mentre, #grieftok può diventare un fenomeno a partire dal quale organizzare nuovi percorsi educativi nelle scuole e implementare i percorsi di supporto nell’elaborazione del lutto. Come spesso osservo, la dimensione online – che ci piaccia o no – è diventata parte integrante della nostra vita quotidiana. Usiamola pertanto per finalità che migliorano il modo umano di condividere lo spazio pubblico, soprattutto in riferimento a ciò che ci fa soffrire e che cerchiamo di nascondere o di eludere.
Voi cosa ne pensate? Avete presente cosa è #grieftok? Attendiamo i vostri commenti.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2022/10/hero-image.fill_.size_1200x1200.v1638959860-e1665066621544.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2022-10-17 10:18:352022-10-17 10:18:36#grieftok: il dolore di un lutto su Tik Tok, di Davide Sisto

La storia di Riccardo Coman: prendere in giro il proprio tumore su Tik Tok, di Davide Sisto

9 Maggio 2021/5 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Il 19 aprile 2021 i principali quotidiani nazionali hanno dato la notizia della morte di Riccardo Coman, un ragazzo bergamasco di diciassette anni che stava affrontando da tempo un terribile tumore. Ne hanno esplicitamente parlato per il particolare uso che egli faceva di Tik Tok, un uso che lo ha reso assai popolare tra gli adolescenti: più di quattrocentocinquanta mila i followers e quasi sedici milioni di like. Il suo profilo personale è, infatti, colmo di video in cui Riccardo raccontava la sua malattia con una lucidità e un’ironia tali da lasciare completamente disarmati coloro che lo seguivano. L’ultimo video, datato primo aprile, lo immortala senza capelli, a causa della chemioterapia, e con la mascherina. Sopra l’immagine del suo viso compare, inizialmente, la seguente scritta: “io pronto a vivere l’estate serenamente”. Subito dopo appare la sua immagine completamente mossa e trasfigurata, accompagnata dalla scritta rossa “tumore al cervello”. In un altro video, meno recente, ironizza sui propositi futuri, alludendo alla sua vicina morte. Altri esempi: “sono nato a giugno e ne sono uscito cancro. Letteralmente”, “io al mio funerale quando mia madre dirà: ora finalmente possiamo vedere cosa c’è nel suo telefono”, segue sguardo terrorizzato. Ancora, “quando le piace la medicina e tu sei un paziente oncologico”, segue sguardo ammiccante.

Questi sono alcuni dei tantissimi esempi di una narrazione della propria malattia senza peli sulla lingua, la quale unisce riflessioni amare sulle conseguenze fisiche ed estetiche della chemioterapia a battute di spirito sagaci e prive di qualsivoglia imbarazzo, utilizzando al meglio le caratteristiche specifiche di Tik Tok: vale a dire, l’unione armonica tra la musica in sottofondo, il tipo di immagine scelta e il carattere particolare delle parole, il tutto condensato in pochi minuti di registrazione. Qualcuno ha manifestato la propria perplessità relativa a questo modo di esporsi; la maggioranza, tuttavia, ha invece mostrato una grande vicinanza mediante centinaia di commenti nei quali emerge il grande affetto che la comunità social aveva per questo ragazzo. “Siamo la tua famiglia” è una delle frasi ricorrenti.

Da diversi anni seguo, per ragioni di ricerca, le vicende dei cosiddetti “cancer blogger”, vale a dire di coloro che parlano esplicitamente del proprio tumore all’interno dei vari social media, creando comunità più o meno numerose. Ma è, forse, la prima volta che mi capita di osservare un modo così spontaneo, sarcastico e immediato di descrivere una malattia tumorale nella dimensione online. Ammiro sinceramente l’intelligenza di Riccardo, il quale è riuscito ad affrontare le enormi sofferenze di tre lunghi anni di tumore, per di più vissuti durante l’adolescenza, ritagliandosi uno spazio personale in cui prendersi le sue dovute rivincite. Quindi, uno spazio in cui dare libero sfogo alla fantasia, alla capacità di autorappresentarsi in maniera insolita e al bisogno di sentirsi investito di un compito: quello di togliere imbarazzo dalla condizione di malato e di parlare liberamente di un cancro. Sappiamo bene tutti che il tumore aggiunge ai tanti drammi personali del singolo individuo la spiacevole sensazione di essere identificato irrimediabilmente con la propria malattia. Quando si scopre di avere un tumore, subito si perde la propria cittadinanza nel mondo e si diventa un “malato”, ritrovandosi isolato dal mondo dei sani. Riccardo non ha accettato le regole del gioco e ha messo a frutto quelle possibilità importanti che un social media offre al singolo: provare a esporre la malattia, usando il registro comunicativo più aderente alla propria personalità. In tal caso, servendosi di uno humor nero che, sottolineando implicitamente il dolore provato, evidenzia una personalità colma di luminosità e di forza. E i tanti adolescenti che lo hanno seguito, continuano ancora oggi – dopo la sua morte – a scrivere sotto i suoi video, manifestando tanto la loro tristezza per l’assenza di Riccardo quanto la stima per una persona che ha rotto – a suo modo – un tabù.

Non voglio fare l’ottimista a tutti i costi, dunque lungi da me nascondere le riflessioni critiche sull’uso dei social, sul tipo – spesso superficiale – di relazioni che nascono al loro interno, su qualsivoglia aspetto negativo che deriva dalla comunicazione online. Tuttavia, mi pare doveroso raccontare la storia di Riccardo per evidenziare come la dimensione online si appropri di un territorio lasciato terribilmente vuoto nella dimensione offline: il territorio della comunione e della vicinanza in presenza di situazioni che suscitano imbarazzo, dunque portano a isolare la fonte dell’imbarazzo. La protezione dello schermo aiuta a limitare questo sentimento improprio e, forse, svolge un ruolo educativo i cui effetti li vedremo tra qualche decennio. Magari, tra le centinaia di migliaia di persone che hanno seguito Riccardo vi sarà anche solo un 10% che trarrà da questa esperienza un insegnamento, imparando a rapportarsi a chi si ritrova ad avere un tumore con un piglio diverso.

Vi consiglio vivamente di andare sul profilo di Riccardo, fulgido esempio di come un diciassettenne del XXI secolo può utilizzare le tecnologie digitali per darsi quella forza mancante nello spazio pubblico.

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