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Tag Archivio per: depressione

Noa, note a margine, di Marina Sozzi

9 Giugno 2019/19 Commenti/in Riflessioni/da sipuodiremorte

Poiché se ne è parlato troppo e spesso in modo superficiale in Italia, sento il bisogno di scrivere qualche parola su Noa Pothoven, la ragazza olandese morta domenica 2 giugno. Non tanto sul caso in sé, estremamente controverso e complesso, di cui sappiamo ben poco, quanto sul modo in cui è stato trattato nel nostro paese.

Le scarse notizie che abbiamo su questa giovane sono ormai note. Noa è stata molestata due volte a 11 e 12 anni, e violentata a 14 anni, fatto che ha tenuto a lungo segreto. Queste esperienze terribili le hanno provocato un trauma profondo, che è sfociato in depressione, anoressia e tentativi di suicidio. Per anni è stata ricoverata in ospedali e comunità, addirittura posta in coma farmacologico per essere alimentata; ha fatto psicoterapia e preso tranquillanti ed antidepressivi. Inutilmente. Poi Noa ha chiesto l’eutanasia, che le autorità olandesi le hanno negato, e ha allora deciso di lasciarsi morire, smettendo di mangiare e di bere. In Olanda ci sarà un’ispezione sanitaria per comprendere se è stato commesso qualche errore o qualche mancanza nella cura di questa diciassettenne, che non è stato possibile salvare. Benché sia tristissimo, e molto faticoso da accettare, i tentativi di aiutarla hanno infatti fallito: i medici e gli psicologi non sono riusciti a sciogliere il suo male interiore. E’ giusto capire se c’è qualcosa che poteva ancora essere stato fatto e non è stato tentato. Ma non è detto che ci sia un colpevole, tra i medici e gli psichiatri.

A maggior ragione, chi si è scagliato contro i genitori, dicendo che non l’hanno protetta abbastanza o non le hanno impedito di morire, mostra di non avere senso di umiltà di fronte alla spesso inattingibile realtà della sofferenza umana, e di non avere pietas per il dolore probabilmente straziante di questi genitori e per il loro senso di impotenza, che durante lunghi anni può aver fiaccato anche le loro capacità di reazione e la loro lucidità.

Stranamente, ho sentito molti pontificare sulla sua morte, affermando che non avrebbe dovuto essere permessa, mentre pochi hanno messo l’accento sulla gravità delle conseguenze dello stupro, che nel caso di Noa è stato una forma di omicidio dilazionato.

Lo psicanalista Recalcati ha scritto su Repubblica un articolo, Il buio di una scelta, che ha qualche passaggio condivisibile (concordo che non sia il caso di fare di Noa un vessillo di libertà e giusta emancipazione della volontà, lei così fragile e offuscata dalla malattia). Poi però introduce una riflessione sul mondo degli adulti che dovrebbero “contrastare in ogni modo – anche attraverso le Leggi – la spinta alla morte”: si tratta di un discorso pedagogico che mi è parso troppo facile se applicato al dolore e al suicidio degli adolescenti in generale; ma che è tanto più discutibile in questo caso. Recalcati cita en passant gli stupri subiti da Noa, quasi fossero un aspetto irrilevante, e pare proprio non gli vengano in mente, mentre scrive.

Non parlo neppure dei giornalisti che hanno scritto che si è trattato di eutanasia o di suicidio assistito: l’eutanasia era stata rifiutata a Noa, e non c’entra nulla con questa storia terribile. E neppure si può parlare di suicidio assistito, perché Noa non ha preso alcuna sostanza letale. Ci sono giornalisti che prendono per buone le fake news, senza verifiche e approfondimenti, soprattutto quando l’argomento (in questo caso l’eutanasia) fa discutere, accalorare, quindi vendere.

Vorrei invece ricordare a coloro che si sono indignati perché Noa ha avuto un medico accanto, che le ha permesso di non soffrire, che anche in Italia è legittimo rifiutare le cure (e la nutrizione artificiale è una cura, poiché Noa non voleva/poteva alimentarsi: prego coloro che non capiscono di leggere qualcosa sull’anoressia) e si ha il diritto di non essere abbandonati dal medico. Parliamo della legge 219/2017, che recita: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”. E inoltre: “Ai fini della presente legge, sono   considerati   trattamenti   sanitari   la   nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici.” E ancora: “Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.”

Ovviamente in Olanda le leggi sono diverse, ma mi interessa sottolineare che anche se Noa fosse stata in Italia, la vicenda non avrebbe avuto, probabilmente, un esito diverso. Le cose sarebbero andate nello stesso modo, ma (a differenza che in Olanda) tra mille discussioni sui massimi sistemi, disponibilità e indisponibilità della vita, maggiorenni e minorenni, malattia del corpo o della psiche: e sempre senza la capacità di tacere di fronte alla sofferenza che non si comprende, e che non è stato possibile lenire. Senza la capacità di accogliere la tristezza ma rispettando gli attori del dramma, senza la consapevolezza dell’estrema fragilità, vulnerabilità, delle nostre vite, della nostra felicità e infelicità, del nostro rapporto con l’esistenza, della nostra capacità di resistere nella tempesta.

I vostri commenti sono benvenuti, ma vi prego, rispettosi di chi ha sofferto.

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2019/06/Depositphotos_87260828_s-2019-e1560011987592.jpg 265 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2019-06-09 10:39:532019-06-09 10:39:53Noa, note a margine, di Marina Sozzi

Eutanasia: bilancio in Olanda 2002-2013

13 Luglio 2015/4 Commenti/in La fine della vita/da sipuodiremorte

Sapete certo, cari lettori, che l’eutanasia non è il mio argomento preferito, per la riluttanza che ho a buttarmi nel dibattito ideologico e inconcludente che prevale nel nostro paese.
Tuttavia, ho ricevuto da un amico che vive in Olanda un articolo interessante, soprattutto per i dati che contiene (purtroppo non è più disponibile su Dutchnews.nl)
Una premessa necessaria, per chi non dovesse conoscere la legge olandese: tale legge sull’eutanasia non legalizza, bensì depenalizza, a certe condizioni, l’operato del medico che procura la morte del paziente che gliene ha fatto richiesta. E’ la legge stessa a esplicitare quali siano le condizioni che rendono il medico non punibile. Il medico deve avere la “piena convinzione” che la richiesta del paziente sia volontaria e ben ponderata, e che le sofferenze di quest’ultimo siano resistenti a terapia e insuperabili. Deve avere informato il paziente sulla sua situazione clinica e sulle sue prospettive, e deve aver consultato almeno un altro medico indipendente che abbia stilato un rapporto scritto dando parere favorevole all’eutanasia. Ogni singolo caso di eutanasia, poi, è esaminato da Commissioni regionali, che controllano che la legge sia stata rispettata pienamente. Con questa procedura, nessun medico praticherà l’eutanasia con leggerezza, sapendo che resterà perseguibile fino a prova contraria, e che il suo operato verrà vagliato con attenzione. La legge olandese non crea certo le condizioni per una diffusione incongrua dell’eutanasia (http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/136/136_la_legge_olandese.htm).
I dati forniti dall’articolo, innanzitutto:
1) I casi di eutanasia sono aumentati dai 1900 circa del 2002 ai 4829 del 2013, registrando una crescita di circa il 15% ogni anno. Non si tratta del totale degli individui che chiede l’eutanasia: vengono accolte solo il 38% delle richieste eutanasiche. Il 20% di queste ultime riceve un rifiuto, mentre il rimanente 62% cambia idea, oppure muore prima che la procedura si compia. E’ utile anche sapere che il numero dei suicidi non è diminuito, a fronte dell’aumento dell’eutanasia.
2) Il 70% dei medici afferma di aver subito forti pressioni per ottenere l’eutanasia, sia da parte dei pazienti sia da parte delle famiglie. Il 64% afferma che tale pressione è cresciuta negli ultimi anni.
3) Alcuni medici stimano che il parere della famiglia abbia una forte influenza sulla decisione del paziente in almeno un caso su cinque.
4) All’inizio il 90% delle richieste eutanasiche riguardava malati terminali di cancro. Oggi solo il 75% proviene da morenti con malattia oncologica.
Cosa possiamo dedurre da questi dati? Quali considerazioni ci invitano a fare?
Il fatto che le richieste eutanasiche siano aumentate, in sé, può rattristarci, ma non è tale da preoccuparci: potremmo imputare tale crescita all’invecchiamento della popolazione, alla maggiore tranquillità dei medici, alla maggiore informazione dei cittadini. O a tutte e tre le cose insieme.
Il dato relativo all’influenza e alla pressione delle famiglie, invece, induce a riflettere. Non penso, naturalmente, a famiglie che vogliano liberarsi dal “peso” della cura di un congiunto. In casi del genere la legge olandese è in grado di frenare l’eventuale medico compiacente.
Nell’articolo è narrata una storia vera, che riassumo: una donna malata di tumore allo stomaco ha dolori intollerabili. Affranta da tanta sofferenza, la famiglia aggredisce verbalmente il medico, rivendicando l’eutanasia per porre fine all’agonia. Viene chiamato un secondo medico, che modifica la cura e riesce a placare il dolore. La signora muore naturalmente, da lì a poco, ma dopo essersi accomiatata dai suoi e con molta maggior serenità. La famiglia esprime la sua immensa gratitudine.
Che cosa ci dice questo caso di eutanasia mancata? Stare vicino a un morente è un’esperienza dura, che scuote dall’interno. Soprattutto nella nostra cultura del “fare”, il semplice “stare”, dimorare accanto al malato e alla sua sofferenza, fa troppa paura. E si invoca l’eutanasia. Se poi, però, l’alternativa c’è, un commiato meno carico d’ansia è importante per tutti, per chi se ne va e per chi resta. Tanto più per i laici, che non hanno certezze oltre i limiti dell’umano e del terreno. E oggi gli strumenti contro il dolore nelle mani dei palliativisti si sono affinati: dobbiamo sperare che migliorino ancora, che le cure palliative siano estese a tutte le patologie, e quindi diventino disponibili per tutti i cittadini.
Le cure palliative azzereranno la richiesta eutanasica? L’Olanda ci dimostra che non è così. Le domande ci sono e ci saranno. Riguarderanno, probabilmente, sempre meno le patologie terminali, e mostreranno il loro volto più triste. Proverranno da chi avrebbe ancora vita a disposizione, non è in grado di togliersela perché immobilizzato, ma percepisce l’esistenza come un peso insopportabile. Su questi casi la risposta non può che giungere dalle persone stesse, con i loro cari e i loro curanti, dopo che saranno state sostenute in ogni modo, caso per caso, con l’attenzione rivolta alla specificità di ogni essere umano più che non all’universalità del diritto.
E, a proposito di diritto, credo che dobbiamo abbandonare il linguaggio dei “diritti”. Morire è una condizione di ciò che appartiene al mondo, una necessità con cui dobbiamo fare i conti, non un diritto. Porre la morte nell’ambito dei diritti è sintomo dell’inconsapevolezza della mortalità che permea i nostri contemporanei. I diritti, poi, hanno un’inquietante tendenza a trasformarsi in doveri. Ricordate il diritto alla felicità rivendicato dagli illuministi del XVIII secolo, presente anche nella Costituzione americana? Oggi noi dobbiamo essere capaci di raggiungere la felicità e il benessere, pena l’esclusione sociale.
Infine, per commentare il recente caso della ventiquatrenne belga con una grave depressione, non credo che si dovrebbe allargare la possibilità di praticare l’eutanasia alle persone depresse o con altri problemi psichiatrici, in grado di togliersi la vita se lo vogliono. In questi casi, voler morire fa parte dei sintomi della malattia. Purtroppo molte persone con depressione maggiore si suicidano.
Trovo però strano che proprio coloro che respingono indignati, da laici e libertari, l’idea di uno Stato etico, che imponga una morale unica ai suoi cittadini, accolgono l’idea dell’eutanasia per i cittadini sofferenti di depressione maggiore. Perché dovremmo investire la collettività di una responsabilità del genere, che appartiene solo all’individuo?

https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2015/07/Fotolia_11819874_XS-2-e1436631299716.jpg 262 350 sipuodiremorte https://www.sipuodiremorte.it/wp-content/uploads/2024/05/93409bba-2fe8-4231-86b3-36648bff989e.png sipuodiremorte2015-07-13 10:20:132015-07-13 10:20:13Eutanasia: bilancio in Olanda 2002-2013

Il lutto come disturbo mentale

7 Gennaio 2013/15 Commenti/in Aiuto al lutto/da sipuodiremorte

Due notizie inquietanti: 1) la Big Pharma ha preparato un antidepressivo specifico per il malessere del lutto; 2) al contempo, la depressione conseguente a una perdita è stata catalogata come disturbo mentale nel Manuale Diagnostico e Statistico degli psichiatri, il DSM 5. Il DSM, pubblicato dall’American Psychiatric Association, è una sorta di Bibbia per gli psichiatri di tutto il mondo, molto influente sul piano sociale, poiché stabilisce la linea di demarcazione tra ciò che è “normale” e ciò che non lo è.
Secondo il Washington Post, è scandalo. La Big Pharma commercializzerà un prodotto, il cui nome è Wellbutrin, che renderà miliardi di dollari, sulla base di uno studio fatto su un numero esiguo di soggetti (22); alcuni psichiatri americani, i cui interessi sono molto vicini a quelli della casa farmaceutica, hanno avallato l’operazione, inserendo la depressione post lutto tra le malattie da trattare con antidepressivi.
Oltre all’aspetto delinquenziale dell’operazione, tuttavia, vedo altre considerazioni da fare. Finora non si era giunti a tanto.
Per Bowlby – uno dei maggiori studiosi della fine del Novecento, il cui modello d’interpretazione del lutto è ancora molto seguito – la depressione che si manifesta dopo una perdita è una fase del lutto “normale”, dotata, inoltre, di una sua specifica utilità. La fase depressiva consente di prendere definitivamente coscienza della perdita e di cominciare a intravvedere la necessità di riorganizzare la propria vita.
Fino alla Prima guerra mondiale la parola “lutto” rimandava ai rituali di morte che andavano rispettati. Da allora, e fino a oggi, avevamo “psicologizzato” il lutto, considerandolo un male dell’anima, che andava risolto nel “foro interiore”, “elaborato” all’interno della persona, semmai col supporto della famiglia, e/o di un terapeuta.
Oggi lo stiamo medicalizzando, affidando a una pillola il nostro dolore. Che operazione stiamo compiendo?
Dal punto di vista culturale, non stupisce che gli psichiatri americani che hanno aggiornato il DSM abbiano pensato di farla franca: la loro interpretazione del lutto non è così distante dalle aspettative diffuse nel mondo occidentale.
Al bando ogni esperienza che non sia piacevole! Ingurgitiamo farmaci pur di non fermarci! Non permettiamo che la sofferenza rallenti il ritmo forsennato delle nostre vite, non cediamo al malessere, non facciamo mai spazio alla riflessione, all’introspezione che il dolore, invece, richiede. Ci sarà qualcuno che sarà sollevato sapendo che esiste una pillola miracolosa nel caso in cui perda una persona cara?
Ma davvero vogliamo essere o diventare così, macchine da guerra, senza umanità e fragilità, senza dolore e vulnerabilità, neppure quando la sventura ci è addosso, neppure quando un grande affetto ci lascia? È questa la società di domani che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli?

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