La Digital Education nei percorsi formativi degli operatori sanitari, di Davide Sisto
Tra il 12 e il 14 novembre 2020 ha avuto luogo, online, il XXVII congresso nazionale della Società Italiana di Cure Palliative (SICP), intitolato significativamente “Le future cure palliative 4.0”. Il tema a partire da cui sono stati preparati i numerosi interventi pubblici è il ruolo sempre più invasivo e determinante delle tecnologie digitali in ambito medico, dunque anche nell’ambito delle cure palliative. La notevole attualità del congresso SICP è inconfutabile: a causa della pandemia da Covid-19 abbiamo tutti imparato, nessuno escluso, a dover sopperire alla mancanza delle relazioni in presenza con una progressiva implementazione delle attività pubbliche svolte dalle proiezioni della nostra fisicità all’interno della dimensione online e tramite la mediazione degli schermi. In altre parole, ci siamo resi conto definitivamente di come presenza fisica e localizzazione non siano più coincidenti: possiamo essere reclusi nelle abitazioni e, al tempo stesso, presenti in decine di altri luoghi online, nei quali svolgiamo i nostri lavori e coltiviamo i nostri passatempi.
Il mondo della medicina non si sottrae a questa tendenza culturale e sociale dell’epoca contemporanea. Secondo i dati del gennaio 2020, quasi quattro miliardi di persone nel mondo usano le varie piattaforme digitali nella loro quotidianità. Pertanto, è necessario in ambito medico, per migliorare esponenzialmente il rapporto medico-paziente e la stessa professionalità degli operatori sanitari, mettere a frutto le opportunità offerte dalle tecnologie digitali in molteplici e variegati modi. Per esempio, la progressiva trasformazione della dimensione online in una enciclopedia interdisciplinare e internazionale, contenente ogni tipo di articolo scientifico o di registrazione audiovisiva su qualsivoglia tema che riguarda lo spazio pubblico, può permettere al medico di potenziare le proprie conoscenze relative alla sua specializzazione (prendendo spunto, magari, dalle lezioni di qualche collega particolarmente rinomato nel mondo), di confrontarsi velocemente con i colleghi provenienti da tutto il mondo, dunque di arricchire le proprie singole prerogative, a totale vantaggio dei suoi pazienti.
Da un altro punto di vista, la Rete offre una quantità significativa di strumenti per migliorare il rapporto tra il medico e il paziente. Per esempio, se il singolo paziente, che deve affrontare una malattia particolarmente grave, dispone di uno o più profili nei principali social media, è fondamentale capire quale sia il loro ruolo nella sua vita quotidiana, di modo da rispondere alle seguenti domande: come utilizzare al meglio i social network per ottenere un conforto in un momento così drammatico (pensiamo al fenomeno dei cancer blogger)? Quali sono invece le modalità comunicative da evitare sui social per non intensificare la sofferenza? Che cosa fare dei vari profili social post mortem per non accrescere il dolore dei parenti e degli amici che soffriranno per la perdita? Perché non utilizzare il tema dell’eredità digitale come escamotage per affrontare il tabù della morte?
Sono temi estremamente rilevanti, a cui se ne aggiungono molti altri. Il progresso tecnologico è sempre più veloce e, a breve, dovremo fare i conti con la realtà virtuale e la realtà aumentata anche negli ospedali: già oggi, per esempio, l’ospedale Mauriziano di Torino si serve della realtà virtuale per guidare i pazienti, spaesati, all’interno dei suoi locali e per velocizzare le operazioni burocratiche. In Cina e negli Stati Uniti si ragiona sull’uso di ologrammi e avatar dei medici più noti a livello internazionale per svolgere le operazioni chirurgiche più delicate. In termini meno futuristici, si sta studiando il modo in cui la realtà virtuale offre gli strumenti necessari per simulare gli interventi chirurgici o per supportare il recupero delle abilità dei pazienti affetti da disturbi cognitivi o da disturbi di natura psicologica. Per esempio, l’Istituto Auxologico Italiano a Milano si serve della Telepresenza Immersiva Virtuale per riprodurre ambienti domestici nei quali il paziente può simulare le attività quotidiane necessarie per favorire un recupero delle proprie abilità psicofisiche.
Eppure vige, soprattutto in Italia, ancora una certa moralizzazione dell’utilizzo delle tecnologie digitali, figlie di un pregiudizio che nuoce alla società intera. Mi capita spesso, quando presento i temi della Digital Death nei vari congressi nazionali, di confrontarmi con operatori sanitari che ritengono del tutto superfluo riconoscere l’importanza delle relazioni all’interno dei social media: la realtà è più importante del virtuale, conta la presenza fisica, non ha senso privilegiare quella a distanza, si tratta soltanto di giochi che ci estraniano dal quotidiano, ecc. Queste obiezioni sono deleterie poiché ignorano il fatto che oggi distinguere tra online e offline, tra virtuale e reale non ha più senso. Lo vediamo, come già detto, in questo periodo contraddistinto dalla pandemia. Semmai, occorre prendere atto delle caratteristiche tecnologiche del mondo contemporaneo per far prevalere i vantaggi sugli svantaggi. Sarebbe d’uopo creare insegnamenti di Digital Education nel percorso di studio dei futuri medici, affinché si comprenda con attenzione le modalità relazionali create online, i pericoli della registrazione, le trasformazioni dei comportamenti, l’incidenza del dato registrato sul presente e via dicendo. Solo uno studio attento, che travalica i pregiudizi e che abbandona obsolete contrapposizioni tra reale e virtuale, permetterà di creare una società matura e pronta ad accogliere le sfide del digitale.
Voi cosa ne pensate? Ritenete importante che si faccia una sana Digital Education anche in ambito medico? Attendiamo le vostre opinioni.