Noa, note a margine, di Marina Sozzi
Poiché se ne è parlato troppo e spesso in modo superficiale in Italia, sento il bisogno di scrivere qualche parola su Noa Pothoven, la ragazza olandese morta domenica 2 giugno. Non tanto sul caso in sé, estremamente controverso e complesso, di cui sappiamo ben poco, quanto sul modo in cui è stato trattato nel nostro paese.
Le scarse notizie che abbiamo su questa giovane sono ormai note. Noa è stata molestata due volte a 11 e 12 anni, e violentata a 14 anni, fatto che ha tenuto a lungo segreto. Queste esperienze terribili le hanno provocato un trauma profondo, che è sfociato in depressione, anoressia e tentativi di suicidio. Per anni è stata ricoverata in ospedali e comunità, addirittura posta in coma farmacologico per essere alimentata; ha fatto psicoterapia e preso tranquillanti ed antidepressivi. Inutilmente. Poi Noa ha chiesto l’eutanasia, che le autorità olandesi le hanno negato, e ha allora deciso di lasciarsi morire, smettendo di mangiare e di bere. In Olanda ci sarà un’ispezione sanitaria per comprendere se è stato commesso qualche errore o qualche mancanza nella cura di questa diciassettenne, che non è stato possibile salvare. Benché sia tristissimo, e molto faticoso da accettare, i tentativi di aiutarla hanno infatti fallito: i medici e gli psicologi non sono riusciti a sciogliere il suo male interiore. E’ giusto capire se c’è qualcosa che poteva ancora essere stato fatto e non è stato tentato. Ma non è detto che ci sia un colpevole, tra i medici e gli psichiatri.
A maggior ragione, chi si è scagliato contro i genitori, dicendo che non l’hanno protetta abbastanza o non le hanno impedito di morire, mostra di non avere senso di umiltà di fronte alla spesso inattingibile realtà della sofferenza umana, e di non avere pietas per il dolore probabilmente straziante di questi genitori e per il loro senso di impotenza, che durante lunghi anni può aver fiaccato anche le loro capacità di reazione e la loro lucidità.
Stranamente, ho sentito molti pontificare sulla sua morte, affermando che non avrebbe dovuto essere permessa, mentre pochi hanno messo l’accento sulla gravità delle conseguenze dello stupro, che nel caso di Noa è stato una forma di omicidio dilazionato.
Lo psicanalista Recalcati ha scritto su Repubblica un articolo, Il buio di una scelta, che ha qualche passaggio condivisibile (concordo che non sia il caso di fare di Noa un vessillo di libertà e giusta emancipazione della volontà, lei così fragile e offuscata dalla malattia). Poi però introduce una riflessione sul mondo degli adulti che dovrebbero “contrastare in ogni modo – anche attraverso le Leggi – la spinta alla morte”: si tratta di un discorso pedagogico che mi è parso troppo facile se applicato al dolore e al suicidio degli adolescenti in generale; ma che è tanto più discutibile in questo caso. Recalcati cita en passant gli stupri subiti da Noa, quasi fossero un aspetto irrilevante, e pare proprio non gli vengano in mente, mentre scrive.
Non parlo neppure dei giornalisti che hanno scritto che si è trattato di eutanasia o di suicidio assistito: l’eutanasia era stata rifiutata a Noa, e non c’entra nulla con questa storia terribile. E neppure si può parlare di suicidio assistito, perché Noa non ha preso alcuna sostanza letale. Ci sono giornalisti che prendono per buone le fake news, senza verifiche e approfondimenti, soprattutto quando l’argomento (in questo caso l’eutanasia) fa discutere, accalorare, quindi vendere.
Vorrei invece ricordare a coloro che si sono indignati perché Noa ha avuto un medico accanto, che le ha permesso di non soffrire, che anche in Italia è legittimo rifiutare le cure (e la nutrizione artificiale è una cura, poiché Noa non voleva/poteva alimentarsi: prego coloro che non capiscono di leggere qualcosa sull’anoressia) e si ha il diritto di non essere abbandonati dal medico. Parliamo della legge 219/2017, che recita: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”. E inoltre: “Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.” E ancora: “Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.”
Ovviamente in Olanda le leggi sono diverse, ma mi interessa sottolineare che anche se Noa fosse stata in Italia, la vicenda non avrebbe avuto, probabilmente, un esito diverso. Le cose sarebbero andate nello stesso modo, ma (a differenza che in Olanda) tra mille discussioni sui massimi sistemi, disponibilità e indisponibilità della vita, maggiorenni e minorenni, malattia del corpo o della psiche: e sempre senza la capacità di tacere di fronte alla sofferenza che non si comprende, e che non è stato possibile lenire. Senza la capacità di accogliere la tristezza ma rispettando gli attori del dramma, senza la consapevolezza dell’estrema fragilità, vulnerabilità, delle nostre vite, della nostra felicità e infelicità, del nostro rapporto con l’esistenza, della nostra capacità di resistere nella tempesta.
I vostri commenti sono benvenuti, ma vi prego, rispettosi di chi ha sofferto.