Eutanasia: bilancio in Olanda 2002-2013
Sapete certo, cari lettori, che l’eutanasia non è il mio argomento preferito, per la riluttanza che ho a buttarmi nel dibattito ideologico e inconcludente che prevale nel nostro paese.
Tuttavia, ho ricevuto da un amico che vive in Olanda un articolo interessante, soprattutto per i dati che contiene (purtroppo non è più disponibile su Dutchnews.nl)
Una premessa necessaria, per chi non dovesse conoscere la legge olandese: tale legge sull’eutanasia non legalizza, bensì depenalizza, a certe condizioni, l’operato del medico che procura la morte del paziente che gliene ha fatto richiesta. E’ la legge stessa a esplicitare quali siano le condizioni che rendono il medico non punibile. Il medico deve avere la “piena convinzione” che la richiesta del paziente sia volontaria e ben ponderata, e che le sofferenze di quest’ultimo siano resistenti a terapia e insuperabili. Deve avere informato il paziente sulla sua situazione clinica e sulle sue prospettive, e deve aver consultato almeno un altro medico indipendente che abbia stilato un rapporto scritto dando parere favorevole all’eutanasia. Ogni singolo caso di eutanasia, poi, è esaminato da Commissioni regionali, che controllano che la legge sia stata rispettata pienamente. Con questa procedura, nessun medico praticherà l’eutanasia con leggerezza, sapendo che resterà perseguibile fino a prova contraria, e che il suo operato verrà vagliato con attenzione. La legge olandese non crea certo le condizioni per una diffusione incongrua dell’eutanasia (http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/136/136_la_legge_olandese.htm).
I dati forniti dall’articolo, innanzitutto:
1) I casi di eutanasia sono aumentati dai 1900 circa del 2002 ai 4829 del 2013, registrando una crescita di circa il 15% ogni anno. Non si tratta del totale degli individui che chiede l’eutanasia: vengono accolte solo il 38% delle richieste eutanasiche. Il 20% di queste ultime riceve un rifiuto, mentre il rimanente 62% cambia idea, oppure muore prima che la procedura si compia. E’ utile anche sapere che il numero dei suicidi non è diminuito, a fronte dell’aumento dell’eutanasia.
2) Il 70% dei medici afferma di aver subito forti pressioni per ottenere l’eutanasia, sia da parte dei pazienti sia da parte delle famiglie. Il 64% afferma che tale pressione è cresciuta negli ultimi anni.
3) Alcuni medici stimano che il parere della famiglia abbia una forte influenza sulla decisione del paziente in almeno un caso su cinque.
4) All’inizio il 90% delle richieste eutanasiche riguardava malati terminali di cancro. Oggi solo il 75% proviene da morenti con malattia oncologica.
Cosa possiamo dedurre da questi dati? Quali considerazioni ci invitano a fare?
Il fatto che le richieste eutanasiche siano aumentate, in sé, può rattristarci, ma non è tale da preoccuparci: potremmo imputare tale crescita all’invecchiamento della popolazione, alla maggiore tranquillità dei medici, alla maggiore informazione dei cittadini. O a tutte e tre le cose insieme.
Il dato relativo all’influenza e alla pressione delle famiglie, invece, induce a riflettere. Non penso, naturalmente, a famiglie che vogliano liberarsi dal “peso” della cura di un congiunto. In casi del genere la legge olandese è in grado di frenare l’eventuale medico compiacente.
Nell’articolo è narrata una storia vera, che riassumo: una donna malata di tumore allo stomaco ha dolori intollerabili. Affranta da tanta sofferenza, la famiglia aggredisce verbalmente il medico, rivendicando l’eutanasia per porre fine all’agonia. Viene chiamato un secondo medico, che modifica la cura e riesce a placare il dolore. La signora muore naturalmente, da lì a poco, ma dopo essersi accomiatata dai suoi e con molta maggior serenità. La famiglia esprime la sua immensa gratitudine.
Che cosa ci dice questo caso di eutanasia mancata? Stare vicino a un morente è un’esperienza dura, che scuote dall’interno. Soprattutto nella nostra cultura del “fare”, il semplice “stare”, dimorare accanto al malato e alla sua sofferenza, fa troppa paura. E si invoca l’eutanasia. Se poi, però, l’alternativa c’è, un commiato meno carico d’ansia è importante per tutti, per chi se ne va e per chi resta. Tanto più per i laici, che non hanno certezze oltre i limiti dell’umano e del terreno. E oggi gli strumenti contro il dolore nelle mani dei palliativisti si sono affinati: dobbiamo sperare che migliorino ancora, che le cure palliative siano estese a tutte le patologie, e quindi diventino disponibili per tutti i cittadini.
Le cure palliative azzereranno la richiesta eutanasica? L’Olanda ci dimostra che non è così. Le domande ci sono e ci saranno. Riguarderanno, probabilmente, sempre meno le patologie terminali, e mostreranno il loro volto più triste. Proverranno da chi avrebbe ancora vita a disposizione, non è in grado di togliersela perché immobilizzato, ma percepisce l’esistenza come un peso insopportabile. Su questi casi la risposta non può che giungere dalle persone stesse, con i loro cari e i loro curanti, dopo che saranno state sostenute in ogni modo, caso per caso, con l’attenzione rivolta alla specificità di ogni essere umano più che non all’universalità del diritto.
E, a proposito di diritto, credo che dobbiamo abbandonare il linguaggio dei “diritti”. Morire è una condizione di ciò che appartiene al mondo, una necessità con cui dobbiamo fare i conti, non un diritto. Porre la morte nell’ambito dei diritti è sintomo dell’inconsapevolezza della mortalità che permea i nostri contemporanei. I diritti, poi, hanno un’inquietante tendenza a trasformarsi in doveri. Ricordate il diritto alla felicità rivendicato dagli illuministi del XVIII secolo, presente anche nella Costituzione americana? Oggi noi dobbiamo essere capaci di raggiungere la felicità e il benessere, pena l’esclusione sociale.
Infine, per commentare il recente caso della ventiquatrenne belga con una grave depressione, non credo che si dovrebbe allargare la possibilità di praticare l’eutanasia alle persone depresse o con altri problemi psichiatrici, in grado di togliersi la vita se lo vogliono. In questi casi, voler morire fa parte dei sintomi della malattia. Purtroppo molte persone con depressione maggiore si suicidano.
Trovo però strano che proprio coloro che respingono indignati, da laici e libertari, l’idea di uno Stato etico, che imponga una morale unica ai suoi cittadini, accolgono l’idea dell’eutanasia per i cittadini sofferenti di depressione maggiore. Perché dovremmo investire la collettività di una responsabilità del genere, che appartiene solo all’individuo?