Quali nuove sull’eutanasia in Europa?
L’eutanasia attiva (uccisione mediante iniezione di farmaco letale) è legale in Olanda e in Belgio. In entrambi i paesi c’è stato, negli ultimi anni, un picco di richieste, accolte dai medici, di eutanasia e suicidio assistito. In Olanda si parla di un incremento del 75%. In Belgio s’ipotizza di estendere ai minorenni e ai malati di demenza senile la possibilità di accedere alla “dolce morte”.
Come interpretare questi dati? Come il fisiologico ampliamento di un diritto e della sua conoscenza da parte del pubblico? O come inquietanti segnali di uno scivolamento verso una gestione della morte troppo sbrigativa?
L’European Institute of Bioethics, che ha sede in Belgio, ritiene che non ci siano stati sufficienti controlli sull’applicazione della legge, e stima che l’8% dei pazienti non fosse in stato terminale e che nel 94% dei casi mancasse la domanda scritta, prevista dalla legge.
Anche in Francia c’è stata discussione, e si è creata una frattura tra Hollande (che ha annunciato per giugno 2013 un disegno di legge che prevedrà la depenalizzazione dell’eutanasia) e Didier Sicard, presidente onorario del Comitato di Bioetica Francese, contrario a questa decisione. Sicard ha piuttosto invitato il governo a perseguire una migliore applicazione dell’ottima legge Leonetti sulle cure palliative, del 2005.
Nel 2011 la Svizzera, dove è legale il suicidio assistito (insieme agli Stati di Washington, dell’Oregon e del Montana negli Usa), ha dibattuto sull’opportunità di fermare il “turismo della morte”: ma i cittadini hanno deciso, con un referendum, di non togliere agli stranieri l’opportunità di cercare nel paese la fine della propria sofferenza. Un’opportunità colta, come forse ricorderete, anche da Lucio Magri, uno dei fondatori de Il Manifesto.
Che dire di queste tendenze? Si tratta di riforme “ad alto tasso d’ideologia”, come scrive Francesco Ognibene su Avvenire, volte a distogliere l’attenzione dalla crisi economica?
O occorre tener conto della vasta popolarità della soluzione eutanasica tra i cittadini?
Rigidamente contrari all’eutanasia restano in Europa soprattutto i governi di due paesi, la Gran Bretagna, e l’Italia. La Gran Bretagna prevede fino a quattordici anni di carcere per eutanasia, assimilata all’omicidio. E’ noto il caso di Tony Nicklinson, che soffriva di locked-in-syndrome, e si trovava, lucido, prigioniero nel suo corpo immobile, a cui è stata negata la possibilità di morire.
Anche in Italia l’eutanasia è oggi accomunata con l’assassinio di consenziente. E tuttavia, se ne discute molto. All’interno della Chiesa vi sono posizioni diverse, benché accomunate dal rifiuto dell’eutanasia attiva. Basti fare due nomi, il cardinal Martini e il cardinal Bagnasco.
Recentemente, una proposta di legge d’iniziativa popolare per la depenalizzazione dell’eutanasia è stata depositata dalle associazioni Exit e Coscioni insieme alla UAAR (Unione degli Atei, Agnostici e Razionalisti). Ci vorranno 50.000 firme per portarla in Parlamento, e non è detto che i proponenti ci riusciranno.
Ma è davvero questa (l’eutanasia attiva) la priorità italiana (ed europea) a proposito di buona morte? Perché non concentrarci in primo luogo sulla diffusione delle cure palliative, che prevedono anche, contro la sofferenza, adeguate dosi di morfina e la sedazione terminale (che, a scanso di equivoci, nulla ha a che fare con l’eutanasia)? Perché non approfondire il ragionamento sul diritto di ciascuno a sospendere le cure salvavita, chiarendo che né Welby né Englaro furono casi di eutanasia? Perché non mettere l’accento sull’esigenza di una legge seria sul testamento biologico, diversa da quella in discussione (che di fatto nega valore al testamento stesso, considerato solo orientativo e non cogente per il medico)? Non è per caso perché dire SI all’eutanasia richiede meno riflessione, e permette di dare il proprio parere senza aver veramente fatto i conti con la morte?