Punti interrogativi e silenzio, di Ferdinando Garetto
Riceviamo e con piacere pubblichiamo la riflessione del dottor Ferdinando Garetto, medico palliativista della Fondazione Faro e Consulente del Servizio di Oncologia del Presidio Sanitario Gradenigo di Torino
La notizia meriterebbe rispetto e silenzio: un uomo di trentanove anni, Fabiano, reso gravemente invalido da un incidente, perfettamente lucido e con un’attesa di vita probabilmente non diversa da quella di altri suoi coetanei nelle sue condizioni, disperato per la terribile invalidità, decide di suicidarsi. Viene accompagnato in uno Stato che approva il suicidio assistito, e con un’ “approfondita” valutazione (durata meno di 24 ore) è aiutato a morire. Cioè viene ucciso (o messo nelle condizioni di uccidersi), per pietà. Questa la definizione dal punto di vista della bioetica: e lascio volutamente da parte le polemiche estremiste sugli interessi economici, ben noti, delle società organizzate che provvedono a tali procedure.
Vuoto, disperazione, dolore, compassione, astensione dal giudizio sono le uniche parole autenticamente umane che meriterebbero di essere utilizzate.
Intanto, i mass media collegano il “caso” di Dj Fabo alla legge sulle Disposizioni (o forse Dichiarazioni, vedremo…) Anticipate di Trattamento in discussione in Parlamento. Occorre assolutamente sottolineare che tale legge, anche se fosse già stata approvata, non avrebbe certo permesso al giovane uomo di concludere in questo modo la sua vita… vita che non era “alla fine”. La legge in discussione non prevede l’eutanasia, per essere chiari. Né “attiva” né passiva” se proprio vogliamo usare una terminologia ambigua e confondente che non avrebbe più molto senso di essere usata: tutt’altro è la sedazione intenzionale profonda, ma non è questo l’ambito in cui approfondire il tema.
Fabiano aveva un “male dell’anima” oltre che del corpo ferito, che –forse- avrebbe potuto essere in altri modi curato. Chissà… Chi può dirlo? Quel che è certo, è che non sono i ritardi della legge ad “averlo sulla coscienza”, come è stato detto da qualcuno.
Piuttosto, la Società intera forse dovrebbe farsi un esame di coscienza, ma siamo ancora capaci di coscienza? Di vicinanza? Di Senso e Significato? Di Società? Lasciateci il diritto, in questo momento, di rimanere in silenzio, con nella mente e nel cuore le infinite storie quotidiane che nelle case e nelle famiglie vanno diversamente: ma sarebbe un oltraggio, anche per queste tante storie diverse, “sbandierarle” e “urlarle”, come in uno stadio dove il tifo acceca e toglie lucidità.
I tuttologi spaventano per le loro certezze. Se ne vedono tanti, alcuni particolarmente prestigiosi e molto presenti. E un uomo è morto. “Con una procedura durata circa mezzora”. Musica di sottofondo. Pubblicità.
Rimanere, in silenzio, dicevamo, senza risposte, ma “rimanere”, “stare”, “stare accanto”… Da qui si aprirebbe il grande capitolo delle cure palliative, il grande diritto “a non soffrire” che è uno dei diritti più dichiarati (senza bisogno di altre leggi), ma al tempo stesso misconosciuti.
Non varrebbe la pena di unire le forze per questo? La legge 38/2010 prevede questo diritto per ogni cittadino italiano, ed è una legge fra le più avanzate d’Europa. La legge sulle DAT in discussione in Parlamento ci pone in linea con le posizioni delle articolate legislazioni europee, come quella francese. E ci porta avanti in questo cammino.
Invece i “casi limite” sanno di forzatura, di tentativo di “spallata”, e finiscono solo per frammentare, accendere gli animi, e in definitiva ritardare l’approvazione della legge o forse rovinarla: qualche risultato deteriore in tal senso sembra lo stiano già ottenendo… Ma è questo ciò che si vuole?