Dialoghi sul tramonto del tempo, intervista a Marilde Trinchero di Marina Sozzi
Marilde, il tuo libro La vita è bella. Dialoghi sul tramonto del tempo è molto atipico rispetto ad altri libri che ho letto sul tema della morte. Non c’è una tesi, e neppure un tema centrale. Piuttosto, ti sei messa in ascolto di quello che altri (morenti, familiari, operatori sanitari, tanatologi, militanti per il suicidio assistito) avevano da dire nell’avvicinarsi al mistero della morte. Ci racconti con quale atteggiamento ti sei accostata a questo tipo di scrittura?
Il libro La vita è bella è nato dall’urgenza di apprendere qualcosa su un argomento per il quale mi sentivo sprovvista di strumenti. L’atteggiamento con cui mi sono accostata a questo tipo di scrittura è stato analogo a quello di chi compie un viaggio in un territorio del quale ha una conoscenza limitata e desidera osservare e apprendere il più possibile. Un viaggio privo di un itinerario stabilito in precedenza, coltivando la fiducia che ogni tappa del percorso mi avrebbe suggerito quella successiva. Come in effetti è poi accaduto.
Ho incontrato presto la morte nella mia vita, e mi sono documentata leggendo libri e guardando film, tuttavia la sensazione che mi ha spesso accompagnata è che la morte mi osservasse e io non riuscissi mai a restituirle uno sguardo diretto. Per questo motivo provo molta gratitudine verso coloro che, attraverso le loro testimonianze, mi hanno permesso di conoscerla meglio. Preparandomi (illudendomi di farlo?), per quando sarà il mio tempo.
Tu sei un’arte-terapeuta: che ruolo ha l’arte, e la bellezza, alla fine della vita?
L’arte e la bellezza sono strumenti che migliorano la nostra vita, rendono feconde le nostre emozioni, i nostri pensieri, attenuano l’angoscia e allentano la solitudine. Attraverso molteplici forme e linguaggi ci mostrano ciò che talvolta non sapremmo vedere. Alla fine della vita, quando la quotidianità perde progressivamente importanza e significato, possono ancor di più avere una funzione trasformativa ed essere una porta d’accesso verso piani più spirituali. Un’opera d’arte può sospingerci verso l’alto, verso l’infinito, e alla fine della vita abbiamo bisogno di ogni aiuto possibile per non ancorarci troppo al nostro corpo. Per lasciarci andare.
Se dovessi riassumere in poche parole quello che hai imparato dalla scrittura di questo libro (e da tutto il lavoro che lo precede), che cosa diresti?
Ho imparato che la felicità esiste anche alla fine della vita, che la consapevolezza e la spiritualità rendono migliore anche la morte, che non mi è passata affatto la paura, ma che poterla nominare mi dà molta forza.
Hai ripreso una frase meravigliosa di Pavese sul proprio suicidio: «Non fate troppi pettegolezzi»: mi sembra un auspicio non solo relativo al suicidio, ma a tutte le morti. Forse si può imparare a rispettare le storie di vita e di morte di ogni persona. Quale percorso educativo servirebbe?
È un tema – quello del rispetto – che mi sta molto a cuore. In particolare verso le persone sofferenti, ma in generale, sempre, tra gli essere umani, in qualunque fase della vita. C’è qualcosa di morboso, nel pettegolezzo, nel giudizio, che il morire – specie nei casi di suicidio – semplicemente amplifica. Mi pare esista qualcosa di granitico nell’incapacità comune a troppe persone di indossare i panni di un altro, di praticare l’empatia, di coltivare il dubbio sulla propria vita. Forse più che un percorso educativo sarebbe necessaria una rivoluzione educativa, considerati i livelli di violenza verbale, malignità, calunnie, che – pur essendo sempre esistiti – sono stati ulteriormente sdoganati dal fatto che pure alcuni politici e organi di informazione non ne sono privi. Legittimando delle pratiche che creano parecchio dolore durante la vita, figuriamoci quando bisogna fare i conti con la vulnerabilità della sua fine. (Sia che si tratti del morente, sia dei familiari).
Mi fanno ben sperare le nuove generazioni: l’attenzione che hanno verso il clima, l’ambiente e i luoghi in cui viviamo, e ho fiducia e speranza che saranno proprio questi giovani a educare noi adulti/anziani in nuovi percorsi di attenzione e cura.
Proviamo a immaginare che rivoluzione sarebbe se questi ragazzi ci insegnassero non solo a ripulire la terra e il mare dalla plastica, dai rifiuti, ma a moltiplicare quel gesto in un’abitudine quotidiana nella quale ciascuno di noi si impegna a ripulire il proprio linguaggio dalla cattiveria, a governare il giudizio, a recuperare il pudore, a praticare il rispetto e ad allenare la gentilezza.
Grazie Marina! – ancora una volta GRAZIE. PER il tuo impegno e per averci presentato Marilda!! Leggerò con piacere il suo libro!!
Grazie Serena. È un piacere per me essere ospite di questo blog.
La ringrazio anche io per avere deciso di affrontare queste riflessioni , con la morte ci si misura davvero solo troppo tardi. Eppure Ermanno Olmi diceva che saputa ascoltare era l’interlocutrice forse più onesta. Anche io ho ascoltato troppo tardi.
Sì, se ne parla ancora troppo poco, si ascolta anche meno, e – come scrive – a volte troppo tardi; e incute il timore che sappiamo. È importante provarci però, prima o dopo, con più o meno fatica e timore, ma con la consapevolezza che la direzione giusta è quella di poter sempre più far circolare i pensieri e le emozioni su un passaggio che attraverseremo tutti. Non conoscevo le parole di Olmi, grazie di averle condivise, Maria.
Splendida testimonianza.
Grazie Mauro.
Anche per me il tema del rispetto è molto importante. il rispetto è etico, va praticato partendo dalle piccole cose per arrivare alle grandi. grazie
In questa fase della mia vita, non sono sicura di avere troppi problemi a prepararmi alla mia morte. Sono enormemente “scollata” dalla vita, in questo lutto ancora recente , benché ne percepisca ancora pienamente la bellezza sento che non mi riguarda più. E’ tutto coniugato al passato, mi riguardava finché prima del lutto appartenevo ancora alla vita. Ora non sento più questo legame così stretto, l’unica cosa che mi fa ancora paura, la paura di sempre più terribile, è la morte di chi amo. Anche di un animale domestico. La perdita irreparabile mi lascia totalmente priva di risorse se non una resa che però sa di abbandono della vita.
Quando si attraversa il lutto, Maria, è comprensibile e anche naturale la sensazione di essere “scollati” dalla vita, come ha ben descritto. È importante stare in quel tempo, anche a lungo, facendo i conti con il timore che qualunque altra perdita possa affacciarsi all’orizzonte. È solo vivendo pienamente quel tempo, che in seguito, un passo alla volta, si potrà ritrovare un senso all’inizio di ogni nuovo giorno. Glielo auguro di cuore. Grazie della sua testimonianza, Maria.
La ringrazio molto a mia volta per le sue parole e il suo incoraggiamento. Sono davvero per ora in un limbo in cui nessun risveglio ha più senso, solo un’infinita tristezza.