La storia di Riccardo Coman: prendere in giro il proprio tumore su Tik Tok, di Davide Sisto
Il 19 aprile 2021 i principali quotidiani nazionali hanno dato la notizia della morte di Riccardo Coman, un ragazzo bergamasco di diciassette anni che stava affrontando da tempo un terribile tumore. Ne hanno esplicitamente parlato per il particolare uso che egli faceva di Tik Tok, un uso che lo ha reso assai popolare tra gli adolescenti: più di quattrocentocinquanta mila i followers e quasi sedici milioni di like. Il suo profilo personale è, infatti, colmo di video in cui Riccardo raccontava la sua malattia con una lucidità e un’ironia tali da lasciare completamente disarmati coloro che lo seguivano. L’ultimo video, datato primo aprile, lo immortala senza capelli, a causa della chemioterapia, e con la mascherina. Sopra l’immagine del suo viso compare, inizialmente, la seguente scritta: “io pronto a vivere l’estate serenamente”. Subito dopo appare la sua immagine completamente mossa e trasfigurata, accompagnata dalla scritta rossa “tumore al cervello”. In un altro video, meno recente, ironizza sui propositi futuri, alludendo alla sua vicina morte. Altri esempi: “sono nato a giugno e ne sono uscito cancro. Letteralmente”, “io al mio funerale quando mia madre dirà: ora finalmente possiamo vedere cosa c’è nel suo telefono”, segue sguardo terrorizzato. Ancora, “quando le piace la medicina e tu sei un paziente oncologico”, segue sguardo ammiccante.
Questi sono alcuni dei tantissimi esempi di una narrazione della propria malattia senza peli sulla lingua, la quale unisce riflessioni amare sulle conseguenze fisiche ed estetiche della chemioterapia a battute di spirito sagaci e prive di qualsivoglia imbarazzo, utilizzando al meglio le caratteristiche specifiche di Tik Tok: vale a dire, l’unione armonica tra la musica in sottofondo, il tipo di immagine scelta e il carattere particolare delle parole, il tutto condensato in pochi minuti di registrazione. Qualcuno ha manifestato la propria perplessità relativa a questo modo di esporsi; la maggioranza, tuttavia, ha invece mostrato una grande vicinanza mediante centinaia di commenti nei quali emerge il grande affetto che la comunità social aveva per questo ragazzo. “Siamo la tua famiglia” è una delle frasi ricorrenti.
Da diversi anni seguo, per ragioni di ricerca, le vicende dei cosiddetti “cancer blogger”, vale a dire di coloro che parlano esplicitamente del proprio tumore all’interno dei vari social media, creando comunità più o meno numerose. Ma è, forse, la prima volta che mi capita di osservare un modo così spontaneo, sarcastico e immediato di descrivere una malattia tumorale nella dimensione online. Ammiro sinceramente l’intelligenza di Riccardo, il quale è riuscito ad affrontare le enormi sofferenze di tre lunghi anni di tumore, per di più vissuti durante l’adolescenza, ritagliandosi uno spazio personale in cui prendersi le sue dovute rivincite. Quindi, uno spazio in cui dare libero sfogo alla fantasia, alla capacità di autorappresentarsi in maniera insolita e al bisogno di sentirsi investito di un compito: quello di togliere imbarazzo dalla condizione di malato e di parlare liberamente di un cancro. Sappiamo bene tutti che il tumore aggiunge ai tanti drammi personali del singolo individuo la spiacevole sensazione di essere identificato irrimediabilmente con la propria malattia. Quando si scopre di avere un tumore, subito si perde la propria cittadinanza nel mondo e si diventa un “malato”, ritrovandosi isolato dal mondo dei sani. Riccardo non ha accettato le regole del gioco e ha messo a frutto quelle possibilità importanti che un social media offre al singolo: provare a esporre la malattia, usando il registro comunicativo più aderente alla propria personalità. In tal caso, servendosi di uno humor nero che, sottolineando implicitamente il dolore provato, evidenzia una personalità colma di luminosità e di forza. E i tanti adolescenti che lo hanno seguito, continuano ancora oggi – dopo la sua morte – a scrivere sotto i suoi video, manifestando tanto la loro tristezza per l’assenza di Riccardo quanto la stima per una persona che ha rotto – a suo modo – un tabù.
Non voglio fare l’ottimista a tutti i costi, dunque lungi da me nascondere le riflessioni critiche sull’uso dei social, sul tipo – spesso superficiale – di relazioni che nascono al loro interno, su qualsivoglia aspetto negativo che deriva dalla comunicazione online. Tuttavia, mi pare doveroso raccontare la storia di Riccardo per evidenziare come la dimensione online si appropri di un territorio lasciato terribilmente vuoto nella dimensione offline: il territorio della comunione e della vicinanza in presenza di situazioni che suscitano imbarazzo, dunque portano a isolare la fonte dell’imbarazzo. La protezione dello schermo aiuta a limitare questo sentimento improprio e, forse, svolge un ruolo educativo i cui effetti li vedremo tra qualche decennio. Magari, tra le centinaia di migliaia di persone che hanno seguito Riccardo vi sarà anche solo un 10% che trarrà da questa esperienza un insegnamento, imparando a rapportarsi a chi si ritrova ad avere un tumore con un piglio diverso.
Vi consiglio vivamente di andare sul profilo di Riccardo, fulgido esempio di come un diciassettenne del XXI secolo può utilizzare le tecnologie digitali per darsi quella forza mancante nello spazio pubblico.