Intensiva.it, di Marina Sozzi
Prima del Covid19, le terapie intensive erano luoghi del tutto sconosciuti alla maggioranza delle persone. Si sapeva, magari, che sono luoghi in cui vengono praticate complesse cure salvavita, talvolta nella più grande incertezza del risultato. Sono luoghi che fanno paura. La mente va a Eluana Englaro e a tutti coloro che la biomedicina ha lasciato sospesi tra la vita e la morte, in stato vegetativo. Per questo nelle disposizioni anticipate di trattamento, rese cogenti in Italia per i medici dalla legge 219/2017, i cittadini che testano lasciano spesso l’opzione di non essere sottoposti a rianimazione cardio-respiratoria, né ad alimentazione artificiale.
La conoscenza delle terapie intensive non è molto migliorata con il Covid, a parte i numeri che vengono forniti quotidianamente, e che quantificano il grado di saturazione delle terapie intensive in Italia. Si sa che all’inizio della pandemia erano presenti circa 5179 posti letto in terapia intensiva, e che durante questo terribile anno sono stati portati a 6.458. Ma poco sappiamo di cosa accade in una terapia intensiva. Da quando c’è la pandemia, chi viene ricoverato in ospedale e poi magari in terapia intensiva sparisce quasi nel nulla, a parte le telefonate che i familiari ricevono dai curanti.
Parlando con i rianimatori, sappiamo che la mortalità in terapia intensiva prima del Covid si aggirava tra 22 e 25% circa, mentre con il Covid è brutalmente salita al 50%, con grave disagio e angoscia degli stessi operatori.
È bene tuttavia essere al corrente di un mutamento in corso: come è già accaduto in altre branche della medicina, anche i rianimatori si stanno interrogando sul proprio operato e sull’appropriatezza delle terapie e degli interventi, e stanno lavorando per migliorare la comunicazione con pazienti e familiari, nell’ottica di un’umanizzazione di questi reparti.
Mi fa piacere segnalare un gruppo di intensivisti, sostenuti dalle loro società scientifiche e dai sindacati (SIAARTI, ANIARTI, AAROI-EMAC) sparsi negli ospedali di tutta Italia che da anni stanno conducendo un lavoro eccellente (cominciato ben prima del Covid e portato avanti indipendentemente dall’epidemia) per modificare le prassi delle terapie intensive, a beneficio di pazienti, familiari e operatori. Hanno costruito un sito, www.intensiva.it, che in Home page porta queste parole:
“La Terapia Intensiva (o Rianimazione) è una realtà molto dura, difficile da accettare. Ma in certi casi è l’unica possibilità per poter continuare a vivere. Quando una persona ha un incidente, una grave malattia, una grossa operazione chirurgica… quando c’è un organo vitale che non funziona, si viene ricoverati qui. Ci sono macchinari e medicine molto potenti che hanno bisogno di un controllo continuo e di personale specializzato. Lo scopo è quello di dare tempo a una persona gravemente malata, perché possa iniziare a guarire da una malattia acuta.
Avere un proprio caro in Rianimazione molto spesso cambia il modo di vivere, di considerare la vita. Naviga su questo sito per capire razionalmente cos’è la Rianimazione e ancora di più, per comprendere meglio le tue emozioni. E per non sentirti solo.”
Navigando, si trovano spiegazioni su come è organizzata un’unità di cura, e a cosa servono i macchinari che si trovano intorno al letto; c’è un filmato con le interviste ai pazienti che sono guariti, che raccontano le loro sensazioni e le loro emozioni; c’è una pagina in cui viene data voce ai familiari, una in cui parlano gli operatori. Un’altra pagina, dedicata alla morte in terapia intensiva, spiega in parole semplici anche la morte cerebrale: “In alcune malattie, invece, accade che il cervello muore, mentre il cuore continua a battere se sostenuto da medicine e da macchine. Nonostante sia presente il battito del cuore, questa condizione coincide con la morte dell’individuo: è forse più difficile comprendere e accettare che il tuo caro è morto, ma quando il cervello muore, tutto l’individuo muore.” Non manca una sezione dedicata alla donazione di organi, vista dalla parte di chi ha perso un congiunto. Tutto questo, insieme ad alcuni poster da appendere nelle sale d’attesa delle terapie intensive italiane, e ad alcune brochure dedicate ai familiari, completano il progetto di cui il sito internet è il perno centrale.
Ci sono due punti che mi preme ancora sottolineare di questo rilevante progetto. Il primo è la convinzione, che anima i promotori, che le terapie intensive debbano essere aperte, e che i familiari siano alleati degli operatori, e non ostacoli nelle procedure di cura. Questo aspetto è di primaria importanza, e occorrerebbe forse allargare questa riflessione, e chiedersi se sia corretto impedire l’ingresso ai familiari anche per i pazienti Covid, naturalmente con le medesime protezioni impiegate dagli operatori.
Il secondo è che occorre far maturare in tutti, nei medici come nei familiari, la consapevolezza che anche gli straordinari mezzi delle terapie intensive possono diventare futili, qualora sia chiaro che non è più possibile salvare la vita, o una qualità di vita accettabile per il paziente. Di quali siano le volontà del paziente, bisogna informarsi, mediante le DAT qualora siano presenti, o attraverso il dialogo con i familiari. E bisogna rispettarle. Occorre quindi desistere, utilizzare ottime cure palliative e accompagnare il nucleo familiare del paziente alla fine della vita.
Cosa ne pensate? Avete esperienze dirette o indirette di terapia intensiva?