Nei primi giorni del 2021 si è diffusa nel mondo la notizia relativa al fatto che Microsoft sta pensando di utilizzare l’intelligenza artificiale per creare un “chatbot” che ci permetta di dialogare con i nostri cari defunti. In termini meno tecnici, si tratta di dare autonomia a tutte le tracce dell’esistenza del singolo individuo, che sono state progressivamente condivise nel mondo online sotto forma di parole scritte, registrazioni vocali e video: tali tracce vengono cioè rielaborate artificialmente, in modo tale da creare lo spettro digitale del morto, il quale ha il compito di sostituire il suo gemello biologico una volta che è deceduto.
Di questi temi ho parlato spesso nel blog, quindi non mi soffermo ulteriormente sulle conseguenze di una simile invenzione. Menziono però questa notizia perché per la prima volta un colosso commerciale come Microsoft si è interessato a un simile fenomeno, finora diffuso soltanto tra scienziati particolarmente propensi a rendere reali i propri sogni fantascientifici. Ciò testimonia in maniera cristallina il segno dei tempi: la tecnologia interferisce sempre di più nel legame tra il vivere e il morire, dunque dovremo abituarci a tenerne conto in tutti i percorsi formativi che concernono le problematiche riguardanti il fine vita. Ne dovremmo tener conto ancor di più una volta superata l’emergenza pandemica che stiamo vivendo: le reclusioni casalinghe dei corpi, nel corso dei vari lockdown, hanno infatti accelerato il processo che tende a sostituirli o a prolungarli tramite i “corpi digitali” proiettati attraverso gli schermi.
Se gli spettri digitali dei morti rappresentano la conseguenza più estrema dell’interferenza tecnologica tra il vivere e il morire, vi sono altri aspetti di natura culturale o rituale che fanno ora ampiamente parte della nostra vita quotidiana: sto pensando, per esempio, ai funerali in streaming, i quali hanno permesso ai dolenti di partecipare – a distanza – alle funzioni funebri nelle fasi più restrittive del lockdown.
Ma i funerali in streaming sono un’esclusiva del mondo occidentale fortemente tecnologizzato o sono diffusi in tutto il mondo, al di là delle differenze religiose, culturali, sociali, ecc.? La risposta, sulla base di ciò che si legge sui giornali internazionali, va nella direzione della seconda opzione. Non vi è, cioè, territorio nel mondo che non abbia deciso di adottare le tecnologie digitali per le ritualità funebri, di modo da evitare assembramenti nocivi alla salute dei cittadini e ciò è accaduto al di là del numero di cittadini dotato di una funzionante connessione al web.
Ad esempio, in Africa, risalta la situazione che si è verificata in Ghana, paese prevalentemente cristiano. I suoi eccentrici riti funebri sono famosi in tutto il mondo: i funerali possono durare anche sei-sette giorni, coinvolgendo centinaia di persone, tra le quali vi sono anche coloro che vengono pagati per piangere il caro estinto. Durante il Covid-19, il presidente del Ghana ha sospeso questo tipo di ritualità: non più di 25 persone possono partecipare al funerale, il quale è trasmesso online e in streaming per permettere a tutte le altre persone della comunità di essere presenti. Una giornalista locale ha evidenziato la stranezza di stare in jeans o, addirittura, in pigiama durante la cerimonia funebre, a cui ha partecipato stando davanti allo schermo. La CNN ha addirittura parlato di una tradizione funebre centenaria che, di colpo, si è radicalmente tecnologizzata, affrontando una metamorfosi i cui esiti futuri sono del tutto incerti.
In India non vi è pluralità religiosa che tenga: tutti i riti si sono trasferiti ugualmente sulla piattaforma Zoom. I luoghi sacri in cui si celebra il funerale vengono invasi da telecamere e microfoni i quali permettono la celebrazione del rito. Si stima, invece, che i siti web dei cimiteri pubblici di Shanghai abbiano ricevuto quasi un milione di visite da metà marzo a fine aprile 2020. Mentre in Giappone è divenuta quotidiana l’espressione “net yohai” per descrivere il funerale trasmesso in streaming: net significa “essere online” mentre yohai indica l’atto del pregare senza visitare il tempio o la chiesa. In molti altri paesi orientali, soprattutto la Corea del Sud e la Cina, la mutazione digitale delle ritualità tradizionali è in corso da diverso tempo: i cimiteri, da molti anni, sono dotati di telecamere e di connessione wifi per permettere ai cittadini lavoratori di prendere parte ai funerali o di far visita alla tomba del proprio caro tramite gli schermi, non potendo lasciare il posto di lavoro.
Le interpretazioni di questi fenomeni sono alquanto complesse e varie, richiedendo – a mio avviso – la capacità di mantenere un atteggiamento che non sia né eccessivamente apocalittico né superficialmente entusiastico. Man mano che passano gli anni, il mondo sarà sempre più popolato da cittadini “iperconnessi” fin dalle scuole elementari. L’integrazione tra mondo online e mondo offline obbliga, pertanto, a compiere riflessioni che tengano conto del mutamento ritualistico in corso, implicando uno studio attento delle caratteristiche sia tecniche sia psicologico-antropologico-filosofiche degli strumenti digitali. Solo così, riusciremo a evitare gli effetti più negativi di questa invasività tecnologica (la distanza, la solitudine, l’assenza), mettendo a frutto il nuovo modo di stare al mondo. Voi cosa ne pensate? Attendiamo i vostri commenti e le vostre esperienze.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!